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Come invecchiare con il sorriso

  • 17 06 2022
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Impara a invecchiare bene

Nasci e all’inizio della tua vita sei come una spugna: assorbi ogni stimolo, impari da tutto. Intorno ai tre anni anni d’età sei al massimo della flessibilità mentale, gradualmente potrai apprendere qualsiasi cosa. Il tuo cervello crea nuove connessioni neuronali, continuamente. Fino all’adolescenza accumulerai scoperte continue e neuroni freschi. Poi, lentamente all’inizio e sempre più veloce verso la fine della tua esistenza, smetteranno di formarsi nuove cellule cerebrali: moriranno i collegamenti fra un neurone e l’altro, come piccole lampadine stanche destinate a spegnersi. Forse anche tu hai studiato tutto questo sui libri di scuola nell’ora di scienze.

Invece no. Si trattava, ora lo sappiamo, solo di una delle tante teorie sulla mente. Nell’ambito delle neuroscienze il dibattito è infuocato e non c’è ancora accordo. Come cogliere ispirazione da tutto questo? Non dare nulla per scontato, ecco la prima cosa da ricordare. Tutto può cambiare, tutto evolve e anche quelle che abbiamo considerato le conoscenze più granitiche, dimostra da sempre la scienza, sono destinate a trasformarsi. Nel frattempo ciò che possiamo fare è iniziare a godere del tempo in modo nuovo. E festeggiare l’invecchiamento per i nostri anni, le avventure vissute, gli incontri e gli sbagli, le nuove consapevolezze che ogni giorno ci rendono ciò che siamo: anche questo significa invecchiare.

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Il cervello giovane

Un team di ricerca del Dipartimento di Psichiatria dell’Università Columbia di New York e della Divisione di Imaging Molecolare e Neuropatologia presso il NYS Psychiatric Institute, coordinati dall’italiana Maura Boldrini, studia l’ipotesi che il cervello umano sia in grado di produrre neuroni e rigenerarsi anche durante la terza età, contrariamente a quanto si credeva. Nelle loro ricerche Boldrini e colleghi si sono concentrati sul giro dentato dell’ippocampo, una parte del cervello collegata al sistema limbico che gioca un ruolo fondamentale nella memoria, nella navigazione spaziale e nel controllo delle emozioni in risposta allo stress. Osservando il tessuto cerebrale hanno rilevato in tutti i cervelli analizzati un numero simile di cellule progenitrici dei neuroni e migliaia di neuroni immaturi. Questo potrebbe voler dire che in uno stato di buona salute, in mancanza di compromissione cognitiva o patologie neuropsichiatriche, il nostro cervello avrebbe il potere di rigenerarsi a qualsiasi età, anche da anziani.

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Nella lettura medica non mancano le opinioni contrarie. Un gruppo di scienziati dell’Università della California nel 2018 ha raccontato di aver analizzato alcuni campioni di tessuto cerebrale (59, per l’esattezza) e non aver trovato giovani neuroni nei soggetti dopo i tredici anni d’età. Ma un cervello morto è ancora in grado di produrre nuove cellule? Non secondo un neuroscienziato come Fred Gage, presidente del Salk Institute for Biological Studies, il quale ha sottolineato come la neurogenesi non è un evento isolato, bensì un processo. Ancora oggi è un grande mistero ciò che accade nel nostro corpo. Quello che sappiamo, invece, è che possiamo fare cose straordinarie, anzi cose straordinarie non solo possono, ma accadono continuamente dentro di noi, senza che ce ne rendiamo conto. Attraverso le storie di persone a cui sono capitati gravi incidenti è emerso che il cervello può recuperare funzioni anche quando alcune sue parti sono irrimedialmente danneggiate.

