«Ogni mattina, quando ci svegliamo, possiamo scegliere da che parte stare nel corso della giornata: se metterci da quella della paura, oppure da quella dell’amore». Così Guillermo del Toro, già autore di cult come Il labirinto del fauno e Hellboy, racconta il suo La forma dell’acqua – The Shape of Water. Il film ha conquistato 4 Oscar nell’edizione 2018: miglior film, regista, colonna sonora e scenografia, dopo aver vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia.

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Del Toro ha messo a segno la storia che voleva raccontare da anni, una vera e propria sintesi del suo immaginario sospeso tra horror e romanticismo. Siamo nell’America del 1962, in piena Guerra Fredda. Elisa (la bravissima Sally Hawkins, anche lei nominata) è una timida addetta alle pulizie sordomuta che lavora in un laboratorio del governo specializzato nella ricerca scientifica. 

È lì che fa il suo incontro con una misteriosa creatura anfibia tenuta prigioniera in una vasca: è un essere di cui nessuno conosce le origini, ma che forse potrebbe diventare un’arma contro il nemico. «Ho impiegato 6 anni per scrivere la sceneggiatura, è la storia che ho dentro di me da sempre» confessa il regista. «Innanzitutto perché insegna che i veri mostri non sono quelli che appaiono così all’esterno, ma la gente apparentemente perbene che invece nasconde un lato davvero orrorifico: basta vedere chi governa gli Stati Uniti in questo periodo per capire a chi mi sto riferendo. E poi perché La forma dell’acqua è un grande omaggio a tutte le storie che mi hanno ispirato fin da quando ero ragazzino, come La bella e la bestia e Il mostro della laguna nera, love story in cui tutto era possibile». 

Tenero e politico, il film è a detta di tutti i critici internazionali il capolavoro dell’autore messicano, forse perché è inaspettatamente anche autobiografico: «Io per primo so che cosa vuol dire sentirsi diverso» rivela Del Toro. «Ancora oggi, quando io o un membro della mia famiglia dobbiamo andare in ospedale per una visita, i medici pensano che non potremo pagarci le cure sanitarie solo perché parliamo con un accento spagnolo: ci trattano come immigrati clandestini, non sanno che sono un regista di Hollywood».

Guillermo non perde il gusto dell’ironia, e lo stesso fa il suo film, dove la commozione per l’amore impossibile (o forse no) tra Elisa e “il mostro” è bilanciato dall’energica forza della collega di colore Zelda (Octavia Spencer, altra nomination) e dalla tenerezza del vicino di casa omosessuale Giles (Richard Jenkins, candidato anche lui). Un mondo di “diversi” che ci insegnano una grande lezione: la normalità, qualunque cosa significhi, è molto più sfumata e complicata di quanto siamo disposti ad accettare.