Buoni spesa, a chi spettano

Al via, sotto forma di generi alimentari e buoni spesa, gli aiuti per le famiglie in difficoltà economiche a causa dell’emergenza coronavirus

Sono in arrivo buoni spesa e prodotti di prima necessità, ma non per tutti. L’aiuto urgente – come annunciato dal premier Giuseppe Conte nei giorni scorsi – è destinato solo alle tante famiglie bisognose messe in ginocchio dall’emergenza coronavirus. Ora un’ordinanza della Protezione civile ripartisce tra i Comuni le risorse stanziate da Palazzo Chigi. Con il Dpcm del 28 marzo scorso infatti, il Governo ha messo a disposizione dei Comuni 4,3 miliardi di euro, anticipando il Fondo di solidarietà comunale. A cui si aggiungono altri 400 milioni erogati appositamente per interventi di solidarietà alimentare verso i soggetti più indigenti. Grazie alle risorse stanziate i Comuni hanno ora la possibilità di procurarsi generi alimentari e prodotti di prima necessità da distribuire alle famiglie. Oppure elargire buoni spesa da usare per l’acquisto di cibo in alcuni esercizi commerciali indicati in un apposito elenco sul sito di ciascun ente locale.

A chi spettano gli aiuti

Toccherà all’Ufficio Servizi sociali di ciascun Comune individuare i beneficiari degli aiuti. Ma anche fissare il contributo da erogare per soddisfare le necessità più urgenti. Nella scelta si darà priorità alle persone che non ricevono alcun sussidio né sostegno economico pubblico (come Reddito di cittadinanza, Rei, Naspi, indennità di mobilità, cassa integrazione guadagni o altre forme di sostegno previste a livello locale o regionale).

L’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani, ha precisato la possibilità per gli enti locali di distribuire i fondi attraverso avviso aperto e a scorrimento dei richiedenti aventi diritto (che potrebbero essere individuati anche con semplice autocertificazione) fino all’esaurimento delle risorse. In ogni caso, per scoprire le misure adottate in concreto nel proprio Comune si può consultare il relativo sito istituzionale o contattare l’Urp, l’ufficio per le relazioni con il pubblico di ciascun ente locale.

Occhio però alle tante truffe messe in atto tramite i social network. Come un finto annuncio che circola su Whatsapp il quale promette “buoni regalo alimentari per un valore di 200 euro”. Si tratta in realtà dell’invito a un sondaggio mirato a estorcere dati sensibili agli ignari compilatori. È la stessa Polizia postale a mettere in guardia contro questo e tanti altri raggiri messi in atto dagli sciacalli in tempi di emergenza, esortando i cittadini a segnalarli online o di persona.

Ogni Comune adotta la soluzione giusta per sé

Non è previsto un termine per usare le risorse erogate dal Governo, chiarisce l’ordinanza della Protezione civile. Per l’acquisto e distribuzione dei generi alimentari i Comuni possono avvalersi di enti del terzo settore e di quelli già attivi nella distribuzione alimentare nell’ambito del Programma operativo del FEAD (il Fondo di aiuti europei agli indigenti). Inoltre, gli enti locali potranno scegliere di attivare conti correnti bancari e postali in cui raccogliere eventuali donazioni destinate sempre all’acquisto di generi alimentari.

«Si tratta di risorse che i Comuni erogano sulla scorta delle attività abituali dei servizi sociali, nelle modalità adottate da ogni Comune in base alle esigenze: c’è chi porta direttamente i pasti a casa, chi provvede ad acquistare e consegnare la spesa, chi alimenta il Banco alimentare, la Caritas» commenta il presidente dell’Anci Antonio Decaro. «Ognuno continuerà ad agire come ha fatto fino a oggi. Però, grazie a queste risorse potremo far fronte a una situazione di disagio che non è quella ordinaria. Insieme si può risolvere il problema: ciascuno di noi può essere parte della soluzione».

Quanto spetta a ciascun Comune

Ma come sono state suddivise materialmente le risorse? Dei 400 milioni di euro totali messi in campo per l’emergenza alimentare, 320 sono ripartiti in proporzione alla popolazione di ciascun Comune. Il restante 20% è distribuito in base “alla distanza tra il valore del reddito pro capite di ciascun Comune e il valore medio nazionale, ponderata per la rispettiva popolazione” si legge nell’ordinanza firmata dal capo dipartimento Angelo Borrelli.

Il contributo minimo spettante a ciascun Comune non può mai essere inferiore a 600 euro. Ma in molti casi si tratta di somme molto più generose, come si scopre scorrendo gli elenchi della Protezione civile. Se prendiamo in considerazione tre enti locali qualsiasi, ad esempio: al Comune di Padova spetta un contributo di oltre 1.113.000, a Pescara di circa 675.300 e a Napoli di più di 7.625.000 euro e così via.

 

 

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