orti urbani

Al centro della Carta di Milano, il documento che condensa i buoni propositi di Expo, c’è la tutela delle produzioni agricole di qualità. Perché in fatto di cibo ci siamo accorti che piccolo è bello, buono e sano. Vale per il pomodoro cresciuto sul balcone di casa, la caciotta assaggiata in fattoria e le pere comprate al mercato contadino.

«Guardare in faccia chi coltiva quello che arriva sulla nostra tavola e conoscere la filiera di produzione è diventata un’esigenza diffusa» spiega Roberto Pretolani, docente di Economia agraria all’università degli Studi di Milano. Per questo oggi sempre più consumatori, per frutta e verdura, al supermercato preferiscono il proprio orto o quello dell’amico contadino. Un vantaggio anche per milioni di piccoli agricoltori che, in Italia e nel  mondo, vedono riconosciuto il loro lavoro.

Il boom degli orti urbani e della piccola agricoltura

Dal vaso di pomodori sul balcone all’aiuola cittadina dove si coltivano le zucchine, fino ai frutteti in campagna. Solo una moda o c’è qualcosa di più?

Il desiderio di un'agricoltura più vicina ai consumatori

La rivista scientifica Environmental Research Letters ha calcolato che, in tutto il mondo, gli spazi coltivati in città occupano una superficie pari ai 28 Stati dell’Unione europea. Nel nostro Paese il Censis ne ha registrati oltre 3 milioni di metri quadri (nel 2011 erano 1,1) e ha scoperto che il 46,2 % di italiani si dedica a qualche forma di coltivazione, dai pomodori sul balcone fino a veri e propri campi. Di questo passo finiremo per avere tutti un orto, privato o condiviso.

«Per alcuni è un hobby, per altri un modo di tornare alla natura» dice Luca D’Eusebio, promotore di Zappata romana, un progetto di mappatura degli orti urbani della capitale. Negli Usa stanno addirittura nascendo gli “agrihoods”, quartieri di periferia che sorgono non attorno a un centro commerciale ma a una fattoria. In Europa, si contano eccellenze come Todmorden, borgo nel Nord dell’Inghilterra dove non c’è aiuola che non ospiti cavoli e zucchine. E nell’Italia settentrionale l’81 % delle città ha pianificato uno spazio verde coltivato.

«Certo, gli orti oggi sono anche una moda. Però hanno comunque il vantaggio di sensibilizzare i consumatori su temi come la stagionalità dei prodotti e la lotta allo spreco di cibo» spiega l’economista Roberto Pretolani.

Orti e giardini in città sono un grande ritorno al passato

«Ai tempi della Seconda guerra mondiale, il razionamento alimentare spinse i cittadini a coltivare anche in parchi, piazze e cortili» racconta Valeria Bachelli, responsabile di Gruppoverde, l’organizzazione di volontari che alla Cascina Cuccagna di Milano lavorano al progetto “Orti di guerra in tempo di pace”. «In piazza Duomo, per esempio, si piantava il frumento. Vogliamo attribuire un valore a quell’esperienza: riscoprire verdure dimenticate e favorire una dieta basata su alimenti vegetali che oggi non è più indice di povertà».

Uscendo dalla città, si incontra una campagna altrettanto innamorata delle piccole coltivazioni di qualità. Secondo un’analisi Istat-Coldiretti, le aziende agricole familiari in Italia sono il 95% del totale. «Un tempo pensavamo che questa categoria sarebbe stata spazzata via dalle grandi imprese» aggiunge Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti. «Invece resiste. Come? Differenziando le sue attività, dall’agriturismo alla fattoria didattica, e puntando su consumatori esigenti e attenti, in cerca di grande qualità».

Il futuro della nostra agricoltura passa per la piccola coltivazione diretta

«Attrae sempre più giovani» continua Bazzana. «Un’azienda su 3 è nata da neanche 10 anni e il 7 % dei titolari è under 35». Grazie a Internet, poi, i contadini trovano facilmente acquirenti e possono vivere della vendita dei loro prodotti. «L’altro giorno ho messo una mia foto su Facebook: con la zappetta scerbavo il terreno in cui crescono le cipolle» racconta Federico Leonardi, che ha un frutteto, 2 ettari di orti e 6 di ulivi a Narni, in Umbria. «Nel post ho scritto: “Se avessi usato il diserbante, sarebbero bastate 5 ore. Così, invece, ci ho impiegato 5 giorni”. Chi ha cliccato “Mi piace” e poi ha inviato l’ordine ha pagato quelle cipolle più che al supermercato. Ma lo ha fatto volentieri, perché io gli ho dimostrato dove sta la qualità. Con la stessa logica organizzo serate nei ristoranti che rifornisco, per spiegare ai clienti come coltivo quello che hanno appena mangiato. In questo modo si diffonde la consapevolezza della buona agricoltura».

Federico, che ha studiato all’università e ha rilevato l’azienda agricola dei nonni, consegna a domicilio i suoi prodotti ed è il prototipo del giovane contadino italiano. «Se guardiamo su scala globale, questo tipo di agricoltura, per quanto lodevole, non basterà a sfamare il mondo, che avrà 9 miliardi di abitanti nel 2050» avverte l’economista Roberto Pretolani. «La coltivazione intensiva continua ad avere un ruolo importante, però i singoli possono ritagliarsi uno spazio significativo unendosi in rete». Qualche esempio? In Trentino le mele sono commercializzate da consorzi di produttori con meno di 2 ettari di frutteto ciascuno. E le cooperative di agricoltori si stanno diffondendo nel Sud del mondo: il 70% di cacao e caffè arriva da famiglie e villaggi. «Non dimentichiamo che sono stati proprio contadini di questo tipo a nutrire gli abitanti della Terra per millenni» dice Edie Mukiibi, agronomo in Uganda. «E continueranno a farlo, contro le logiche delle grandi imprese che molte volte sfruttano il Pianeta senza curarsi della salvaguardia delle risorse e delle comunità».

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