È il primo, clamoroso, segnale: l'impunità per gli orchi è finita. L'8 marzo Giorgio Sampec, 56 anni, è stato condannato dal Tribunale di Milano a 14 anni di carcere per violenza sessuale su bambine thailandesi. La condanna è avvenuta grazie alla legge 269 del 1998, che permette di processare nel nostro Paese gli italiani che compiono atti sessuali all'estero con bambini costretti a prostituirsi.

Un segnale importante: i processi celebrati in nove anni, però, si contano sulle dita di una mano. «Anche per i casi italiani la situazione è difficile: ogni anno vengono presentate solo 800 denunce e la metà si conclude con l'assoluzione» avverte l'avvocato Andrea Coffari, presidente del Movimento Infanzia, federazione di associazioni che promuove i diritti dei bambini. «La colpa è di un sistema di leggi sbagliato. In Italia i piccoli vengono interrogati come se fossero adulti e se si contraddicono il loro carnefice, magari il padre con cui vivono, viene assolto».

L'avvocato Giulia Bongiorno, deputato di An, e Maria Paola Merloni dell'Ulivo, hanno presentato una proposta di legge per cambiare le regole. «Sin dall'inizio delle indagini il magistrato dovrà avvalersi dell'aiuto di uno psicologo o di uno psichiatra» spiega Bongiorno «per ottenere informazioni dal bambino». Se poi un insegnante o una baby sitter, di fronte a segnali di grave malessere da parte del piccolo, finge di non vedere, rischierà fino a due anni di galera.

Hanno sporcato per sempre la mia infanzia

Sandra P. (non si sente di rendere pubblico il suo cognome) ci ha messo 12 anni a ricordare. Poi, nel mezzo di un'adolescenza difficile, sono cominciati incubi spaventosi, rivelatori. «Credevo di essere pazza» dice abbassando lo sguardo. «Non era possibile che quelle persone, che vivevano ancora accanto a me, mi avessero fatto certe cose. Così ho chiesto a mia madre. “Pensavo te ne fossi dimenticata” mi ha risposto laconica. Il mondo mi è crollato addosso. Se mia madre non reagiva, se non mi difendeva, voleva dire che quei soprusi in fondo me li ero meritati».

Ancora oggi Sandra non riesce a pronunciare i nomi di chi ha sporcato la sua infanzia. Lascia parlare le immagini: «Avevo 2 anni, credo, perché mi vedo con i capelli corti, e a 3 li avevo già lunghi. La mia famiglia era benestante, colta, cattolica, eppure mio padre... Dopo di lui, è stata la volta di mio cugino». Da tempo Sandra fa parte di un'associazione di volontariato che aiuta altre vittime di pedofili, vive da sola, lontano dalla casa degli incubi. Ma la sua ferita non è rimarginata. «Vorrei farmi una famiglia mia» dice. «Ma sento di non averne diritto, mi sembra di essere trasparente e che tutti vedano la macchia che mi porto dentro. Spero, un giorno, di trovare la forza per sbattere la verità in faccia ai miei genitori e urlare: “So tutto, non dimenticherò mai!”». Di piccoli violati come lei, in Italia, ce ne sono tanti. Troppi.

Andrea Coffari, nel libro I diritti dei bambini: un debito con la storia (Franco Angeli), in uscita a maggio, tenta un'angosciante stima. «Secondo due indagini su liceali condotte dall'università di Milano e dall'associazione Sos infanzia a Vicenza, il 15 per cento degli studenti è stato vittima di abusi da piccolo. Proiettato su scala nazionale, significa che oltre un milione di ragazzini su dieci milioni di minorenni è stato oggetto di violenze da parte del padre, di un parente o di un amico di famiglia. Ma solo l'1 per cento dei casi viene denunciato. I bambini come Sandra potrebbero chiedere giustizia una volta diventati adulti. Peccato che dopo dieci anni il reato cada in prescrizione».

Si vantava di aver fatto sesso con le bambine

Giorgio Sampec non è una bestia rara, ma uno degli 80 mila turisti del sesso italiani che ogni anno vanno all'estero a caccia di bambini. Per soddisfare la sua passione malata, il veronese aveva scelto di vivere dieci mesi in Thailandia e due in Italia.

