Veleno: la serie tv, Bibbiano e le case famiglia

Il libro inchiesta sui "Diavoli della bassa modenese", diventato anche podcast di successo, ora è una docu-serie. Si intreccia con l'inchiesta "Angeli e demoni" (il caso Bibbiano) e con la questione degli affidi dei minori alle case famiglia, su cui c'è anche una commissione d'indagine. Qui spieghiamo bene tutto

Prima il libro, poi il podcast e ora la docuserie. Su Amazon Prime Video potremo vedere a partire da maggio Veleno in 5 episodi. E sarà sicuramente un successo, com’è stato per il libro, scritto dal giornalista Pablo Trincia (uscito con Einaudi nel 2019) e diventato poi un podcast, realizzato per Repubblica insieme ad Alessia Rafanelli.

La storia raccontata da Veleno

Il libro e il podcast raccontano una storia vera, così potente e simbolica da sembrare inventata. Vorremmo che lo fosse, invece si riferisce a fatti per nulla romanzati. Veleno ricostruisce le vicende legate a una presunta banda di pedofili e satanisti (i cosiddetti “Diavoli della bassa modenese”) che alla fine degli anni Novanta portò all’allontanamento di 16 bambini dalle loro famiglie. Molti dei genitori non hanno più rivisto i loro figli, alcuni si sono suicidati, altri sono espatriati, insomma una storia terribile. Vera, ricca di documenti e testimonianza e che nasce, come racconta l’autore, dalla notizia di una donna assolta nel 2014 dopo 16 anni dall’accusa di aver violentato i 4 figli. Da lì partono le indagini di Veleno che dalla provincia italiana allargano poi lo sguardo sull’America degli anni Ottanta. Qui, sostiene l’inchiesta di Veleno, si verificò uno strano fenomeno di “isteria collettiva”, un’onda nera satanista che – sempre secondo Veleno – inquinò famiglie e relazioni, spingendo i bambini ad accusare falsamente i genitori di abusi. In realtà quello fu un fenomeno sociale usato dai media per spiegare l’enorme numero di denunce di abusi che improvvisamente iniziò a lievitare. E fu utilizzata anche dagli avvocati dei padri/genitori accusati dai loro figli di abuso sessuale: cominciarono a usarla come strategia per difendere gli imputati nei processi. Come accade oggi nei casi di stupro: la vittima è definita isterica, quindi la sua denuncia è inaffidabile, un isterismo.

Quello che Veleno non dice

In realtà il numero amplificato delle denunce negli USA in quegli anni fu dovuto ad una campagna di sensibilizzazione contro gli abusi sui minori ed alla nuove norme introdotte, che finalmente permettevano una efficace lotta al crimine della pedocriminalità. Lo stesso – con 20 anni di ritardo – è accaduto in Italia quando la Legge 66 del 1996 introdusse una nuova normativa specifica per perseguire gli abusi sessuali sui minori: le denunce lievitarono. Così l’anno dopo, nel 1997,  fu presentata  l’Alienazione Parentale e si cominciò a usare come teoria difensiva per padri accusati dai loro figli di essere abusanti. Una teoria oggi sconfessata in tutto il mondo, ma in auge ancora nei tribunali italiani per difendere i genitori abusanti (nella maggior parte dei casi padri). La teoria dell’isteria collettiva, insomma, divenne un’arma in mano ai padri abusanti e ai loro avvocati.

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La teoria dei falsi ricordi su cui poggia Veleno

Insomma la materia è molto ingarbugliata e piena di chiaroscuri. Nelle sette puntate del podcast, Trincia e Rafanelli tentano di ricostruire i fatti, avanzando molti dubbi sul ruolo svolto da assistenti sociali, psicologi e ginecologi durante le indagini di 20 anni prima, criticandone i metodi e ponendo pesantissime domande sulle conclusioni. In pratica, raccontano di bambini a cui sarebbero stati instillati dei falsi ricordi, e di bambini vittime loro stessi dell’isteria collettiva. Ma in questo modo gettano ombre pesanti sulla credibilità delle vittime. Credibilità invece per nulla messa in dubbio dal processo. Nel 2021 la Corte di Appello di Ancona  ha rigettato la richiesta di revisione del processo avanzata da Federico Scotta e dalla moglie, condannati a undici anni di carcere. In pratica, le accuse di abusi erano fondate.

