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Morta la ragazza in carrozzina rifiutata da due scuole

A Milano una ragazzina con un tumore che la costringeva alla carrozzina, è morta senza essere stata accettata da due scuole, a cui aveva fatto regolare domanda. Possono le ore di sostegno insufficienti o l'ascensore rotto negare un diritto basilare come quello allo studio?

La scuola per una bambina, un bambino con un tumore è cura. La speranza è cura. Giulia (chiamiamola così) non ha avuto né l’una né l’altra.

Due scuole hanno rifiutato la sua domanda

Ed è morta a 14 anni sapendo che la prima domanda di iscrizione era stata rifiutata, e la seconda era in sospeso. Era in sospeso perché la scuola su cui era stata dirottata la sua domanda aveva promesso che avrebbe sistemato l’ascensore. Già, perché Giulia a causa di un osteosarcoma aveva subito l’amputazione di una gamba, quindi da un anno si spostava con la sua carrozzina

La seconda scuola non risponde più

Le scuole di cui parliamo sono a Milano e sono scuole di grafica. Ci racconta Luca Pellizzer, coordinatore del Comitato genitori dell’oncologia pediatrica dell’Istituto dei tumori, dove la ragazza era in cura e la sua famiglia trovava accoglienza, supporto, aiuti di ogni tipo. «La prima scuola rifiuta la domanda con la motivazione delle insufficienti ore di sostegno a disposizione: ma a Giulia non serviva un insegnante di sostegno perché non aveva disabilità cognitive, bensì motorie. La scuola sorvola su questo e dirotta la domanda su un altro istituto da cui la famiglia però non riceve risposta. Interpellata da alcuni giornalisti, la preside dell’istituto risponde che montacarichi, ascensore e servoscala non funzionano da molto tempo, ma che in 15 giorni sarebbero stati sistemati». Nel frattempo passa un mese e mezzo e Giulia non viene contattata, la preside interpellata non risponde più e Giulia si aggrava. In 15 giorni muore.

Quanti studenti con disabilità verranno esclusi?

Luca Pellizzer è lui stesso genitore e vive la sua vita in mezzo alle mamme, ai papà e alle famiglie di tantissimi bambini, bambine e adolescenti ammalati. Alcuni ce la fanno, altri no. Ma la vicenda peggiore di tutti questi anni – racconta – è stata proprio quella di Giulia: «Aver trovato un muro, non aver ricevuto risposta, guardare negli occhi questa ragazzina e mentirle, mi ha provocato un senso di vergogna e frustrazione infiniti, per me – adulto da cui i nostri figli si aspettano risposte e soluzioni  – e per lo Stato. Ma il vero dramma è che altri ragazzi con disabilità si vedranno negato il diritto di andare a scuola, semplicemente perché non ci sono sufficienti insegnanti di sostengo o i laboratori sono al secondo piano e nessun tipo di ausilio funziona. Oltretutto, sappiamo che spesso i ragazzi con disabilità scelgono istituti professionali che diano loro più garanzie di un lavoro in tempi brevi, quindi scuole con attrezzature e una dotazione che deve essere messa a disposizione di tutti».

L’autonomia scolastica rende il dirigente responsabile

Un’inclusione che spesso resta solo sulla carta, e comunque deve fare a pugni con la scarsità di fondi  o con l’autonomia degli istituti scolastici, che è un’arma a doppio taglio. Denuncia Silvio Premoli, Garante del diritti per l’infanzia e l’adolescenza del comune di Milano e Professore associato di Pedagogia sociale all’Università Cattolica: «L’autonomia delle scuole non consente che ci sia un autorità superiore al dirigente, cioè l’ufficio scolastico territoriale arriva fino a un certo punto. Ci possono essere richiami e – mi auspico – ispezioni, soprattutto se la domanda di iscrizione era stata formulata nei tempi giusti». Ma la scelta, alla fine, resta sempre del dirigente. «So per certo che durante il Covid alcune scuole hanno fatto una sorta di selezione all’ingresso, lasciando fuori ragazzi con disabilità, stranieri e Rom». Diciamo che scuole con una tendenza meno inclusiva, con la pandemia e la necessità di distanziamento hanno avuto più strumenti per limitare gli accessi ad alcuni target.

Il diritto allo studio delle persone con disabilità

Giulia quindi faceva parte di un target preciso: le persone con disabilità. Al momento dell’iscrizione però, segnalare che lo studente è portatore di disabilita, significa che ha bisogni speciali di cui la scuola deve tener conto, non che questa condizione sia una preclusione all’ingresso. «La scuola ha il diritto di rifiutare l’iscrizione, ma con una motivazione. E le poche ore di sostegno a disposizione, non sono un motivo valido per dire di no a una ragazza a cui il sostegno non serve» precisa Pellizzer. Giulia quindi è stata discriminata? Lo chiediamo all’avvocata Elisabetta Iannelli, segretario generale di Favo (Federazione delle associazioni di volontariato i oncologia): «La condizione di disabilità si dichiara nella domanda di iscrizione a scuola, ma non per chiedere se sia possibile entrare in una certo istituto, ma per chiedere un’attenzione in più, che la scuola è tenuta a dare. Il diritto allo studio delle persone con disabilità è stabilito da diverse disposizioni: l’articolo 24 della Convenzione Onu sancisce il diritto a ricevere un’educazione ed un’istruzione adeguata con l’obiettivo di sviluppare al massimo le potenzialità di ognuno. L’articolo 38 della Costituzione tutela esplicitamente il diritto allo studio delle persone con disabilità, affermando nello specifico che «gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Il Miur, poi, prevede l’obbligo dello Stato di predisporre adeguate misure di sostegno, alle quali concorrono a livello territoriale, con proprie competenze, anche gli Enti Locali e il Servizio Sanitario Nazionale. E infine la Legge 104/92 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l’infanzia e l’adolescenza e il lavoro, nell’età adulta».

A Giulia è stato negato un diritto basilare, che nel suo caso rappresentava anche la speranza.  Nel suo caso, più che altro, le procedure hanno preso il sopravvento su quel barlume di umanità che non dovrebbe mai spegnersi.

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