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Il cervello plastico

Un tempo si riteneva, un’altra delle convinzioni che credevamo senza dubbio, che il cervello fosse diviso in aree, ognuna con una funzione specifica. Oggi sappiamo che si trattava di una semplificazione. Il cervello di persone che avevano vissuto traumi importanti ha mostrato incredibili processi di recupero evidenziando che emisfero cerebrale destro e sinistro possono supplire uno all’altro intervenendo quando una parte è danneggiata. Il nostro cervello è plastico: si modifica nel tempo, evolve e non può essere considerato un oggetto dato. Quello che sappiamo è che si tratta di una struttura complessa e dinamica. Alcune di queste scoperte sulla neuroplasicità si trovano nelle pagine scritte dal neurologo Oliver Sacks e Norman Doidge, psichiatra e autore. Sono storie di speranza e coraggio sulle infinite possibilità del nostro organismo, casi che dovrebbero farci riflettere: può accadere una rivoluzione quando iniziamo a contemplare possibile l’impossibile.

Lifting per l’anima

Mantenere il cervello ‘allenato’ con attività mirate, come lo sport o la lettura, ha effetti sul declino cognitivo e potrebbe influenzare positivamente la neurogenesi. Questo che cosa significa? Ha a che fare con le nostre azioni e le nostre convinzioni: ciò che facciamo e pensiamo ha un effetto, cambia, materialmente, la struttura cerebrale del nostro cervello. Cambiare idea e smuoversi dalle convinzioni che hanno sempre guidato la vita attua una rivoluzione, non è solo un modo di dire. Incredibile, vero?

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Un’altra delle nuove consapevolezze che oggi abbiamo riguarda il potere della mente inconscia, di cui già gli antichi prefiguravano l’esistenza. Che cosa comporta? Significa che la maggior parte dei processi vitali accadono sotto la superficie, al di là delle nostre decisioni. Dietro la nostra consapevolezza ci avvolge la nebbia di un territorio d’ombra: facciamo scelte di continuo e spesso a prendere la decisione ultima è un “noi” più ampio e profondo, di cui non ci rendiamo sempre conto, ma capace di tener conto di un’infinità di fattori, di cui la maggior parte sfugge al nostro controllo cosciente.

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Quindi… inizia a fidarti. Di chi? Di te, del tuo corpo, delle sensazioni che provi. Per anni lo abbiamo definito “sesto senso”, istinto, ora la scienza sta (ri)scoprendo, con un altro linguaggio, conoscenze che gli antichi raccontavano in forma di metafora e mito. Domitilla Melloni, analista filosofa e formatrice, nel suo libro “La musica dell’anima. Voce, canto, meditazione” (Enrico Damiani Editore) scrive di un esercizio che ama praticare durante gli incontri nei seminari. Si tratta di iniziare a cantare in una lingua sconosciuta: una tecnica che assomiglia al Gibberish, riproposta dal maestro indiano Osho. Di origine antica, il termine Jibberish, o Gibberish, indica l’emettere suoni… senza senso. Una lingua sconosciuta, inventata: “usa un linguaggio che non conosci: esprimiti in cinese, se non sai il cinese; oppure in giapponese, se non conosci il giapponese. Non usare il tedesco se conosci il tedesco”, spiegava Osho.

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Il nome della pratica nasce dagli insegnamenti del mistico sufi Jabbar. Evitare la struttura di senso delle lingue aiuta la mente a non aggrapparsi ai significati, e con loro ai pensieri e gli schemi che ogni linguaggio porta con sé. Ritroviamo il suono, con la purezza di quando eravamo esseri stranieri appena arrivati in questo mondo, piccoli viaggiatori abituati a esprimersi più con gesti, pelle e sguardi che con parole di senso. Mentre i suoni si propagano dalla pancia alla gola e fuoriescono attraverso la bocca, il corpo si muove liberamente nello spazio: trova nuove angolazioni e posizioni, fino a sceglierne una. Una volta scelta la posizione passa dal canto al respiro, gradualmente. Con dolcezza, il canto diventa fenomeno interno e il respiro fluisce, libero, come un filo capace di cucire interno e esterno. Di fatto, il respiro è il nostro trait-d-union fra universo interiore e quello esterno: esiste “un legame inscindibile che tiene insieme respiro-voce-corpo-suono-persona del quale tutti facciamo esperienza ogni giorno, senza mai davvero esserne coscienti” scrive Domitilla Melloni. 

