I social inquinano più degli aerei

Gli aerei producono il 2% dell’anidride carbonica mondiale, il digitale arriva al 4% e la metà viene proprio da social come Facebook, Instagram o WhatsApp. A sollevare la questione è stato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che invita i giovani a usare meno i social

«Quando mandate inutili fotografie pensate al costo che hanno». Un costo non economico, si intende, ma ambientale. La frase, pronunciata dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha sollevato non poche polemiche perché è stata accompagnata da un invito alla «sobrietà digitale», rivolto ai giovani. In pratica il ministro ha esortato a un uso più contenuto del web e, in particolare, dei social perché anche questi inquinano. Non solo. Di fronte a una platea di circa 17mila studenti di medie e licei Cingolani ha snocciolato dati. Tra i più eclatanti ci sono quelli che riguardano il confronto con l’inquinamento prodotto dai devices e dagli aerei: se questi producono il 2% dell’anidride carbonica mondiale, il digitale arriva al 4%, e la metà viene proprio da social come Facebook, Instagram o WhatsApp. Un solo smartphone usato per un’ora al giorno per telefonate e sms inquina in un anno quanto un volo Milano-New York, cioè 1,25 tonnellate di Co2.

Anche i social network inquinano

Secondo il ministro Cingolani occorre «un atto di responsabilità» nel capire che «l’utilizzo smodato dei social non è gratis». L’impatto ambientale è confermato da diversi studi: secondo una ricerca condotta per conto della Bbc, un tweet equivale all’emissione di 0,2 grammi di CO2 e l’invio di una mail da 1 megabyte impatta per circa 4 grammi, cioè tanto quanto le emissioni di una lampadina da 60 watt lasciata accesa per circa mezz’ora.
A inquinare di più, poi, sono video e immagini inviati dal web: foto, selfie ed emoji produrrebbero 50 grammi di CO2, mentre i filmati arrivano a generare 300 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno, pari a circa l’intera produzione di gas serra della Spagna e all’1% delle emissioni globali.
Secondo i dati del 2019 diffusi dal Global Carbon Project, se il Web fosse un Paese, sarebbe il quarto più inquinante al mondo, alle spalle di Cina, Stati Uniti e India perché ogni utente che usa internet immette in media 400 grammi di anidride carbonica all’anno: si parla, quindi, di 1.850 milioni di tonnellate complessive. Secondo la Royal Society, le emissioni di gas serra dovute al digitale vanno dall’1,4% al 5,9%. Ce ne sarebbe abbastanza per far venire i dubbi sull’utilità del digitale. Ma è davvero così?

Facebook & C. sono più inquinanti degli aerei?

A precisare il senso del suo intervento è stato lo stesso Cingolani, che ha chiarito: «Nessuno discute l’importanza di internet. Come tutte le tecnologie se però utilizzato senza sobrietà è deleterio». «Ovviamente il riferimento al mondo social, di fronte a una platea di studenti, può essere considerato come una battuta, una provocazione per evidenziare che anche il mondo del web ha un impatto in termini di consumo di energia e di emissioni inquinanti. Ma va ricordato che si tratta del modo con cui lavoriamo e produciamo economia. Certo, se ne limitassimo l’uso agli scopi professionali tagliandone quelli voluttuari, di puro piacere e intrattenimento, sicuramente ridurremmo i consumi energetici e quindi anche l’inquinamento che produce» commenta Alessandro Miani, presidente della Società italiana di Medicina Ambientale (SIMA).

Perché il digitale inquina

Ma come possono smartphone, pc, iPad produrre anidride carbonica, allo stesso modo cioè di auto, riscaldamento o fabbriche? Il motivo è legato al consumo di energia che richiedono, non solo per l’uso e per la ricarica in sé, ma anche e soprattutto per il funzionamento dei server e dei data center: «È un tema di cui ci siamo occupati anche in passato come medici ambientali: la comunità del cosiddetto “WWW” rappresenta la comunità più energivora al mondo, quindi non solo i social. Questo perché i server che gestiscono il traffico dati si surriscaldano moltissimo e necessitano di essere raffreddati. Per fare ciò occorre a sua volta energia, prodotta tramite combustione soprattutto di materie fossili, più inquinanti – spiega Miani – Al momento si trovano, tra l’altro, in Paesi con temperature non basse, come la Cina. Per questo c’è una proposta internazionale per trasferirli in zone franche al Polo nord e al Polo sud, proprio per ridurre il dispendio energetico necessario al raffreddamento di questi macchinari».

Non dimentichiamo traffico, riscaldamento e industrie

Certo, il messaggio del ministro Cingolani va inquadrato in un appello generale a prendere consapevolezza del peso di ogni singola fonte di inquinamento. Insomma, se anche i social inquinano, non per questo si può ridimensionare il peso che hanno il traffico automobilistico e, ancor di più, il riscaldamento e le emissioni delle industrie. «Sicuramente la CO2 è prodotta da tutte le attività umane, soprattutto dalla combustione di materie di origine fossile, comprese le biomasse. Il traffico veicolare, il mondo industriale e il riscaldamento incidono in maniera piuttosto notevole su fenomeni di inquinamento e sulla produzione di anidride carbonica» spiega il presidente della SIMA.

Ci sono alternative green?

«Il vero problema oggi è che i Paesi più inquinanti sono quelli che hanno conosciuto la rivoluzione industriale più tardi rispetto all’Europa, come Cina e Russia. Per loro i limiti di contenimento degli inquinanti, previsti ad esempio dalla recente Cop26, non sono raggiungibili nel breve periodo perché la loro industria si basa prevalentemente sull’impiego di materie prime fossili e non rinnovabili» spiega Miani. Si dovrebbe puntare, quindi, su alternative Green: «Non è così semplice. Lo stesso nucleare, di cui si è tornati a parlare, presenta criticità: sia perché tuttora non sappiamo dove smaltire le scorie nucleari prodotte, ad esempio, dalla medicina, ma anche perché a livello scientifico ci sono indicazioni su possibili effetti nocivi sulla salute, dovuti a esposizioni già nel raggio di 50 km dagli impianti, senza che accadano necessariamente incidenti – dice Miani – Oggi in Italia l’alternativa più valida è rappresentata dall’eolico off shore, cioè su piattaforme in mare a una ventina di km dalla costa, non visibili e floating, cioè non ancorate completamente al fondale marino, che consentono produzioni energetiche molto più elevate rispetto ad altre rinnovabili, con un bassissimo impatto ambientale» conclude l’esperto.

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