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– Il libro insolito
Se una dattilografa si trasforma in detective

letto da Alessia Cogliati

Faccio parte del club dei giallisti anonimi. Regalatemi un omicidio ben architettato, un ispettore un po’ burbero, un assassino insospettabile e sarò vostra. Il morso della vipera non dà quello che normalmente chiedo a un giallo. Prima di tutto non c’è un commissario ma una dattilografa, Anita, con poco talento per il suo lavoro e tanta voglia di indipendenza. E poi il sangue non è “fresco”, perché il delitto si è consumato anni prima. Quando un’anziana donna viene arrestata perché afferma che un eroe di guerra in realtà è un assassino, Anita è l’unica a crederle e a mettere insieme un puzzle che tanti vogliono rimanga insoluto.

Il tutto si svolge in un’ambientazione fantastica. Sullo sfondo c’è una Torino culla di case editrici dove si pubblica la rivista Saturnalia, una raccolta di racconti gialli americani in cui i detective hanno sempre un bicchiere di whisky in mano. Il periodo storico è quello a cavallo tra le due guerre.

Alice Basso racconta il Ventennio fascista come un tempo sospeso in cui non è facile farsi un’opinione su ciò che accadrà e solo pochi hanno le idee chiare su propaganda e prepotenza del regime. Anita è una di questi e, sotto le mentite spoglie di brava sostenitrice di Mussolini, riesce con arguzia e intraprendenza a risolvere il suo “cold case”.

Vi consiglio questo libro per due motivi. Il primo: l’autrice si è ispirata alla vicenda vera di una dattilografa vissuta durante il fascismo. Il secondo: forse la storia vi riporterà alla mente i racconti dei vostri genitori o nonni su quel periodo buio dell’Italia. Mentre leggevo io ripensavo a mio nonno Luigi che nel 1941 partì volontario per la campagna di Russia per cercare il fratello minore arruolato e disperso. Un sacrificio forse inconcepibile oggi, ma figlio di quel periodo. Ps: dalla guerra sono poi tornati entrambi.

Alice Basso, Il morso della vipera, Garzanti, € 16,90.

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– La scrittrice da scoprire
Ada Negri

Nata 150 anni fa a Lodi, Ada Negri sfiorò il premio Nobel per la Letteratura, poi per un po’ fu “quasi dimenticata”. Oggi 
ne viene riscoperta la voce vibrante e sorprendentemente contemporanea. La nuova casa editrice Fve editori ha esordito proprio con lei e Le solitarie, una raccolta di novelle del 1917.

Racconta di donne che vogliono sentirsi integrate ma hanno un “marchio” – un difetto fisico, un passato scomodo, la povertà, la vecchiaia – che le segna e le esclude. Di loro Negri dice: «Non una di quelle figure di donna che vi sono scolpite o sfumate mi è indifferente. Vissi con tutte, soffersi, amai, piansi con tutte». E l’empatia scatta anche in noi, che in quelle pagine incontriamo personaggi come Veronetta dai capelli capricciosi, che «aveva 12 anni quando disse, un giorno, a sua madre: “Tu hai le mani d’una signora. Perché dunque vai alla fabbrica?”. “Per guadagnar denaro, figlia mia. Senza soldi non si fa nulla. Lo vedi bene che siamo sole”».

Myriam Defilippi


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– Continuo a rileggerlo
Alessandro D’Avenia e l’Odissea

«Ogni anno con le mie classi prime delle superiori rileggo l’Odissea» dice il prof-scrittore Alessandro D’Avenia, autore di L’appello (Mondadori). «Ognuno dei 24 libri richiede mezz’ora per la lettura ad alta voce: bastano 12 ore, un libro a settimana, come una serie tv. Disponiamo i banchi in cerchio, come nella sala dove i cantori raccontavano le storie della guerra di Troia e del ritorno degli eroi. La classe diventa Itaca, mare, caverna del Ciclope… Ogni ragazzo interpreta un personaggio, mentre io ricopro la parte di Omero. Sembra un’impresa impossibile, ma è solo “epica”: a poco a poco diventa l’ora più bella della settimana.

L’Odissea si impadronisce di noi: non siamo noi a leggerla, è lei che legge noi. Così ogni anno trovo cose nuove, perché i personaggi vivono in corpi e tempi nuovi. E se a 14 anni scopri e a 43 riscopri che vivere è “tornare a casa” tra mille peripezie, hai trovato la trama della felicità».