Inchiodarlo non è stato facile: ci sono voluti la testardaggine di un pubblico ministero, Gianluca Prisco, un agente sotto copertura che si è finto amico, e la testimonianza di due autori del programma satirico Le Iene, Osvaldo Verri e Nicola Remisceg, che hanno raccolto le confidenze del pedofilo, nel 2005, a Pattaya, una delle più famose località balneari d'Oriente. Con loro Sampec si è vantato di aver avuto rapporti sessuali con centinaia di kaoti e tatine, ragazzini e ragazzine, thailandesi e cambogiane, tra i 7 e i 15 anni. «Ma servivano prove concrete» spiega Gianluca Prisco. «Per raccoglierle abbiamo impiegato due anni. Le prime conferme le abbiamo trovate sul computer di Sampec: 370 immagini pornografiche con bambine tra i 7 e i 9 anni. Non solo. All'agente sotto copertura, l'uomo ha mostrato alcune foto oscene che aveva scattato con il cellulare a cinque minorenni». Dopo otto mesi, la svolta: arriva l'autorizzazione delle autorità thailandesi a perquisire la casa di Sampec a Pattaya. Lì vengono trovati nove filmati che ritraggono l'uomo a letto con alcune bambine. «Un orrore» dice il magistrato. «Alcune avevano 10-12 anni, altre 14-16 anni». Il difensore di Sampec, Davide Adami, contesta però l'età delle bambine e ricorrerà in appello.

Comunque vada, la sentenza dell'8 marzo manterrà un alto valore simbolico. «Dimostra che la legge 269 funziona» spiega Marco Scarpati, presidente di Ecpat-Italia, associazione che combatte prostituzione e traffico dei minori. «Le indagini, purtroppo, sono ancora ostacolate dalla scarsa collaborazione tra Paesi. Dovremo stipulare accordi con Brasile, Kenya, Cambogia, Thailandia, Romania e Bulgaria, sulla raccolta delle prove contro i pedofili».

Mia figlia, violentata da uno zio

Rosa C. è una delle poche madri che ha avuto il coraggio di denunciare. Di sostenere fino in fondo la sua bambina. «Sa una cosa?» dice con un sorriso orgoglioso. «Mio marito e io rifaremmo tutto da capo, anche se i parenti ci hanno abbandonati. Siamo rimasti soli, assieme ai miei cognati la cui figlia ha subito violenza dallo stesso mascalzone, uno zio. Anche loro hanno rotto il muro di omertà. Però, adesso, alle feste i parenti invitano lui, il pedofilo, e non noi. Abbiamo rotto la sacra regola de “i panni sporchi si lavano in famiglia”». Rosa ha scoperto la verità sette anni fa, in un biglietto scritto dalla figlia adolescente a un amico e lasciato nella scatola dei trucchi, forse perché lei lo trovasse. La ragazza raccontava che da quando aveva 5 anni lo zio abusava di lei. Con la scusa di raccontare una favola alla bambina, mentre il resto della famiglia era riunita davanti al televisore, andava in camera sua e la violentava. «L'unico, vero, rammarico» confessa Rosa «è di aver accettato il patteggiamento. Ci avevano spaventati, dicendo che deporre in aula per nostra figlia sarebbe stato un trauma nel trauma. Così, alla fine, lui è stato condannato a due anni di arresti domiciliari. La sua vita è proseguita intatta, sua moglie non l'ha neppure mollato».

Ma davvero ha sbagliato, Rosa? L'audizione in dibattimento per un bambino è un'esperienza scioccante. «Nell'80 per cento dei casi» spiega l'avvocato Andrea Coffari «l'autore dell'abuso è un conoscente, un amico di famiglia o lo stesso padre. Immaginate cosa significhi per un piccolo parlare davanti a lui e a un pubblico di estranei, in maniera chiara e coerente, del fatto più devastante che gli sia mai capitato». «Un bambino non ha la stabilità psicologica di un adulto, i ricordi vengono alterati dalle emozioni» spiega l'avvocato Giulia Bongiorno. «Per questo la presenza di uno psicologo è una garanzia fondamentale. Non solo: il giudice dovrebbe concedere sempre la possibilità che l'interrogatorio avvenga in un'aula con vetro-specchio, così il piccolo non vede gli altri ed è più a suo agio».

Turismo sessuale e pedofilia: che schifo!

L'8 marzo è stato un giorno importante. Un italiano, accusato di abusi sui bambini thailandesi, è stato condannato a 14 anni di carcere. La sentenza è il primo passo di una strada lunga e drammatica. Per sconfiggere ciò che di più ignobile esiste al mondo. Come ci spiegano le testimonianze raccolte qui

 

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