Cordone ombelicale

Come donare o conservare il cordone ombelicale

Donarlo? Conservarlo per i propri figli? Una cosa è certa: al momento del parto questo concentrato miracoloso di cellule staminali non andrebbe mai sprecato. Perché è in grado di salvare delle vite

Federica Panicucci e Ambra Angiolini, Stefania Rocca e Justine Mattera: sono tante le mamme vip che hanno deciso di conservare il cordone ombelicale per i loro bambini. E che per farlo si sono dovute rivolgere a una banca all’estero. Nelle strutture sanitarie italiane, infatti, è vietato; quello che tutte possono già fare invece è donare il cordone al momento del parto, in modo che venga usato per la cura di altri malati.

DONARE IL CORDONE OMBELICALE

«È una fonte preziosa di cellule staminali» spiega Giuseppe Visani, direttore del Centro trapianti di cellule staminali dell’Azienda ospedaliera San Salvatore di Pesaro. «Queste sono in grado di generare  nuovi globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. E rappresentano una risorsa per la cura di gravi malattie come la leucemia mieloide acuta, il linfoma Hodking, la talassemia di tipo beta, l’aplasia midollare e le immunodeficienze congenite. Per questo donare è un gesto molto importante, assolutamente indolore e che non comporta rischi per la neo-mamma».

Per farlo basta chiedere se l’ospedale dove si partorirà è attrezzato per la raccolta o consultare l’elenco delle strutture fornito dall’Associazione donatrici italiane sangue del cordone ombelicale.

CONSERVARE IL CORDONE OMBELICALE

Sui vantaggi  della conservazione per il proprio bambino, invece, la comunità scientifica è ancora divisa. «Le malattie curabili con queste cellule per il momento sono poche e per quanto riguarda l’uso autologo del cordone non ci sono studi consolidati che prospettino nuove applicazioni» sostiene Paolo Rebulla, direttore della Milano cord blood bank della Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena.

«Le probabilità quindi che le cellule conservate vengano un domani usate per i propri figli sono molto poche. Meglio scegliere di donare il cordone che può essere utilizzato subito».

«Ben venga la donazione» ribatte la dottoressa Irene Martini, biologa e membro per l’Italia del Comitato di consulenza della Parent’s guide to cord blood foundation. «Anche se la possibilità di trovare un donatore compatibile è di una su 40mila. Se si può utilizzare il cordone proprio o di un consanguineo, invece, è di una su 4. Inoltre, in caso per esempio di leucemia, le probabilità di successo di un trapianto di staminali sono maggiori se queste arrivano da un consanguineo e non da un donatore estraneo».

Ma, da un punto di vista pratico, come si fa a conservare il cordone all’estero?

Rispondiamo ai dubbi più comuni delle mamme.

Come si trova una banca all’estero?

In Italia è vietata la pubblicità di queste strutture private. Molti si affidano al passaparola o a Internet. «Bisogna sempre  verificare che la banca abbia alcuni requisiti» consiglia la dottoressa Martini. «In particolare il laboratorio deve operare secondo il protocollo internazionale GMP (Good Manufacturing Practices) dell’Organizzazione mondiale della sanità ed essere in possesso dei certificati ISO 9001:2000 e ISO 13485:2003. Meglio se c’è anche un accreditamento con una o più di queste società: Fact (Foundation of accreditation of cellular therapy), Efi (European Federation of immunogenetica), American national standards institute regulatory accrediting body, Advancing transfusion and cellular therapies worldwide.

Quando e come bisogna muoversi?

Il momento giusto è intorno alla trentaduesima settimana di gravidanza. Servono il benestare della Direzione sanitaria dell’ospedale in cui si partorisce e il nulla osta del ministero della Salute. Il modulo si trova sul sito del Ministero della Salute nella sezione che riguarda la donazione del sangue del cordone ombelicale . Va scaricato, compilato e inviato al ministero via raccomandata, con l’autorizzazione dell’ospedale e le analisi del sangue della futura mamma.

Quanto costa la conservazione?

Due, tremila euro, che comprendono il prelievo in ospedale, il trasporto alla banca e 20, 25 anni di deposito.

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