Giovanni Hänninen

Gruppo di ricerca
Nello scatto, fatto all’interno del NecstLab del Politecnico di Milano, da sinistra: Fabiola Casasopra, Letizia Clementi, Lara Cavinato, Sara Notargiacomo (Technology transfer manager del NecstLab), Irene Fidone e Giulia Guidi. Alcune di loro hanno già trascorso periodi di studio in università americane, altre lo faranno nei prossimi mesi tra quella di Berkeley e il Mit di Boston.

Perché io, donna, ho scelto ingegneria

Sono ancora poche le donne nelle professioni tecnico-scientifiche. Qui 6 studentesse del Politecnico di Milano (che hanno appena presentato progetti di ricerca negli Stati Uniti) raccontano come sono riuscite a vincere i pregiudizi. E ad assecondare il loro talento

Le giovani donne della foto sopra lanciano un bel messaggio di speranza: sono dottorande e laureande magistrali del Politecnico di Milano impegnate in studi tosti e nella lotta contro i pregiudizi che tengono troppe ragazze lontane dalle facoltà Stem (Scientifiche, tecnologiche, ingegne­ristiche e matematiche). All’interno del NecstLab, il la­boratorio del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, sviluppano ricerche in varie aree, dalla medicina personalizzata alle protesi intelligenti.

«La diversità è un valore che deve essere abbracciato per il raggiungimento di obiettivi ambizioni. Il NecstLab è sempre stato un laboratorio prettamente maschile di ingegneri informatici» dice Marco Santambrogio, direttore del NecstLab. «Nonostante ciò ad un certo punto abbiamo capito l’importanza di aprirsi alle diversità, sia di genere che di competenze. Oggi possiamo vantare una totale parità di genere e la coesistenza di una varietà di background dalla biomedica, all’informatica, all’elettronica, alle telecomunicazioni, al business». 

Certo è che c’è ancora tanto lavoro da fare nelle famiglie e nella scuola per abbattere le barriere culturali che impediscono alle ragazze di avvicinarsi alle Stem. Per questo sono preziose le testimonianze di 6 studentesse del NecstLab che raccontano grazie a chi, o a che cosa, abbiano potuto assecondare i loro sogni e i loro talenti.

«Siamo appena tornate dalla Silicon Valley dove abbiamo pre­sentato i nostri progetti a realtà tech locali» spiega Sara Notargiacomo (nella foto sopra), Technology transfer manager del NecstLab. «Abbiamo anche partecipato alla conferenza mondiale delle Wie, Women in Engineering. Come sezione delle Wie del Politecnico di Milano abbiamo analizzato, tra le pubblicazioni accademiche, quelle presentate da gruppi di uomini e donne per misurare quanto la presenza maschile e femminile in un team possa influire sulla qualità delle sue ricerche».


Lara Cavinato

«Mi occupo di ricerca biomedica per onorare una promessa che ho fatto a me stessa da bambina»

Avevo 12 anni quando mia nonna è morta di tumore. In quel periodo ho partecipato a un concorso letterario sul tema della solidarietà e ho scritto che da grande avrei fatto il medico ricercatore per contribuire alla lotta contro la sofferenza. Finito il liceo classico ho superato, in modo brillante, il test per l’ingresso alla facoltà di Medicina. Poi, però, ho “sterzato” verso la ricerca e mi sono iscritta al Politecnico. Ricordo ancora il giorno in cui sono tornata in classe dopo l’esame per Ingegneria: la prof di matematica mi ha abbracciata. È stata una scommessa su me stessa per non venir meno alla promessa fatta. Non solo. Mio padre mi spingeva verso gli studi scientifici e mia madre mi vedeva con il camice bianco. In qualche modo, adesso, li sto “accontentando” entrambi».

Fabiola Casasopra

«All’open day del Politecnico c’erano anche delle ragazze. Mi sono detta: è un posto per donne»

«In famiglia mi hanno sempre incoraggiata a scegliere quello che mi piaceva e da piccola giocavo sia con le bambole sia con il Game Boy. La decisione di fare Ingegneria è stata trainata dalla passione per la tecnologia e le materie scientifiche. Prima di iscrivermi ho partecipato all’open day del Politecnico e incontrare le ragazze che già lo frequentavano è stato rassicurante. Tanto che mi sono detta: “Questo è un posto anche per donne”. Di pregiudizi però se ne incontrano ancora: alle lezioni di Informatica ho avuto talora la sensazione di essere entrata nell’aula sbagliata, perché quasi non si vedono studentesse. Se invece dico fuori dal Politecnico che mi occupo di Ingegneria biomedica qualcuno commenta: “Ho capito: fai l’infermiera”».

