Chris Hemsworth ha solo 39 anni ma vanta già una carriera brillante sui set cinematografici. Carriera che ora ha detto di voler interrompere momentaneamente: la sua nuova sfida, adesso, è convivere con una diagnosi di predisposizione genetica alla malattia di Alzheimer.

A rivelarlo è stato lui stesso, che ha annunciato di volersi prendere una pausa per dedicarsi alla moglie, l’attrice spagnola Elsa Pataky, e ai tre figli: India, di 10 anni, e i gemelli Tristan e Sasha, di 9.

La scoperta del rischio di Alzheimer

Come ha avuto modo di raccontare l’attore australiano, noto soprattutto per aver interpretato Thor nel film Avengers, la sua è stata una scoperta pressoché casuale. Mentre era impegnato a girare un episodio della serie Limitless per il National Geographic, che aveva come tema proprio l’invecchiamento e l’allungamento della vita, si è incuriosito. Avendo scoperto la possibilità, negli Usa, di sottoporsi a test genetici, non ha esitato, ma la scoperta è stata traumatica: Hemsworth ha saputo di avere tra l’8 e il 10% in più di probabilità di ammalarsi di Alzheimer nel corso della vita.

Lo shock e la reazione

L’attore, impegnato sia nel sequel del film che lo ha reso celebre, sia in un biopic su Hulk Hogan, ha dovuto prendere una decisione inaspettata: pur senza voler abbandonare il lavoro, starà lontano dai set: «La diagnosi ha fatto scattare in me la voglia di prendere una pausa. Sto portando a termine le cose che mi erano state assegnate e dopo voglio tornare a casa e… prendermi un bel po’ di tempo libero per svuotare la mente. Stare con i bambini, stare con mia moglie». Una scelta comprensibile, ma ora ci si chiede: è possibile capire se si è a rischio di Alzheimer? E una volta saputo, cosa si può fare?

I test genetici sull’Alzheimer

I test per la valutazione della predisposizione genetica all’Alzheimer sono diffusi soprattutto negli Stati Uniti: «Nel nostro paese non sono ancora così numerosi, mentre gli americani hanno impresso una grossa spinta a questo tipo di ricerche genetiche», spiega Marco Trabucchi, già professore ordinario di Neuropsicofarmacologia nell’Università di Roma Tor Vergata, specialista in psichiatria, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. I test si possono fare e non sono invasivi, sono prelievi di sangue, ma hanno dei limiti: «Non sono in grado di dire in che forma potrebbe comparire la malattia, per esempio se in forma pre-senile o senile; ma soprattutto di fronte a una diagnosi del genere, non si può comunque fare nulla a livello medico. L’impatto in termini psicologici, invece, può essere molto forte», aggiunge Trabucchi, autore del recente libro Aiutami a ricordare. La demenza non cancella la vita. Come meglio comprendere la malattia e assistere chi soffre.

I test genetici per l’Alzheimer non sono accurati

«Sono molti i test che indagano le predisposizioni genetiche, ad esempio per malattie neurodegenerative e anche cardiovascolari. Sono a pagamento e offerti da società private. L’accuratezza non è ancora elevata, possono aggirarsi intorno al 50%. Farli o no è quindi una scelta personale, ma occorre non dimenticare che la genetica non è l’unico fattore che conta», chiarisce il dottor Giuseppe Pasolini, Specialista in Geriatria e Scienze dell’alimentazione presso l’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento.

Quanto conta la predisposizione genetica

«Occorre saper interpretare i risultati di queste indagini tenendo conto, però, che l’Alzheimer non è il cancro: i test genetici per il tumore alla mammella, per esempio, hanno rappresentato uno strumento preventivo importante, ma in quel caso si cerca un gene in particolare. L’Alzheimer, invece, è dato da un insieme di più geni e da come questi interagiscono tra loro e con l’ambiente esterno, compresi lo stile di vita e l’alimentazione che possono avere un ruolo importante nell’insorgenza della malattia», spiega Pasolini.

L’importanza della prevenzione

Da qui l’appello a seguire uno stile di vita sano, dove non dovrebbero mai mancare un’alimentazione equilibrata (per esempio la dieta mima digiuno) e una giusta quota di attività fisica e sociale: «La dieta Mediterranea si è confermata una importante fattore di protezione, insieme a una vita attiva anche da punto di vista sociale. Mantenere relazioni con gli altri, interessi, hobby e un cervello attivo, aiutano a ridurre le possibilità di insorgenza dell’Alzheimer. Al contrario, la solitudine o la depressione possono favorirne la comparsa», conclude il dietologo e geriatra.