Shikoku, il Giappone della tradizione

Nell’isola di Shikoku, famosa per il pellegrinaggio degli 88 templi, si vivono esperienze uniche: i riti del tè e del bagno termale, la preghiera con i monaci e i sapori di piatti tramandati di generazione in generazione

L’isola di Shikoku tra le altre 14mila

Sono in una delle 14.000 isole dell’arcipelago giapponese: le hanno ricontate dopo aver digitalizzato le mappe e il numero è raddoppiato. Shikoku è il mio primo incontro con il Giappone, la più piccola delle 4 isole su cui sorge questo Paese, un po’ meno grande, per capirci, della Sardegna.

Ho bisogno delle coordinate per rendermi conto di dove sono poi, una volta tornata a Milano a colazione, con nonchalance il trentenne dietro al banco sentendomi parlare del Giappone mi confiderà il suo sogno: visitare Shikoku, l’isola degli 88 templi. Il paese del Sol Levante gode di un fascino inesauribile. Futon, sushi, ikebana, kimono. Parto con quello che conosco da qui e con quell’esotismo all’occidentale che a fatica riusciamo a scrollarci. Però è vero che il contatto con il Giappone rurale e della tradizione catapulta in uno spazio e tempo diversi. I nomi delle quattro prefetture in cui è divisa l’isola (Shikoku significa “quattro paesi”) cominciano a risuonarmi famigliari e io ne visiterò due, Ehime e Tokushima. Ogni città conserva il suo nome antico, come Tokyo chiamata ancora oggi Edo. Ogni parola ha un significato, una storia, un rimando. Anche i colori hanno la loro importanza.

Il rito antico degli onsen

Il Bagno dell'Imperatore di Dogo Onsen, a Matsuyama: è l'onsen più antico del Giappone
Il Bagno dell’Imperatore di Dogo Onsen, a Matsuyama: è l’onsen più antico del Giappone

Arancione è il colore di Matsuyama, la città più grande dell’isola. Nei campi si coltivano gli agrumi e la mascotte del posto è un orsetto-mandarino con le foglie al posto delle orecchie. Una volta raggiunto il centro ho la sensazione di aver trovato un rifugio, un perimetro invisibile eretto per me da super eroi dei manga per assicurarmi calma e silenzio. Di fronte a me ho Dogo Onsen. Onsen significa sorgente termale e ce ne sono molte in Giappone, dai grandi centri benessere ai bagni pubblici. Per i giapponesi è un rito che purifica il corpo e lo spirito. Nei romanzi a un certo punto succede quasi sempre che i personaggi entrino nella vasca di casa, dopo cena, per rilassarsi e chiacchierare. In un onsen pubblico, di solito ci si bagna anche all’aperto e si va rigorosamente nudi, donne da una parte, maschi dall’altra.

Dogo Onsen

Dogo Onsen è uno dei più famosi del Giappone, il più antico, e la bellezza dell’edificio con i grandi tetti spioventi ha ispirato La città incantata di Hayao Miyazaki. Attualmente è in restauro, ma nessuna delusione: qui vicino c’è Dogo Onsen Annex Asuka-no-Yu. Quiete e serenità sono l’anima del posto e nella grande sala con le vetrate che affacciano sul giardino si riposa sul tatami. Fuori, poco distanti, ci sono la Galleria e l’Orologio. La prima è un concentrato di sapori e artigianato. Ai miei lati si aprono i negozi con le porcellane della vicina Tobe, gli oggetti in bambù, i dolci tipici del posto, Botchan Dango, tre sfere verde matcha, giallo uovo e prugna, gli asciugamani in cotone della vicina Imabari, che ne produce quasi per tutto il Paese. Nella piazzetta dell’Orologio, guardo un po’ le figurine che a suon di musica escono, alcune immerse nelle vasche, e un po’ le signore che lì a fianco, sotto ombrelli con la tesa rossa, fanno il pediluvio in uno dei 10 bagni pubblici presenti in città. Spettacolo nello spettacolo.

La città castello di Ozu

Togli le scarpe, infila le scarpe. Guardo Stefano, uno dei miei compagni di viaggio: non è la prima volta che viene in questo Paese ed è partito con gli zoccoli, se li sfila in un attimo quando ci dicono che bisogna entrare scalzi, e succede spesso. Me ne compro un paio anch’io a Ozu, città famosa per il castello. Lo si intravede, bianco e nero, in mezzo al verde, con sullo sfondo le montagne e per un attimo mi dimentico di essere su un’isola con il mare a 20 chilometri. L’altra attrazione qui è Garyu Sanso, una dimora costruita alla fine dell’epoca Edo (dopo la metà dell’Ottocento). A raccontarmi la sua storia, e quella del villaggio intorno, è Diego Cosa Fernandez, architetto: le parole escono lente, il tono è pacato, in totale sintonia con il giardino ricoperto di morbido muschio. Diego è arrivato da Valencia tre anni fa rimanendo conquistato dal posto e dal progetto di rigenerazione urbana che coinvolge la comunità.

