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Insegnanti di sostegno: troppi senza formazione

Gli insegnanti di sostegno entrano in classe per aiutare gli alunni portatori di disabilità fisiche o psichiche. Ma questi prof con un ruolo così delicato sono i primi a essere in difficoltà. Spesso arrivano all’incarico dopo aver cercato per anni un impiego in altri settori. E non hanno alcuna formazione specifica. Come ci racconta una ex attrice che insegue il miraggio di una cattedra

Troppi precari aspiranti insegnanti di sostegno

Prima di rispondere alla domanda Federica fa un sospiro, come a raccogliere il coraggio. «A inizio anno mi ero illusa che sarei riuscita a gestire la situazione, ma è tutto così complicato! Con Elena non riesco a stabilire un contatto. Ci sono giorni in cui torno a casa da scuola con i graffi sulle braccia, e certe volte mi ripeto che ho sbagliato tutto, che non avrei dovuto propormi per questo incarico». Federica ed Elena sono nomi di fantasia, per una storia vera e attualissima. A 43 anni Federica è una “precaria della scuola”, fa parte di quell’esercito di laureati in cerca di una cattedra, alle prese ogni anno con graduatorie e assegnazioni.

Insegnanti di sostegno: cosa fanno

Come tanti, anche lei si è “prestata” all’insegnamento di sostegno, e quest’anno si sta occupando di Elena, una bambina con un leggero disturbo dello spettro autistico. È un compito delicatissimo, il suo, perché l’insegnante di sostegno è quella figura che affianca l’alunno portatore di disabilità lavorando anche con il resto della classe, per favorire l’apprendimento e l’inserimento. Eppure Federica non ha né l’esperienza, né il titolo per farlo.

Più punti per gli insegnanti di sostegno

Il suo è un percorso comune tra chi si affaccia al mondo della scuola: se non sei di ruolo e hai punteggi bassi, oltre a proporti per le tue materie puoi offrire la disponibilità per l’insegnamento di sostegno. I posti vacanti sono tanti, le chance di una nomina annuale salgono. Solo che, una volta entrato, c’è da fare i conti con la realtà: disabilità anche gravi, famiglie e contesti sociali differenti, burocrazia e piani educativi da redigere. «A settembre mi era stato assegnato un alunno in una scuola primaria romana. Ho iniziato a lavorare sodo con i colleghi e il coordinatore del sostegno, un team meraviglioso » continua Federica. «Ma dopo due settimane i punteggi vengono ricalcolati e mi spostano in un altro istituto. Tutto il mio lavoro è stato buttato, quel bambino non mi ha più vista da un giorno all’altro, non voleva più andare a scuola. E io mi sono ritrovata al punto di partenza. Ora ho Elena, ma con lei è durissima. Ci sono giorni buoni, sì, ma quando mi sembra di aver fatto un piccolo passo avanti basta un nulla per ritrovarmi al punto di partenza».

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I precari al posto degli insegnanti di sostegno

È l’altra faccia del modello italiano di inclusione scolastica: poiché i docenti specializzati mancano, al loro posto ci finiscono i precari. Nel 2021/2022, dati Istat, gli alunni con disabilità erano 316.000, i docenti 207.000, e uno su tre non aveva una formazione specifica. Il sistema prevede che siano i dirigenti scolastici, una volta coperta la richiesta sulla base dei punteggi, ad abbinare gli insegnanti con singoli alunni, cercando i profili più adatti. Non sempre, però, ci riescono, e a volte gli esiti sono drammatici. C’è chi alla sua prima esperienza si ritrova in ambulanza con il suo alunno per una crisi epilettica o finisce nei guai perché il ragazzo che segue diventa violento con i compagni di classe. Chi racconta di “lotte fisiche” e capelli strappati. In molti – va detto- parlano di un’esperienza unica e arricchente, che al netto delle difficoltà restituisce qualcosa di unico dal punto di vista umano e professionale, ma è nel sistema il paradosso. «Ogni scuola ha una figura specifica, il coordinatore del sostegno, ci si confronta con i colleghi e si chiede aiuto e ci si fa guidare, ma in classe siamo soli, con quel carico di responsabilità enorme» si sfoga Federica.

Pochi corsi nelle università per specializzarsi

Il tema è tanto urgente che il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato a breve una riforma sul sistema di reclutamento, che deve supplire alla mancanza cronica di specialisti. «Gli insegnanti formati mancano perché non è semplice ottenere la specializzazione, anche per chi lo vorrebbe» spiega Manuela Pascarella, responsabile nazionale precari Flc Cgil. «Il percorso prevede 150 ore di tirocinio e ha un costo di circa 3.500 euro. Ma il principale ostacolo è che gli atenei attivano pochi corsi all’anno. C’è persino chi va a prendere il titolo in Romania, Spagna, Malta, facendo anche meno della metà di ore di tirocinio».