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– Il libro potente
Storia di Hiram, che rompe le catene della schiavitù

letto da Isabella Fava

«L’uomo ci ha resi schiavi, ma Dio ci ha voluti liberi». Ta-Nehisi Coates è uno dei più importanti intellettuali americani, invitato più volte alla Casa Bianca da Obama. Nel 2015 ha scritto il toccante memoir Tra me e il mondo (Codice): una lettera al figlio in cui raccontava cosa significa essere nero in America. Bellissimo, come bellissimo è Il danzatore dell’acqua, un romanzo di formazione ambientato durante l’America schiavista.

Protagonista è Hiram, rimasto solo quando la madre viene venduta. Solo come tanti nelle sue condizioni, ma lui è speciale. Possiede una memoria straordinaria che gli consente di elevarsi dalla sua condizione e di imparare a leggere. E ha un superpotere: quello della Conduzione, la capacità di trasportarsi in un’altra dimensione e in altri luoghi.

Coates ci accompagna dentro alle sue giornate di bambino e ragazzo, alla scoperta della “Qualità” e della “Servitù”, come chiama le due classi sociali, bianchi e neri, padroni e schiavi. Ci conduce verso il suo percorso di liberazione, le umiliazioni, le botte, il dolore per l’abbandono della terra e della famiglia, il senso di sradicamento e di annientamento. Ci porta per mano nella storia americana, stavolta raccontata non dai bianchi.

Hiram diventa agente della Sotterranea, la rete di itinerari segreti e luoghi sicuri che venivano usati dai neri per fuggire dalle piantagioni e andare negli Stati liberi con l’aiuto degli abolizionisiti, e scopre che la libertà di un singolo non è abbastanza. Userà quindi la Conduzione per liberare i suoi fratelli. «È la memoria il ponte fra la dannazione della schiavitù e la benedizione della libertà» scrive Coates dando voce a Harriet, anche lei fornita della Conduzione e per questo soprannominata Mosè.

Coates sottolinea così l’importanza della storia e della memoria, delle proprie radici di afroamericano, e lo fa costruendo un romanzo avventuroso e intenso, a tratti di una potenza straordinaria, che parla di libertà e riscatto.

Ta-Nehisi Coates, Il danzatore dell’acqua 
(trad. di Norman Gobetti), Einaudi, € 21,00.


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– La tesi
La vita è poesia

La poesia vi mette soggezione? Pensate a questi 2 film: Quattro matrimoni e un funerale e L’attimo fuggente. Nel primo ci sono i versi meravigliosi di Funeral Blues di Wystan Auden, il secondo è un omaggio a Walt Whitman. Li cita Gian Luca Favetto nel suo Attraverso persone e cose. Il racconto della poesia (add editore): un saggio che è in realtà un viaggio tra personaggi e ricordi che fanno venire in mente versi. Perché la poesia, sembra dirci Favetto, è ovunque: è un momento, la scena di un film, il passo di un romanzo come La mia Africa di Karen Blixen. La vita. «E questa è la poesia, per come la intendo io, leoni che ruggiscono scritture, partenze che sono ritorni, sconfitte che rivelano il coraggio capace di giustificare una vita intera, fanciulle in bicicletta che non dicono una sola parola e una donna che si ferma con te, attacca discorso e insieme mangiate un po’ di uva».

I.F.


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– La citazione
«I gatti non si sforzano di essere migliori di quello che sono»

Ci sono 2 modi per scoprire perché abbiamo tanto da impare dai gatti: averne uno che gironzola per casa e contemplare la sua magnifica incuranza verso l’universo mondo. O sfogliare un saggio che invita a considerarli animali molto saggi, sempre pronti a impartirci piccole lezioni di vita. È quello che fa John Gray nel libro Filosofia felina. I gatti e il significato dell’esistenza (Rizzoli).

L’autore ripercorre le grandi questioni che hanno impegnato i più importanti pensatori (da Seneca a Schopenhauer), cercando risposte nell’universo di questi antichissimi felini entrati nelle case già nel 2.000 a.C., venerati come dei o come demoni e mai veramente addomesticati.

Chi meglio di un micio sa vivere alla giornata, dormire per il gusto di farlo, non provare sensi di colpa, adattarsi a ogni ambiente e affrontare con diginità la morte? Liberi e felici, i gatti osservano le nostre follie senza sforzarsi di capirci, suggerisce l’autore. Tanto sanno che non ne varrebbe la pena.