Il Giappone della tradizione

È un Giappone della tradizione quello che vedono i pochi turisti occidentali arrivati fin qui. E Garyu Sanso, con la sua Casa del tè a picco sul fiume Hijikawa, inondata di luce fin dal mattino, è un magnifico esempio di architettura che si integra con la natura: un albero fa da colonna portante della casa, tutto è legno e bambù intrecciato. In basso, intanto, nelle case di epoca Meiji (1868-1912), aprono le botteghe artigianali con le coperte lavorate al telaio, i porta bacchette in ceramica, gli shigure, dolci di farina di riso, marmellata di fagioli e salsa di soia. I canoni dolciari sono un po’ diversi dai nostri, proprio per questo diventa un gioco assaggiarne uno in ogni posto.

Il pellegrinaggio degli 88 templi

È arrivato il momento di spiegare per quale motivo Shikoku è un posto amato dai giapponesi. Lo sento dalla viva voce di Kyoko, che ha da poco fatto il pellegrinaggio degli 88 templi buddisti dell’isola. Lei, come molti, ha scelto un tour organizzato in autobus, farlo a piedi richiederebbe molto tempo e nel ricordare quella che comunque è un’impresa le brillano gli occhi. Ci si veste di bianco, indossando una giacca su cui è scritto “Mi accompagna Kukai” e con una borsa che racchiude il Sutra del cuore, la preghiera da recitare arrivati ai templi. Kukai è un santo per il Giappone, un monaco dell’VIII secolo nato nello Shikoku che mollò l’università, andò in Cina, divenne il discepolo prediletto di Keika, assorbì tutto quello che poteva dei suoi insegnamenti e tornò in Giappone praticando l’ascetismo. La leggenda dice che si deve a lui il percorso dei templi. Visito il numero 51, Ishiteji, che significa “sasso in mano”.

E Kyoko narra un’altra storia. Emon Saburo, un ricco agricoltore si rifiutò di fare l’elemosina a un mendicante insistente e, scacciandolo l’ottavo giorno, ruppe la sua ciotola, unico bene di un monaco. Poco dopo, gli 8 figli di Saburo morirono, uno ogni anno, allora lui si mise alla ricerca di Kukai (era lui il monaco con la ciotola) facendo il percorso dei templi, anche a ritroso, ma non lo incontrò mai. Gli apparve in sogno chiedendogli di esprimere un desiderio prima di morire e lui disse che voleva rinascere figlio del governatore per fare del bene. La richiesta si realizzò e nacque un bambino che aveva sempre i pugni chiusi. Lo portarono al tempio, li aprì e scoprirono che stringeva un sasso, da qui il nome del luogo. La mia guida mi ha preparata, prego con i monaci seduti in circolo a terra, accendo una candela e l’incenso. Kukai veglia su tutto questo e non solo con lo spirito: sulla collina c’è la sua statua, alta 16 metri, visibilissima prima di entrare in questa oasi di pace e silenzio.

Nella valle nascosta di Iya

Esiste un Giappone più nascosto e per vederlo bisogna raggiungere la valle di Iya, dove svegliandosi presto, al mattino, si assiste al fenomeno del mare basso di nuvole che nasconde tutto. In questa stagione però la nebbia lascia il posto ai ciliegi e alle azalee giapponesi, lungo una strada che sale a tornanti con il fiume in basso sempre più distante. È lo Yoshino, su cui navigare in barca, scendendo fra canyon, rocce di scisto cristallino, acque limpide e cormorani impettiti. Non c’è da fare nulla, solo guardarsi intorno, mentre sul ponte di liane lungo 45 m, che viene rifatto ogni 3 anni, è meglio fare attenzione a dove mettere i pedi. Lo avevano costruito per primi i samurai in fuga dopo una guerra fra clan e veniva tagliato in caso di arrivo dei nemici. Lasciarsi tutto alle spalle. Una bella sensazione da vivere in questo angolo di Giappone (e senza avere dei nemici che inseguono).

Da sapere

COME ARRIVARE

Con Ana si vola a Tokyo via Francoforte o Monaco di Baviera grazie a comode coincidenze da numerose città italiane poi con un volo interno si arriva a Matsuyama, nello Shikoku. Dal 4 giugno 2023, Ana e Pokémon Company lanciano lil Pikachu Jet NH*, un aeromobile personalizzato con servizi e prodotti speciali a bordo (ana.co.jp/).

DOVE DORMIRE

A Ozu, Nipponia Hotel è un albergo diffuso nell’antico villaggio con le case di epoca Meiji. Si dorme in abitazioni a due piani, ci sono una sala comune in cui servirsi di tè e caffè e unr ristorante dove gustare una cena raffinata. Fra i piatti: insalata di seppia e cavolfiore con limone Setouchi, tipico della zona, aragosta arrostita, filetto di maiale locale, torta ai mandarini di Ehime (nipponiahotel.com). Per le visite, Diego e Fan offrono esperienze tailor made: giri in bici, in canoa e a piedi (jp.visitozu.com).

Nella valle di Iya l’Hotel Kazurabashi è un ryokan (albergo tradizionale), dove la sera si gusta una cena tradizionale e in camera si dorme sul futon. Kazurabashi ha vasche interne ed esterne e in camera si trova la yukata, vestaglia in cotone indossata da molti ospiti anche a cena.

A Naruto-shi AoAwo Naruto resort è un grandissimo albergo sul mare. Ideale per una sosta prima del rientro in aereo, offre esperienze come l’Awa folk dance, la danza caratteristica di Tokushima (aoawo-naruto.com/en/publics/index).

IL SITO DA CONSULTARE

www.japan.travel/it

Riproduzione riservata