Adolescenti che hanno prolungato il lockdown, isolandosi dai coetanei con cui comunicano solo virtualmente: la crisi sanitaria non ha fatto che accentuare uno scenario già noto, che preoccupa i genitori e spinge a porsi degli interrogativi. Secondo un’indagine svolta su un campione di oltre 9 mila ragazzi tra gli 11 e i 21 anni dall’Associazione nazionale per le dipendenze tecnologiche (Di.Te) in collaborazione con skuola.net, il 35% dei ragazzi è online tra le 11 e le 14 ore al giorno, mentre prima del lockdown meno della metà, esattamente il 15%, sfiorava le 10 ore di connessione. Videogiochi e Instagram vanno per la maggiore ma un’altra app sta spopolando: è TikTok, il social network che dà la possibilità di esprimersi raccontando il proprio vissuto con video, sottofondi musicali e balletti.

I più fragili sono i più a rischio

«L’impatto nella vita familiare può essere disastroso» commenta il dott. Francesco Marchianò, psicoterapeuta, già Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni e la Corte di Appello di Torino «perché è come se ci fosse un giovane membro della famiglia auto-recluso con cui è difficile stabilire un dialogo, cosa che favorisce tensioni e scontri. Alla base di questi comportamenti nei ragazzi ci sono insicurezza e sentimenti di mancata comprensione da parte dei familiari. A risentire meno del lockdown sono stati paradossalmente i giovani che nella vita reale hanno maggiori fragilità psicologiche e che a casa si sentono protetti». Non c’è da stupirsi, quindi, se ora che c’è la possibilità di uscire reagiscano ritirandosi e prolungando il lockdown oltre il tempo massimo, ma non sono gli unici, come sottolinea Claudio Tintori: «Quello che stiamo vivendo è l’effetto del distanziamento sociale dei mesi precedenti. In Italia, fino a poco tempo fa, il problema della dipendenza da internet non era preoccupante ma l‘immersione che tutti abbiamo subito tra marzo e aprile, sta assumendo dimensioni inaspettate. Infatti, se da una parte internet ha preservato l’interazione sociale, dall’altra il 90% della popolazione ci ha trascorso molto tempo consolidando un’abitudine rischiosa».    

Secondo gli esperti ad averne risentito maggiormente è comunque la generazione dei nativi digitali, abituati a muoversi in un mondo già digitalizzato e portati a credere che la comunicazione attraverso i social e il web si possa sostituire a quella fisica, come spiega Antonio Tintori, ricercatore dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche sociali del Cnr: «Durante il lockdown i ragazzi hanno abusato della rete sia per motivi didattici che ludici. La sovraesposizione è stata legittimata dalla didattica a distanza. Abbiamo però rilevato che all’aumentare del tempo trascorso su internet aumentano anche le emozioni negative come rabbia e ansia». Non solo. Tra le conseguenze del lockdown vissute dai ragazzi, anche stati depressivi, insonnia e disturbi alimentari, che si ripercuotono ancora adesso.

Figli iperconnessi, genitori confusi

In questi casi, la posizione di madri e padri è piuttosto scomoda. Molti reagiscono drasticamente staccando il computer oppure imponendo orari rigorosi che poi è difficile far rispettare. Ma trincerarsi dietro a no e divieti categorici sull’uso degli strumenti tecnologici può creare la convinzione che gli adulti non siano un riferimento, specie in un momento così delicato della crescita. 

I genitori dovrebbero evitare di reagire ad una digitalizzazione che non conoscono banalizzandola, atteggiamento che susciterebbe diffidenza negli adolescenti e rischierebbe di portare alla rottura, a volte in modo irrecuperabile. È più utile invece cercare di capire come si svolge la vita online dei propri figli. Ignorare questo significato comporterebbe lasciarli da soli a gestire un aspetto importante della loro quotidianità e sentirsi impotenti nel caso in cui dovessero verificarsi problemi.

Stimolare i 5 sensi e uscire dalla “cuccia calda”

Insomma l’iperconnessione è uno degli effetti collaterali della pandemia con cui dovranno fare molti conti i genitori, pur non essendo a loro volta esenti da questo problema a causa dello smartworking.  

Tuttavia, le reazioni al lockdown da parte di adolescenti e preadolescenti non sono state tutte uguali, come spiega Paolo Crepet: «Anche tra i giovanissimi c’è chi ha sviluppato una vera e propria avversione alla tecnologia. La maggior parte, però, ne ha abusato e continua a farlo rinunciando ad utilizzare tutti e cinque i sensi. L’utilizzo massiccio di tablet e pc contempla unicamente l’utilizzo della vista» prosegue Crepet. «Ma se questo comportamento era giustificato fino a poco fa, quando all’esterno c’era un rischio maggiore, ora bisogna stimolare i giovani a uscire dalla “cuccia calda” che si sono creati nei mesi precedenti. Un modo consiste nel proporgli attività piacevoli e alternative allo star chiusi in casa, che prediligano la vita di gruppo e la riscoperta del contatto con la natura».

La sindrome di Hikikomori

Esiste una soglia oltre la quale la problematica assume una connotazione più seria. È il caso dell’Hikikomori, un termine giapponese che si traduce in “stare in disparte” e viene utilizzato nei casi in cui un ragazzo o una ragazza decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi in casa e privandosi di ogni tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta anche quello con i propri genitori. L’Hikikimori vive al contrario: è capace di giocare tutta la notte e dormire di giorno e, nei casi più estremi, si fa lasciare i pasti davanti alla camera da letto. È un fenomeno che riguarda i giovani appartenenti a una fascia di età più elevata che va dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70% e il 90%), anche se il numero delle ragazze isolate potrebbe essere sottostimato.

L’Hikikomori nasce nella terra del Sol levante e si sta diffondendo anche in Occidente. «Questo isolamento estremo è la conseguenza di forti aspettative, pressioni sociali e familiari sulla riuscita scolastica e sulla spinta ad eccellere dei figli», spiega il dottor Marchianò. «L’Hikikomori viene spesso confuso con una dipendenza dalla tecnologia ma, di fatto, non è altro che la conseguenza di una problematica psicologica abbastanza importante. Sotto questo punto di vista, il lockdown ha rafforzato la tendenza a rimanere in stanza nei ragazzi già predisposti ad un uso spropositato di internet».

Spesso ne sono vittima i ragazzi bravi a scuola o che vengono percepiti diversi e per questo bullizzati. Il ritiro sociale risulta, quindi, una conseguenza della paura del confronto con i coetanei ma le cause a monte del fenomeno Hikikomori risiedono in una iperprotettività della madre e da una scarsa presenza della figura paterna che è quella, in qualche modo, preposta a favorire l’aspetto della socializzazione e dell’incontro con l’altro, come sottolinea il dottor Marchianò: «La fragilità di questi ragazzi è sempre legata ad una dinamica familiare. Il comportamento di un giovane che si auto-reclude e non si fa raggiungere dai membri della famiglia va intercettato il prima possibile e curato ma, nel momento in cui l’atteggiamento si struttura e si passa troppo tempo davanti al pc, la soluzione non è quella di togliere il computer, la playstation e il telefonino. Al contrario, il genitore dovrebbe riattivare un dialogo utilizzando il gioco e gli stessi strumenti tecnologici del ragazzo» conclude Marchianò.