Sara Peggion


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– Il libro struggente
Un gruppo di amici e un omicidio senza senso

letto da Silvia Schirinzi

Ogni volta che in Italia una donna viene uccisa da un uomo, ci ritroviamo a parlare di dinamiche di coppia, mascolinità tossica, stereotipi di genere, e di come tutte queste cose condizionino le relazioni tra i sessi. Analizziamo le parole, le immagini e il tono, il più delle volte paternalistico, che i media scelgono per raccontare quegli eventi. A rimanere inesplorata è la dimensione privata: la morte di una donna per mano di un uomo che diceva di amarla – l’ex marito, il compagno, il fidanzatino – e quello che provoca nelle persone che il finale tragico non hanno saputo prevederlo né impedirlo. Nel suo romanzo d’esordio, la 26enne Alice Urciolo, già sceneggiatrice della serie Skam Italia, scava in quella dimensione nascosta.

Adorazione racconta come un gruppo di ragazzi vive e affronta l’omicidio di un’amica, uccisa dal suo fidanzato adolescente. Elena è morta in un giorno d’estate e il suo ricordo aleggia nel gruppo degli amici costretti nella piccola Pontinia, in provincia di Latina. Della sua morte non si parla, né fra coetanei né tantomeno con gli adulti, che anzi di fronte alle occasionali domande – che nascono dalla rabbia del momento e dalla pesantezza delle emozioni – spesso si nascondono in sospiri, alzate di spalle, frasi di circostanza. Quel vuoto ognuno lo riempie come può.

Vanessa, la ragazza bellissima con il fidanzato fascista, scoprirà che la perfezione è asfissiante; Diana, la cui voglia su una gamba l’ha sempre resa insicura, si renderà conto di quanto è facile attirare l’attenzione dei maschi; Vera vivrà una di quelle storie che sono sbagliate in partenza ma che alla sua età sembrano necessarie.

Urciolo racconta le loro vite con la potenza visiva di una serie tv, mostrandone le zone d’ombra e i momenti di confusione nelle chat, nei dialoghi e soprattutto nei silenzi, alla ricerca del senso di quello che è successo.

Alice Urciuolo, Adorazione, 66thA2nd, € 18.


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– Segnalato da voi
Quante emozioni in questo diario di una mamma

di Manuela Ferranti

Mi piace molto leggere e il libro a cui ho rubato la voce è Leggimi tra vent’anni (Mondadori) di Giorgia Lanzilli. È il diario di una donna alle prese con la maternità, con le scoperte e le emozioni provate giorno per giorno. Dire che è un buon libro è riduttivo: ti prende, ti travolge, ti sorprendi a parlare da sola come per rispondere all’autrice.

Commenti a voce alta i momenti divertenti e col nodo in gola o tra le lacrime quelli commoventi perché, se sei una mamma, ti ci rivedi in pieno. L’ho letto 2 volte di seguito, perché durante la prima lettura venivo spesso interrotta dai miei singhiozzi o dalle mie figlie. Lo consiglio come regalo. Da una mamma ai propri figli.


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– Il libro da regalare
Dedicato ai “pollici neri”

Di fronte a una schiera di piante morte per eccesso o mancanza d’acqua a molte persone, inclusa chi scrive, viene da chiedersi perché sia così difficile capirle. Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio di Neurobiologia dell’università di Firenze, illumina parte del mistero, suggerendo come le piante sentano, vedano, ascoltino. In La pianta del mondo (Laterza) racconta come si è evoluto il legame tra le piante e l’uomo.

Chi immaginava che nel Rinascimento le città fossero prive di giardini e aiuole, a dispetto delle varietà botaniche ritratte nei dipinti dell’epoca? Chi sospettava il motivo per cui la banana ha sviluppato la buccia più scivolosa di tutte? Se è vero, come scrive l’autore, che «la conoscenza è sempre generatrice di possibilità», familiarizzando con il nemico tramite questo saggio, forse i pollici neri la “pianteranno” di sterminare fiori. O, se non altro, li guarderanno con meno sospetto.
Elisa Venco

A cura di Isabella Fava – hanno collaborato Alessia Cogliati, Myriam Defilippi, Sara Peggion, Silvia Schirinzi, Elisa Venco