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Immaginarsi in modo nuovo… e fidarsi

Non non abbiamo un corpo: la bioenergetica ci ha insegnato che siamo il nostro corpo. Allo stesso modo, noi siamo la nostra voce, anche se non ci facciamo caso. In fondo, quasi tutti siamo stati educati a non ascoltarci. Eppure, di voci ne abbiamo tante e nello stesso modo, se solo ci fermiamo un attimo e prendiamo il coraggio di guardarci indietro, possiamo vedere quanti pensieri abbiamo avuto: quante convinzioni abbiamo vissuto e “siamo stati”. In una sola vita, tante vite. Siamo state tante persone, tutte quelle che ci siamo dati il permesso di essere. Accade lo stesso oggi: siamo ciò che ci diamo il permesso e l’opportunità di diventare.

Un quaderno dove annotare il proprio diario di vita può essere un esercizio utile per fare chiarezza dentro di sé ed è utile… persino per dormire meglio, come consiglia “Il manuale del sonno. Come imparare a dormire per vivere meglio“, a cura di Antonio Gracco, Francesca Milano e Giulia Milioli (Edizioni LSWR). “Esprimersi attraverso la scrittura ci dà l’opportunità di prendere le distanze e rivalutare i problemi della nostra vita” riporta James Pennebaker, docente presso l’Università del Texas, da anni impegnato in un progetto di ricerca sui benefici della scrittura per la salute a livello fisico e mentale.

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Ogni giorno è un nuovo viaggio

“Diversa dalla mia di oggi è anche la voce della bambina che sono stata” scrive Domitilla Melloni “ma così come la bambina di un tempo è parte integrante della mia identità (se non ci fosse stata quella bambina, con il suo patrimonio di esperienza, io oggi sarei sicuramente una persona diversa da quella che sono), allo stesso modo anche la voce di quella bimba fa parte inscindibilmente della mia persona di oggi e della mia voce di oggi, che porta in sé tutti i segni degli anni nei quali quella bambina e la sua voce sono mutate radicalmente”. 

Siamo tutto ciò che abbiamo vissuto, siamo il prodotto delle cose che non possiamo cambiare, per citare la serie tv “Russian Doll” (seconda stagione). Sì, siamo anche questo: i nostri sbagli, fallimenti. Siamo il viaggio e tutta la strada che percorriamo, ostacoli compresi, fermate sotto la pioggia, autostop casuali e deviazioni impreviste. Ogni giorno è un viaggio che conosciamo e mentre ci ostiniamo a inseguire l’immagine dei nostri sogni, eternamente sfuggente, intanto la vita accade, con tutte le sue contraddizioni, le marce indietro e i ritardi.

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Insieme al bagaglio dei sogni (ri)trovati, perseguiti e voluti, ci portiamo dietro anche la scatola nera degli ideali infranti, delle delusioni e degli sbagli. Se c’è una cosa che gli anni insegnano è il valore del fallimento: chi non sa accettare la lezione degli errori tiene lontano la parte più preziosa. Perché dentro c’è la lezione del Tempo, l’abbiamo sperimentato sulla pelle, è una verità sentita. Grazie agli sbagli e agli inciampi, abbiamo smontato convinzioni e costruito nuove vite, relazioni, lavori. Frustrazione, inquietudine e insoddisfazione ci spingono a cercare altro. Sta a noi a andare a cercarci, anche oggi, il momento felice di una nuova alba. E trovare tempo per fermarci davanti al tramonto e ringraziare del tempo vissuto. Anche oggi.

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