Una delle magliette di "One meter way" che invitano al distanziamento sociale
Una delle magliette di "One meter way" che invitano al distanziamento sociale

Perché le t-shirt con gli slogan sono tornate di moda

Erano già popolari grazie al successo dello streetwear, ma durante la pandemia hanno acquistato un significato diverso. E forse ci lasceranno con un nuovo modo di fare shopping

La t-shirt, e in particolare la maglietta bianca o nera, è uno dei capi essenziali del guardaroba per moltissime persone: sta bene su tutto, è comoda, si adatta agli stili più disparati. Da quando, negli ultimi anni, lo streetwear – ovvero quell’abbigliamento che predilige t-shirt, sneaker, tute e felpe con il cappuccio e che nasce negli ambienti dell’hip hop afroamericano – è diventato una dei fenomeni più rilevanti nell’industria della moda, la classica maglietta con il logo, piccolo o grande, ha fatto la fortuna di molti stilisti e relativi marchi.

Gli esempi recenti sono tanti, dalla t-shirt con il rottweiler disegnata da Riccardo Tisci quando era direttore creativo di Givenchy [oggi è a capo di Burberry, ndr], resa celebre dal rapper Kanye West, a quella della prima collezione di Maria Grazia Chiuri per Dior con la scritta “We Should All Be Feminist”, una citazione della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, la stessa utilizzata da Beyoncé in ***Flawless. E proprio la t-shirt di Dior è stata il punto d’arrivo di un ritorno alle magliette con gli slogan, molto popolari a più riprese dagli anni Settanta agli anni Novanta, che hanno trovato, in questi tempi di attivismo digitale e marketing furbo, una nuova popolarità.

Magliette di incoraggiamento per momenti difficili

Da sempre utilizzate a scopi politici, basti pensare a quelle di Black Lives Matter che hanno accompagnato le proteste degli ultimi mesi, hanno acquisito ancora più rilevanza durante il lockdown. Sui social, infatti, hanno iniziato a spopolare magliette con slogan pensati apposta per il momento che stavamo vivendo, come quelle di One Meter Away, marchio creato da cinque ventenni di Varese che propone t-shirt e felpe che promuovono il distanziamento sociale e il mantenimento della distanza di sicurezza – un metro gli uni dagli altri, appunto. Parte del ricavato è stato devoluto agli ospedali impegnati nella lotta al Covid-19, come hanno raccontato i ragazzi a La Repubblica, così come erano destinati all’acquisto di materiale protettivo per la Protezione Civile durante la fase più acuta dell’emergenza i proventi della capsule collection di Moaconcept e Haikure. I due marchi hanno infatti realizzato una speciale collezione di magliette ispirate a un’opera dell’artista milanese Andrea Crespi, “Hearts on earth”: lo slogan era l’hashtag #ITWILLBEOK, “andrà tutto bene”. O come le t-shirt disegnate da 28 grandi architetti, da Renzo Piano a Stefano Boeri, e dedicate a Milano, una delle città più colpite in Italia: immancabile il rimando a una delle canzoni milanesi per eccellenza “Milan l’è on gran Milan”.

Esempi simili si possono trovare in tutti i Paesi che hanno affrontato l’emergenza sanitaria, dagli Stati Uniti alla Cina. Come ha scritto Emilia Petrarca su The Cut, «Il merchandising è sempre stato popolare, ma è diventato sempre più popolare negli ultimi anni quando artisti come Kanye West e marchi come Vetements ci hanno messo lo zampino. Indossare la maglietta di una band – o anche qualcosa di più di nicchia, come un cappellino da baseball – è sempre stato un modo di segnalare qualcosa di preciso su chi siamo e cosa ci piace. Ma quando è arrivata la quarantena, in molti abbiamo scoperto che i nostri valori si spostavano verso piccole cause locali. L’acquisto di una maglietta per sostenere un’attività in difficoltà ci è sembrato un gesto più altruista. Ovviamente, non è che un piccolo modo per aiutare, ma [a molti, ndr] sembra un modo migliore di investire i propri soldi al posto di scegliere un grande marchio, tanto più se non puoi uscire di casa», conclude la giornalista.

Abbiamo imparato un nuovo modo di fare shopping

D’altra parte, sarà capitato anche a te, mentre eri chiusa in casa alle prese con la spesa online e le consegne quasi impossibili da prenotare, di scoprire che i piccoli negozietti di quartiere, soprattutto in città, erano diventati più affidabili e veloci della grande distribuzione per la consegna di frutta, verdura e beni di prima necessità. Allo stesso modo, in molti durante la quarantena hanno scoperto piccoli marchi, magari prodotti in Italia e in maniera sostenibile, che grazie a Instagram, Facebook Shop o Depop sono riusciti a intercettare una fetta di clientela interessata ai loro prodotti, con i quali comunicano direttamente e senza intermediari. Sarà probabilmente questo, prevedono allora gli analisti del settore, il più grande lascito dei mesi di quarantena: una spinta decisa verso lo shopping “consapevole” e locale, già in atto da alcuni anni, che premierà piccole realtà di cui si condividono i valori base. E niente dice con più immediatezza cosa ci piace e cosa no di una maglietta con uno slogan.

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