Perché molti aspirano a diventare insegnanti di sostegno

Complicato specializzarsi ma molto, forse troppo semplice entrare in aula. «Oggi per mettere un primo piede nella scuola come supplente sono sufficienti una laurea e 24 crediti formativi universitari, che si possono ottenere presso le università telematiche, con 500 euro e poche settimane di studio» continua la sindacalista. «Ma così si sforna una nuova valanga di aspiranti insegnanti, non sempre motivati e con scarse prospettive. Sempre più spesso sono over 40, a volte professionisti approdati alla scuola dopo anni di precariato in altri settori. La prospettiva di un contratto con i contributi e le malattie pagate ha spinto molti a virare in questa direzione». Affollano le graduatorie delle supplenze annuali, e chi non rientra può sperare in una cattedra provvisoria per il sostegno, proprio quella che richiederebbe competenze maggiori. «Esaurito l’elenco del personale con titoli, gli uffici scolastici passano a quello dei docenti con 36 mesi di esperienza specifica, per poi arrivare a chi ha dato semplicemente la sua disponibilità, anche senza competenze. A giugno usciranno finalmente dalle scuole 30.000 nuovi specializzati, ma non basteranno per colmare il vuoto».

Il dramma delle famiglie

Intanto, in prima linea a subire le conseguenze di questo disastro sono le famiglie, ogni anno costrette a sperare che la buona sorte mandi loro almeno una persona di buona volontà. Ma anche gli insegnanti, vittime due volte di un sistema che li manda allo sbaraglio. «Per 20 anni ho fatto l’attrice, ma nel 2020 con la pandemia i teatri hanno chiuso a tempo indeterminato e io ho dovuto voltare pagina» ricorda con un filo di tristezza nella voce Federica. «Ho iniziato con supplenze sporadiche, ma poi più passava il tempo più mi innamoravo sinceramente di questo mestiere. Avevo i titoli per diventare maestra elementare e quando ho sostituito una collega in maternità è stata un’esperienza bellissima. Per un precario però la vita professionale è un grande punto interrogativo e ogni anno scolastico un nuovo giro di giostra a occhi bendati. A settembre sapevo già che con il mio punteggio difficilmente mi sarei vista assegnare l’incarico che desideravo, e che per me non restavano che le supplenze a chiamata. Significa aspettare ogni mattina la telefonata di un preside, senza poter programmare nemmeno una visita medica. Mi sono detta, ci provo, mi rendo disponibile come insegnante di sostegno». Ora nelle giornate di Federica c’è Elena, con le sue difficoltà e i suoi bisogni, e non può essere lasciata sola. «Ce la sto mettendo tutta: cambio strategie, mi confronto con i colleghi esperti, continuo ad aggiornare il Piano educativo individualizzato, ma questo peso me lo porto addosso tutto il giorno, anche quando le lezioni finiscono, il portone della scuola si chiude e io torno a casa, con l’angoscia di non sapere come andrà la mattina seguente».

Il caso del bimbo con 17 insegnanti in 10 anni

Oggi solo gli alunni più fortunati completano il ciclo di studi con lo stesso insegnante di sostegno.

L’ASSOCIAZIONE SINDACALE DEI DOCENTI PRECARI ha segnalato il caso di un bambino pugliese con disabilità che in 10 anni ha cambiato 17 insegnanti di sostegno. E il dramma è che a ogni cambio, i più fragili tornano da scuola più agitati e spaesati di prima: quei calci e quei graffi dati alla rinfusa sono spesso proprio l’espressione di quel disagio. «I nostri ragazzi, in particolar modo gli alunni con disturbo nello spettro autistico, hanno un forte bisogno di punti di riferimento, e ogni cambiamento potrebbe causare una regressione» denuncia Moira Paggi, coordinatrice della Consulta sull’inclusione scolastica di Anffas, l’associazione che riunisce famiglie e persone con disabilità intellettive o disturbi del neuro sviluppo.

La loro voce sui social

Su Instagram è @sostengoconleidee. Angela Esposito, insegnante di sostegno, riunisce quasi 30mila follower con suggerimenti, idee e risorse per i colleghi e famiglie.

«NELLA SCUOLA VENETA DOVE SONO COORDINATORE PER IL SOSTEGNO abbiamo decine di alunni che necessitano di supporto, e pochi docenti di ruolo» racconta lei, originaria di un paese di mare in provincia di Caserta. Laureata in Scienze della formazione primaria, ha conseguito la specializzazione in sostegno e ha due master in ambito didattico. Insomma un curriculum perfetto ma anche a lei è toccato affrontare situazioni difficili: «Ho un terribile ricordo del primo giorno, dopo la lezione mi misi a piangere accanto alla macchina delle fotocopie. ERO FERMA ALLA TEORIA ma la vita vera è un’altra cosa. Il nostro è un lavoro complesso». È il sistema di reclutamento dice, che va cambiato nella sua interezza. «Non puoi rendere intercambiabili chi ha anni di studi o di esperienza alle spalle con chi ha appena messo piede in aula» continua questa professionista entusiasta che sul suo post in evidenza dice: «Che grande fortuna che abbiamo… è questo il lavoro più bello del mondo».

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