Letizia Clementi

«Devo ringraziare il mio professore di fisica: avevo paura a fare il Politecnico ma lui mi ha dato fiducia»

«Alla fine del liceo scientifico mi sono trovata di fronte a un bivio: scegliere Lingue o Ingegneria? La seconda facoltà mi attraeva perché garantiva un posto più sicuro, ma avevo il terrore di non farcela. Ho superato l’impasse perché il prof di fisica è riuscito a trasmettermi grande fiducia. Si tratta di un bagaglio di forza e serenità a cui attingo ancora adesso nei momenti difficili e a quel professore, qui, voglio dire grazie di cuore. E sono contenta di riuscire a occuparmi di tutto quello che mi piace: ho capito che l’informatica racchiude molti aspetti del pensiero logico e linguistico che mi ha sempre affascinato e che un interesse per le tematiche sociali può essere la base da cui partire per un lavoro di analisi sui dati».

Irene Fidone

«Il messaggio dei miei genitori è stato: scegli ciò che ti piace. E io ora lo giro ad altri giovani»

«I miei genitori nell’educare noi figli non si sono lasciati intaccare dai pregiudizi: io, la femmina, ho scelto Ingegneria, mentre mio fratello, il maschio, Scienze della formazione primaria. Nel mio percorso fin qui, poi, è stata cruciale una professoressa del liceo che ha saputo esaltare le mie attitudini scientifiche: mi consigliava seminari a cui partecipare e mi ha messo in mano il libro dei test per l’ingresso al Politecnico. Adesso provo a sdebitarmi per tanta fortuna. Sono anche capo scout e come tale incontro tante ragazze e ragazzi in quello snodo della vita a cavallo tra le medie e le superiori, li incoraggio a non farsi troppi problemi e a seguire ciò che a loro piace davvero».

Giulia Guidi

«Mio padre mi ha cresciuta con un consapevolezza: essere donna non deve mai essere un freno»

«L’unica cosa che mi frena nella vita è la noia perché in tutto ciò che faccio ci metto tanto entusiasmo. Essere donna, invece, non è mai stato un limite più o meno inconscio perché la mia famiglia mi ha insegnato a scegliere con grande libertà. Mia mamma, laureata in Economia e commercio, mi ha anche trasmesso razionalità e metodica. Da bambina mio papà mi portava allo stadio, dai concessionari a scegliere l’auto nuova… Lui, agronomo, mi ha fatto apprezzare il contatto con la natura e l’approccio scientifico. Così, tra le materie a scuola, il mio primo amore sono state la chimica e la biologia. Quella con la matematica e l’informatica è una passione sbocciata più tardi. Alle superiori sognavo di fare Medicina, poi la scelta è andata sul Politecnico e ora sto per iniziare un dottorato di ricerca in Informatica. È bello l’equilibrio in me tra serendipità e consapevolezza: quelli che al momento parevano eventi fortuiti si incastrano in un percorso che mi porta a diventare la donna e la professionista che voglio essere».

Eleonora D’Arnese

«Il primo passo è stato amare le materie scientifiche. Il secondo scoprire quante sorprese riservano»

«Ripensando al percorso che mi ha portata fin qua devo dire che non ho mai avuto dubbi: ero certa fin da ragazzina che all’università avrei puntato sulle Stem, visto che ho sempre prediletto la matematica e le scienze alle materie umanistiche. Conoscere le mie attitudini vincenti è stato importante ma, anche una volta iscritta a Ingegneria biomedica, la mia strada non era ancora del tutto spianata. Confesso infatti che per l’esame di Informatica ero tesa, perché avevo un timore reverenziale verso i computer. E invece, sorpresa: ho scoperto quanto sia stimolante affrontare problemi sempre nuovi tramite dei codici».

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