Daphne Du Maurier scrittrice

Daphne Du Maurier

È il momento di (ri)scoprire le scrittrici fantasy

Raccontano di famiglie barricate e lotterie mortali, robot sopravvissuti all’apocalisse atomica e divinità che irrompono portando caos e vendetta. Storie da fine del mondo che ci aiutano a decifrare questi momenti difficili. Lasciando sempre aperta la porta della speranza

ra fatale che in questi giorni ci rivolgessimo a un immaginario da fine del mondo. E dunque, via con la riscoperta dei classici: La peste di Albert Camus, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, La peste scarlatta di Jack London per i più raffinati, L’ombra dello scorpione di Stephen King per frequentatori del genere post apocalittico. Fatale, e legittimo: perché si cerca sempre uno scintillio nello specchio letterario che ci faccia capire come stiamo, e che altri sono stati nella stessa condizione prima di noi.

Però esistono differenti strade narrative, forse meno immediate, sicuramente meno conosciute, che sono in grado di fornire la stessa risposta: quelle, per esempio, di un genere poco battuto, specie se a firma femminile, come la letteratura fantastica.

Esplorano le paure

Da recuperare una delle grandi signore del gotico come Daphne Du Maurier, notissima per Rebecca – La prima moglie ma anche per il testo da cui nacque un ulteriore film di Hitchcock: Gli uccelli (Sellerio). Du Maurier scrisse questo racconto nel 1953: è breve, claustrofobico, perfetto. Nonché diverso dal film: gli unici personaggi sono gli Hocken, genitori e due figli, e la storia è tutta nell’ostinazione con cui Nat, il capofamiglia, fa scorta di cibo e acqua e si barrica in casa, mentre corvi e gabbiani continuano l’assalto. Finale aperto, ma non troppo ottimista.

Un secondo racconto da tenere sotto mano, specie mentre la tensione sale e si cercano capri espiatori per questi tempi oscuri, è La lotteria di Shirley Jackson (Adelphi). Esce un anno dopo La peste, peraltro, nel 1948 sul New Yorker. Racconta di una mattina di giugno limpida e assolata, durante la quale in un paese di trecento anime la gente si raduna in piazza e fa quel che la gente fa: chiacchiera, fuma, si riunisce in capannelli. I bambini ammonticchiano pietre in un angolo. Si attende la lotteria, a cui tutti devono partecipare. Ma chi troverà un cerchio nero sul suo foglio verrà lapidato. Dopo la pubblicazione, il New Yorker ricevette il maggior numero di lettere della sua storia: la maggior parte chiedeva spiegazioni, alcune insultavano Jackson, altre chiedevano la cancellazione dell’abbonamento per protesta verso un racconto «insultante», «orribile», «sgradevole in modo gratuito», di un «incredibile cattivo gusto». Ma ci fu chi scrisse per sapere dove si svolgessero le lotterie descritte nel racconto: voleva partecipare.

Analizzano le emozioni

E oggi? Oggi moltissime scrittrici, tutte da scoprire, affondano le mani nel canone del fantastico e lo trasformano. Basta recuperare una magnifica antologia, curata da Ann e Jeff VanderMeer, e in Italia da Claudia Durastanti e Veronica Raimo, Le visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo (Nero), per capire che le stesse tematiche, raccontate dalle donne, trovano altri sbocchi: meno euforia (o, al contrario, paura) tecnologica, più attenzione al mutarsi delle relazioni. Per citare un solo racconto, in L’amore e il sesso tra gli invertebrati Pat Murphy immagina, sì, l’apocalisse atomica e la fine del genere umano, ma narra dell’ultima donna sulla Terra che, prima di morire, prova a replicare il desiderio e l’amore nella coppia di robot che, unica, sopravvive.

Esorcizzano il male

Un dio estraneo in una città tranquilla: la paura e la catastrofe seguono la stessa regola di Dioniso che arriva a Tebe nelle Baccanti di Euripide, creando vendetta e scompiglio, e dei topi di Camus che diffondono il flagello nella ridente Orano di La peste. Tiffany McDaniel, in L’estate che sciolse ogni cosa (Atlantide edizioni), porta Satana nel paese dell’Ohio dove l’autrice è nata. È il 1984, fa caldo, e continuerà a fare caldo, e il padre del protagonista, il piccolo Fielding Bliss, ha la disgraziata idea di convocare il diavolo. Che arriverà, nelle sembianze di un ragazzino nero con gli occhi verdi decisamente amichevole e smarrito, ma destinato a catalizzare, in apparenza non volendolo, tutto il male che si annida nei cuori degli uomini.

Di questo, della violenza e delle tenebre della natura umana, scrive anche l’argentina Mariana Enriquez, nei racconti di Le cose che abbiamo perso nel fuoco (Marsilio), piegando gli orrori del passato della sua patria, e la povertà del presente, al gotico. Come in Sotto l’acqua nera, dove un fiume inquinato porta morte o mutazioni inspiegabili.

Credono nell’umanità

Ma c’è anche chi salva, forse, il genere umano. È Sandra Newman, americana, autrice di I cieli (Ponte alle Grazie). La giovane protagonista Kate vive la sua vita diurna nella New York del Duemila e di notte diventa, in sogno, Emilia, amica e amante di Will Shakespeare e a lui legata nel decidere le sorti del mondo

Perché infine c’è anche bisogno di utopia, dice Newman: «Dobbiamo lasciarci alle spalle la superstizione che ogni tentativo di risolvere i nostri problemi finisca nella distopia di Orwell. La storia ci insegna che le buone intenzioni non sono un segno di fallimento: dobbiamo permetterci di ragionare in termini utopistici, e di agire pragmaticamente per farli diventare realtà». Serve, specie ora.

Sandra Newman

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