Come fare un orto nel giardino di casa

Lo dicono gli ultimi dati di Coldiretti: gli spazi pubblici in cui coltivare frutta e verdura sono cresciuti del 37 per cento negli ultimi 5 anni. E tra gli “urban farmers” non ci sono più solo pensionati, ma anche manager e millennials

Al pari di yoga, palestra o running, andare a raccogliere zucchine e pomodori nell’orto è la nuova valvola di sfogo per lo stress quotidiano. Si chiama urban farming e consiste nel coltivare fazzoletti di terra ricavati in città o alle sue porte. Un fenomeno che fino a poco tempo fa era un passatempo diffuso solo tra i pensionati, ma che ora affascina molti manager e liberi professionisti, uomini e donne.

Secondo la recente indagine del SustUrbanFood, condotta dall’università di Bologna su 380 cittadini del capoluogo emiliano (considerato la città degli orti), l’agricoltura urbana ci piace sempre di più per una lunga lista di motivi. Prima di tutto perché ci dà la certezza di sapere da dove viene e com’è coltivato quello che mettiamo in tavola. E poi perché ci aiuta recuperare il senso di comunità che sembra perduto.

Un’antistress naturale

Ognuno interpreta l’agricoltura urbana a modo suo. C’è chi si trasforma in un contadino e cura tutta la filiera produttiva, coltivando un appezzamento gratuito assegnato dal Comune o prendendo in affitto un piccolo lotto da imprese agricole. E chi, invece, si limita a raccogliere i frutti perché la persona che gli affitta l’orto è anche colei che lo cura. Ed è proprio questa la novità.

«È stata pensata per tutti quelli che hanno sempre sognato un pezzetto di terra ma hanno troppi impegni lavorativi e familiari per occuparsene direttamente» ci spiega Arianna Vulpiani, imprenditrice agricola che affitta e coltiva cento orti alle porte di Roma. «I miei ortisti sono soprattutto dirigenti di azienda, notai, avvocati e molte mamme giovani. Per loro anche solo raccogliere frutta e verdura è un modo di stare all’aria aperta che li ricarica sia fisicamente sia mentalmente» dice la Vulpiani che aggiunge come solo una minima parte aderisca al progetto per ragioni di risparmio, seppur sia notevole visto che con meno di 20 euro a settimana ci si può assicurare un raccolto di verdure biologiche certificate per una famiglia di quattro persone.

«Vengono perché vagare tra i colori e gli odori della terra fa tornare il sorriso. Tra i miei clienti ho addirittura un’amministratrice di condominio che per evadere dai pensieri alterna l’urban farming al canottaggio» ci racconta ridendo. Anche per Davide Almondo, fondatore di Amico Orto (una realtà di 550 appezzamenti alle porte di Torino) veder crescere frutta e ortaggi è una terapia di felicità. «Stiamo assistendo a un grande cambiamento culturale provocato dal bisogno di riconnetterci alla natura senza intermediari. Io la chiamo la rivoluzione “col-turale” e osservo come questo ritorno alle origini stia prendendo piede anche tra i millennials».

Il parco giochi preferito dei bambini

«L’urban farming è un fenomeno che ha dei benefici non solo sulla salute alimentare, ma anche sulla socialità perché chi decide di vivere questa esperienza spesso fa nuove amicizie» prosegue Almondo che ci rivela l’orgoglio dei suoi ortisti nel regalare le verdure agli amici. E nel raccontare che nella parmigiana appena cucinata ci sono le melanzane coltivate con le loro mani. Ma i più entusiasti sembrano essere i bambini, per i quali l’orto è un parco giochi dove scoprire nuovi colori e sapori.

«Per me e mia figlia di sei anni, che passiamo la settimana chiuse a scuola o in ufficio, infilare le galosce e andare a cogliere i prodotti dalle piante è un momento magico» ci racconta Amelia, mamma single di Milano e ortista alla Cascina Brera di Melegnano che offre un grande orto e frutteto comune. «Prima Matilda non si chiedeva da dove venissero gli ortaggi che vedeva al supermercato. Ora ha imparato che una patata non cresce sull’albero e sa come cogliere le fragoline senza rovinare la pianta».

E poi c’è anche la frutta da città

«Gli alberi da frutto cresciuti nei parchi e nelle strade di Roma e Milano sono carichi di agrumi, mele, nespole e costituiscono un patrimonio comune» racconta Michela Pasquali, la coordinatrice, a Roma, di Frutta Urbana. Un progetto sociale che è attivo nelle due città. Parallelamente all’attività di mappatura, c’è anche quella di raccolta che viene fatta periodicamente insieme a volontari e il cui ricavato va alla Caritas, alle mense sociali, ad alcune case di riposo. Info sulla pagina Facebook di Fruttaurbana.

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