I Giudici hanno verificato che  «Le prove nuove proposte non sono in grado di alterare il quadro probatorio alla luce del quale intervennero le condanne per abusi sessuali oggetto di revisione…  dovendosi, piuttosto, apprezzare la solidità dell’impianto logico/ argomentativo delle sentenze impugnate e ravvisare l’inidoneità degli elementi nuovi a scalfire la decisione di cui viene chiesta la revisione….La pretesa inosservanza dei più aggiornati criteri dettati dalla cosiddetta “Carta di Noto” nella conduzione dell’esame dei minori – scrivono ancora i giudici – non determina nullità o inutilizzabilità della prova; se risultano violate le “linee guida” sull’ascolto del minore ciò non significa necessariamente che il narrato del minore sia falso. Semmai, le metodiche a suo tempo prescelte ( il metodo Cismai, ndr) ressero nello scrutinio di validità effettuato dai giudici che le ritennero funzionali allo scopo e non impregnate di errori “scientifici” tali da produrre la falsificazione di dati obiettivi» .

Il link tra Veleno e il caso Bibbiano

Alcuni dei professionisti coinvolti nell’inchiesta sui “Diavoli della bassa modenese” sono gli stessi che, 20 anni dopo, finiscono in manette nell’inchiesta “Angeli e Demoni” (il caso Bibbiano), iniziata nel 2018 e condotta dai carabinieri di Reggio Emilia. Si conclude con 18 misure cautelari nei confronti di politici, medici, assistenti sociali e liberi professionisti. Il processo è attualmente in corso, rallentato dall’emergenza Covid.

Il giro d’affari degli affidi retribuiti

Secondo il sostituto procuratore, gli indagati avevano messo in piedi da diversi anni un redditizio sistema di “gestione minori”, un giro d’affari da parecchie migliaia di euro, finalizzato ad allontanare i bambini dalle famiglie e collocarli in affido retribuito ad amici e conoscenti, per poi sottoporre i minori a un programma psicoterapeutico. Tra gli affidatari, anche titolari di sexy shop, persone con problematiche psichiche e figli suicidi. Inoltre risulterebbero anche due casi di abusi sessuali presso le famiglie affidatarie e in comunità, successivi all’illegittimo allontanamento. 

Il business delle case famiglia

Sia Veleno che l’inchiesta “Angeli e Demoni” cercano di squarciare il complicato intreccio tra giustizia, servizi sociali dei comuni, case famiglia e affidi. Vincenza Palmieri, Presidentessa dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare (INPEF) e Fondatrice dell’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Familiari (ANPEF), ha appena scritto il libro La filiera psichiatrica in Italia. Da Basaglia a Bibbiano e fino al tempo del Coronavirus, in cui denuncia l’intero sistema. «In Italia su dieci bambini uno è affidato al servizio sociale e questi sono i dati comunicati dal garante dell’Infanzia. 40mila minori sono fuori dalla famiglia, sono stati arrestati e deportati in affido. Conosco le loro storie e le loro famiglie. Quando si libera un posto in una casa famiglia si ‘pesca’ nelle famiglie con assetti problematici e invece di aiutare questi nuclei, invece di intervenire con progetti risolutivi e sussidi, si sottrae il minore. Così le famiglie diventano una miniera di persone da cui attingere denaro e profitti. Nel mio ultimo libro denuncio questo stato di cose. Un excursus storico-politico ed economico di quello che è il business che purtroppo ha come bacino di guadagno le fasce minorili».

La commissione d’inchiesta sulle case famiglia e i fondi pubblici

Per sorvegliare il lavoro delle case famiglia e come vengono gestiti i fondi è stata approvata nel 2020 una Commissione d’inchiesta bicamerale, che però non è mai partita. La deputata Veronica Giannone è tra le promotrici. «La Commissione potrebbe vigilare non solo sulle case famiglia, anche attraverso semplici verifiche sui bilanci, ma anche sull’operato dei Tribunali dei Minori e dei servizi sociali. Non è mai stata attivata. Perché? Il fatto è che il controllo dell’utilizzo dei fondi da parte degli enti e delle case famiglia – prosegue – è poco efficiente e si presta facilmente a essere eluso. Le case famiglia hanno un potere eccessivo che non dovrebbero avere. Inoltre, è il metodo di finanziamento delle strutture collocatarie a esporre, almeno potenzialmente, a un corto circuito grave per cui i fondi pubblici sono erogati in base al numero dei minori ricoverati e alla durata di ciascun collocamento. Più il minore rimane nella struttura, più aumenta la somma di denaro pubblico erogata» conclude Veronica Giannone. «Per questo motivo, le valutazioni dei gestori delle comunità dovrebbero essere considerate con diffidenza e sottoposte a verifica». 

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