Andrea Mongia

Chiamare l’ex a Natale. Sì o no? Un racconto

«Ma come sono finito così?» si chiese Claudio mentre staccava l’iPhone caldo di ricarica dal cavo per andare a pranzo a casa dei suoi. La famiglia al completo come ogni anno, la trafila dei parenti tutta allineata per dare a vedere di divertirsi. Mancava una sola persona: Albertine, sua moglie. Anzi, ormai la sua ex moglie. Che era in montagna con le amiche. Nella cucina – molto più grande di come la ricordava, ma probabilmente era l’abitudine agli spazi di città che gli aveva cambiato il modo di considerare i metri quadrati – lo sguardo giudicante di sua madre gli faceva venire voglia di ritornare in tribunale a chiedere scusa a tutti. Una chat, una banale chat senza significato aveva mandato in pezzi un matrimonio nel giro di 12 mesi.

«Non era neanche bella». Pensò alla sua amante, aveva deciso di chiamarla così, in realtà era solo una ragazza a cui scriveva e che non aveva mai incontrato. Ormai si scusava da solo almeno 10 volte al giorno: «Quando tradisci con qualcuna che non ti piace, vuol dire tradire un po’ di meno, no?». Più che infelice, però, era ancora incredulo: dimenticare Facebook aperto riesce a distruggere un matrimonio. La sentenza che aveva chiuso la causa era peggio che incredibile. «Ma come fanno, i giudici, a farsi condizionare così dai social network?» si chiedeva. “Un flirt via Internet che lascia trasparire un coinvolgimento sentimentale”: era su questo che si basava la sua condanna con addebito. «È tutto il sistema giustizia che non funziona». Claudio aveva cominciato a parlare a nome del cittadino medio senza accorgersene, atteggiamento tipico degli scontenti. «Ma che ne sa un magistrato di chi sono innamorato?».

«Forse io e Albertine potremmo ricominciare» si disse l’attimo dopo, sedendosi a tavola senza alcuna voglia di iniziare un pranzo di Natale. Sua madre avrebbe approvato una riconciliazione. E come si comincia ogni riconquista sentimentale? Scrivendo qualcosa di distensivo. Quella fu la sua più grande decisione da quando si erano lasciati: mandare gli auguri di Natale ad Albertine. Calcolò che dalla risposta di lei avrebbe capito se c’era un’altra possibilità.

Ore 12.30. «Buon Natale cara, Claudio». Dopo aver premuto “invio” sentì una fitta di rimorso e paura: il rimorso perché sembrava un debole, la paura era che lei lo ignorasse. Lo schermo rimase scuro per un tempo infinito. «Ti passa tutta la vita davanti» pensò «mentre non ti rispondono a un messaggio. È diventata velenosa e vendicativa. Che tipo di risentimento devi covare per non accettare nemmeno gli auguri di Natale?». Rimise il telefono in tasca, ma solo perché a tavola cominciavano ad arrivare le prime portate, i soliti immangiabili antipasti fritti di sua madre.

Nessuna risposta. Il telefono continuava a restare muto nei pantaloni. Claudio ci mise poco, però, a sentirsi di nuovo bene: «Se ti odiano così tanto da fingere di non vedere un messaggio di auguri vuol dire che davvero gli hai rovinato la vita» si disse. Quel pensiero sbilenco lo rallegrò all’istante: il risentimento di chi ci fa soffrire è mezza vendetta. Poi una piccola vibrazione gli arrivò fino alle ginocchia.

Prese il telefono. Ore 12.31. «Buon Natale anche a te, Claudio. Albertine». Quando ti rispondono dopo un minuto, cosa vuol dire? Gli importa di te o no? Si girò intorno per cercare qualcuno capace di rispondere.

Chi è l’autrice

Ester Viola, 38 anni, è nata a Morbegno (Sondrio), ha studiato Giurisprudenza a Napoli e oggi vive a Milano. Quest’anno ha pubblicato il suo primo romanzo, L’amore è eterno finché non risponde (Einaudi), diventato subito un cult.


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