Mia Wasikowska

Mia Wasikowska è una manipolatrice nel nuovo film

In Club Zero, in arrivo al cinema, è un’insegnante che spinge gli allievi a un digiuno estremo in nome della salvezza del Pianeta. «Non c’è nulla che mi piaccia in lei, però non devo amare un personaggio per interpretarlo!»

È così gentile e delicata che è difficile immaginarla nel ruolo di una pericolosa manipolatrice. Ma forse è proprio per questa sua dolcezza, paradossalmente, che Mia Wasikowska può fare paura.

Club Zero: il nuovo film di Mia Wasikowska

La 34enne attrice australiana, diventata una star di Hollywood da giovanissima, con Alice in Wonderland di Tim Burton e I ragazzi stanno bene di Lisa Cholodenko, torna sul grande schermo con un thriller psicologico: Club Zero di Jessica Hausner, nei cinema dal 9 novembre dopo l’anteprima ad “Alice nella Città”, alla Festa del Cinema di Roma, racconta una follia mascherata di normalità.

Interpreta Mrs. Novak, una docente di alimentazione consapevole in un collegio internazionale. La sua filosofia: mangiare meno serve alla salute e alla salvezza del Pianeta. I ragazzi in ansia per l’emergenza climatica iniziano a vederla come una guru e arrivano al digiuno estremo, autodistruttivo.

Bello, ma non ci vivrei: Mia Wasikowska e Hollywood

«Da attrice non devo certo amare un personaggio per interpretarlo» sorride in un completo bianco e nero che la fa sembrare ancora più sottile. «Non c’è nulla che ami di Mrs. Novak, ma è stato interessante esplorare il potere che esercita sui giovanissimi facendo leva sulla vulnerabilità».

Dopo il debutto a 15 anni in All Saints, serie tv australiana, Mia è volata a Los Angeles a girare un film dietro l’altro. Ma di recente ha preso le distanze da quella calamita di nome Hollywood: «A un certo punto mi sono chiesta se rimbalzare tra i vari set, accettando ciò che non mi convinceva pur di esserci, fosse quello che volevo davvero. E ho capito che non ho più questo tipo di ambizione. Reciterò meno, spero di fare la regista».

L’intervista

Che effetto fa interpretare una grande manipolatrice?

«All’inizio la vedevo come una maniaca del potere e del controllo, mentre la regista Jessica Hausner la immaginava in buona fede. Ho cercato di rendere Mrs. Novak ambigua: la convinzione di fare la cosa giusta rende la storia ancora più spaventosa. Detto questo, è disturbante vederla fare leva sui punti deboli dei suoi studenti».

Cosa la rende attraente?

«I ragazzi di oggi hanno ansie di vario genere, la più forte riguarda proprio la crisi climatica. E sono così umili e dolci nella loro voglia di fare la differenza, così lontani dagli adulti che sbuffano pensando “Ma perché devo riciclare?”. Gli adolescenti hanno un misto di entusiasmo e vulnerabilità, ed è facile approfittarne. Nel film Mrs. Novak sembra compensare una loro carenza profonda, un vuoto di cui sono responsabili le famiglie e i genitori».

Ha cercato testimonianze per capire meglio la situazione?

«Ho parlato con varie persone che hanno seguito dei guru o si sono affiliati a dalle sette, per poi magari fuggirne. Ne sono attratti per varie ragioni, ma soprattutto, perché sentono che nella loro vita manca qualcosa».

Da ragazzina lei è stata attratta prima dal ballo, che ha studiato a 13 anni per 35 ore alla settimana e ha lasciato a 14 per un problema ai piedi, e poi dalla recitazione, che ha ottenuto impuntandosi giovanissima a trovare un agente. Il bisogno di appartenenza può diventare una spinta pericolosa?

«Trovo molto, umano che ognuno di noi senta il bisogno di appartenere a qualcosa, che sia una comunità o un’attività. È un’esigenza universale, e l’ho sentita anch’io. Da adolescente, poi, hai voglia di credere in qualcosa di importante, più grande di te. E penso che oggi sia ancora più vero per le generazioni giovani. Faticano a trovare i loro punti di riferimento, mentre gli adulti non li capiscono».

Ha detto di volersi lasciare alle spalle la carriera di attrice per dedicarsi anche alla regia. Come vede il futuro?

«Per me fare film significa contribuire alla cultura, mentre Hollywood è più orientata al business. Non è che, non voglia guadagnare, ma il lato economico non è la mia priorità, desidero anche altre soddisfazioni. Vivo in Australia e mi sposto se mi offrono film interessanti. Intanto cerco di creare progetti che sento più giusti per me».

Che storie vorrebbe raccontare?

«Non ne parlo per scaramanzia, e anche perché non lo so ancora bene. Da attrice mi sono adattata a registi molto diversi e da ognuno ho imparato qualcosa. Se avrò una mia visione, forse sarà una combinazione di tutte le loro, da Guillermo Del Toro (con il quale ha girato Crimson Peek, ndr) a Jim Jarmusch (Solo gli amanti sopravvivono) o Mia Hansen-Løve (Sull’isola di Bergman)».

È figlia di fotografi: è stata influenzata dalla loro passione?

«Penso di sì, soprattutto da mia madre (Marzena Wasikowska, polacca, ndr). È lei che ci ha fatto appassionare anche al cinema. Non so se questo sia all’origine della mia scelta di recitare o della voglia di dirigere, di sicuro ho ereditato il gusto per l’immagine e la comunicazione visiva».

Ha vissuto un anno in Polonia, dove sua madre è andata per lavoro quando lei aveva 8 anni. Cosa ricorda?

«Quel periodo mi ha cambiato la vita e la testa. Mi ha aperto gli orizzonti. Prima ero immersa nel mio piccolo mondo a Canberra, non avevo mai visto una città europea. Cambiare è stato uno shock, ma anche un grande stimolo. Ho capito molto della cultura, di mia madre, che aveva 11 anni quando si è trasferita in Australia con la nonna».

E Los Angeles come le è sembrata, quando ci è arrivata a 16 anni?

«Stranissima. Spaccata tra il glamour di, facciata e la povertà della strada. Ricordo la Walk of Fame, piena di homeless sotto i cartelloni con promesse di sogni, le ragazze pagate per stare mezze nude alle reception. Non ho mai desiderato vivere lì, e a 22 anni sono tornata a casa in Australia, a Sidney. Sono grata per le esperienze fatte, ma anche felice di poter finalmente tornare a casa la sera, cucinare la cena e vedere gli amici»

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