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Alzheimer, il ruolo eroico delle famiglie dei malati

L’Alzheimer è un fenomeno mondiale. E i suoi numeri sono tali da farci rendere conto che nessuno di noi è realmente immune al suo impatto sociale. Inoltra si tratta di una malattia che può durare a lungo, mettendo a durissima prova la struttura familiare di chi ne viene colpito.

La persona con l’Alzheimer diventa un compagno di un viaggio che ci conduce nei misteri più profondi dell’esistenza. Un viaggio nel quale chi è colpito dal male arretra verso uno stato che a volte si fa puro vegetare. È come una farfalla stanca che compie il suo viaggio al contrario e alla fine della vita si ritrasforma in crisalide, si costruisce un bozzolo e vi si rintana. Dal suo sguardo, a volte non proviene più alcun segnale.

E allora chi si prende cura del malato diventa anche una specie di detective: la mamma sembra nervosa, che abbia mal di pancia o mal di denti? Il nonno si agita, che cosa non va? Bisogna cercare di intuire tutto ciò che loro forse provano, e non possono più dire. Altri alternano a fasi, anche lunghe, di quiescenza assoluta, fasi di delirio. Altri ancora danno in escandescenze e diventano violenti. Sono momenti difficili, tempeste domestiche per districarsi nelle quali occorre essere dei veri capitani coraggiosi.

Per questo motivo, per venire incontro sia a chi soffre di questo male sia a chi lo assiste, l’obiettivo primario – come ha detto la presidente della Federazione Alzheimer Italia Gabriella Salvini Porro – deve essere quello di sostituire definitivamente il concetto di “persona” a quello di “malato”. Solo così si potrà valorizzare il sacrificio, l’amore, la tenacia, l’abnegazione dei tanti famigliari curanti che assistono i loro cari. «Per le 1.241.000 persone con demenza stimate in Italia, e per le loro famiglie» ha sostenuto Salvini Porro, «è giunto il momento di cambiare la cultura dell’assistenza: qualità di vita e dignità della persona vanno al primo posto».

La demenza colpisce quasi 50 milioni di persone nel mondo: se vivessero tutti insieme, formerebbero una vera e propria nazione Alzheimer. Una nazione più grande della Spagna (che conta 40 milioni di abitanti) destinata a crescere anche di tre volte entro il 2050.

Per monitorare tutto questo, ogni anno viene stilato il Rapporto mondiale Alzheimer: quello del 2016 sottolinea i numeri dell’emergenza, ma individua anche le direzioni in cui lavorare: occorre un mutamento radicale dei servizi sanitari rivolti alle persone affette da demenza, che devono fondarsi su un’assistenza di base non specialistica in modo da poter raggiungere la popolazione colpita in maniera più capillare. L’assistenza, inoltre, deve essere olistica, continua e integrata, con particolare attenzione alla qualità di vita sia dei pazienti, sia di chi se ne prende cura.

Insomma, il messaggio è chiaro. La vera svolta è comprendere che non esistono i “sani” e i “malati”, ma le persone: e che il problema di uno riguarda tutti.

Lo scrittore Flavio Pagano ha cominciato a occuparsi di Alzheimer quando la malattia ha toccato la sua vita, colpendo la madre, esperienza da cui è nato il romanzo-verità Perdutamente (Giunti). Questo è il tredicesimo intervento di una serie, “Mai soli”, che vuol raccontare e ascoltare l’universo parallelo che è l’Alzheimer. L’universo di coloro che ne sono colpiti e di chi li assiste, perché curare vuol dire prima di tutto prendersi cura dell’altro. 

Le altre storie:

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2. L’istituto dove i pazienti si sentono a casa

3. Accanto a chi è malato fino all’ultimo respiro

4. La mia mamma malata mi ha accompagnato all’altare

5. La nonna che non ricorda mai che giorno è

6. Quando si arriva a dire: «Non ce la faccio più»

7. Com’è vivere accanto a chi c’è ma non c’è più

8. Perché la casa di riposo fa paura

9. Alzheimer, prevenirlo (un po’) forse si può

10. L’Alzheimer è un ladro bastardo (ma misericordioso)

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