Alzheimer e problemi del sonno: c’è una relazione

Il sonno è al centro di nuove scoperte sull'Alzheimer: un nuovo studio dimostra il legame tra le apnee notturne e lo sviluppo della malattia. Un altro, ancora in corso, chiama in causa l'RDB, un disturbo specifico del sonno REM. Gli uomini se ne accorgono prima perché i sintomi del sonno disturbato sono più riconoscibili. Ecco un aiuto per capire quando e come intervenire, soprattutto per le donne

Nelle nostre famiglie sono sempre di più i malati di Alzheimer, in prevalenza donne. Il 21 settembre ricorre la Giornata mondiale dedicata alla patologia, scoperta a inizio Novecento, che oggi è la forma più comune di demenza. In Italia ne soffrono oltre 600mila anziani e anziane over 65. Ma la cifra è destinata a triplicare nei prossimi anni, con costi sociali molto elevati. Chi voglia contribuire alla lotta contro questo morbo insidioso può partecipare all’iniziativa “Non ti scordar di te”: dal 17 al 30 settembre è possibile acquistare nei super e ipermercati Coop di tutta Italia una piantina di Erica Calluna, alla cifra simbolica di un euro. Il ricavato sarà devoluto alla ricerca medico-scientifica sul tema.

Due terzi dei malati sono donne

La demenza è legata all’invecchiamento, anche se in rari casi si può avere un esordio precoce, dai 30 anni in poi. Il genere femminile è maggiormente esposto all’Alzheimer. La malattia colpisce più le donne (circa due terzi dei pazienti lo sono) e progredisce in modo più veloce nel loro cervello. Anche a causa di una diagnosi spesso tardiva: le donne trascurano i sintomi e si rivolgono più tardi ai centri specializzati.

Il legame tra apnee notturne e demenza

Le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato che rischia di più l’Alzheimer chi presenta disturbi del sonno e del ritmo sonno-veglia. Ora uno studio, condotto da ricercatori italiani, prova come le OSA, le apnee ostruttive notturne, contribuiscano al declino cognitivo in tutte le demenze e in particolare all’Alzheimer. L’indagine è stata appena pubblicata sulla rivista Sleep medicine reviews.

Ma che legame c’è tra cattivo sonno e demenza? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Biancamaria Guarnieri, neurologa, tra i firmatari del report: «È un rapporto che va oltre quello che si credeva fino a pochi anni fa, quando i disturbi del sonno erano un triste accompagnamento della malattia che, nella fase avanzata, portava all’ospedalizzazione e comprometteva la serenità dei caregivers. Si è visto che le proteine dannose dell’Alzheimer, Beta Amiloide e Tau, si accumulano all’interno del sistema nervoso centrale soprattutto durante le ore di veglia e vengono poi eliminate dormendo bene. Perciò un sonno cattivo può interferire con questo meccanismo. Inoltre, uno studio americano ha mostrato un rallentamento dell’Alzheimer in pazienti curati per le apnee».

Difficile capire i sintomi delle apnee notturne nelle donne

I disturbi del sonno che hanno un rapporto con la demenza sono molteplici. «In età avanzata ci possono essere insonnia, parasonnie, disturbo del comportamento in sonno Rem, sindrome delle gambe senza riposo, eccessiva sonnolenza diurna, che non sempre è il corrispettivo di una notte in cui si dorme male. Poi ci sono le OSA, le apnee ostruttive notturne, che rappresentano un fattore di rischio e favoriscono una più veloce progressione della malattia. Si  manifestano soprattutto tra gli adulti, più nei maschi, e in oltre il 40-50 per cento dei casi di Alzheimer» prosegue la neurologa. «Gli uomini che ne soffrono in genere se ne accorgono prima e si rivolgono ai medici. I sintomi infatti sono evidenti, russano, fanno svegliare le loro compagne e di giorno resta loro una eccessiva sonnolenza. Nelle donne invece i sintomi sono meno facili da riconoscere: confusione, insonnia, difficoltà di concentrazione, mal di testa. Le donne hanno una prevalenza di apnee in alcune fasi del sonno (sonno Rem). Perciò nel loro caso le OSA sono ignorate dalle stesse pazienti, sotto-diagnosticate o diagnosticate in ritardo».

Come accorgersi delle apnee notturne e cosa fare

Alcune ricerche svolte in Nord Europa rivelano che l’insonnia in età media – 50 anni – è un fattore di rischio per demenze in età avanzata. Inoltre, le donne hanno una maggiore prevalenza di insonnia anche in relazione alla menopausa. Come fare dunque ad accorgersene per tempo? «Se siamo over 50 non accontentiamoci di un sonno disturbato, con vari risvegli, attribuendo la colpa all’età. Parliamone con il medico di base o con altri specialisti, ad esempio con un centro di malattia del sonno. Possiamo sottoporci a test di ambulatorio per capire cosa ci sta succedendo. Inoltre stiamo attente al sovrappeso e all’uso di alcolici alla sera. Curiamo il nostro sonno, salvaguardiamolo a tutte le età. È una funzione biologica importante che se trascurata può portare conseguenze».

Il nuovo studio sull’RDB, disturbo in fase REM

Il sonno finisce sotto la lente d’ingrandimento della scienza, dunque. Studiarlo può essere utile a perfezionare la diagnosi dei vari tipi di demenza e cogliere le differenze uomo-donna nell’insorgenza di queste patologie, ancora poco approfondite. Per questo motivo Airalzh onlus (Associazione Italiana per la Ricerca sull’Alzheimer) sta sviluppando e finanziando un progetto nel Centro di medicina del sonno della casa di cura Villa Serena di Città Sant’Angelo (Pescara). L’indagine si focalizza su l’RDB, il disturbo comportamentale in sonno Rem. La ricerca ha preso il via nel 2016. Finora si è concentrata su 20 persone di età media di 77 anni (40% donne e 60% uomini), a cui se ne aggiungeranno altre 10. I pazienti compilano un diario del sonno per una settimana (in cui indicano orario di addormentamento e risveglio, cosa sognano). Poi vengono sottoposti per una o due notti a video poli-sonnografia, un esame con elettrodi collegati al capo che registrano l’attività cerebrale notturna.

L’RDB è legato a malattie neurodegenerative

«I pazienti affetti da questo disturbo non sono immobili in fase REM, come avviene di solito, e in più sognano. I loro sogni sono vividi e con contenuto aggressivo, violento. E così in modo inconsapevole producono vocalizzi, calci, pugni per pochi minuti o anche più volte durante la notte» racconta Ilde Pieroni, ricercatrice dell’Università di Firenze, autrice dell’indagine. «Il nostro studio mira a perfezionare la diagnosi di Alzheimer e di demenza a corpi Lewy anche attraverso lo studio di questo e di altri disturbi del sonno».

Gli alimenti neuro-protettivi

Alcuni studi recenti dimostrano che uno stile di vita sano contribuisce a ridurre il pericolo di demenza. Tutto ha inizio a tavola: eliminiamo dalla nostra dieta le carni rosse, i cibi molto zuccherini e lavorati e i carboidrati raffinati. Riempiamo il piatto invece con legumi, pesce (sia grasso che azzurro), mirtilli, noci, semi, verdura a foglia verde. Non facciamo mai mancare nella nostra dieta l’olio di oliva e i prodotti con grano integrale (come pasta e pane). Si tratta di alimenti neuro-protettivi che danno energia al cervello.

L’attività fisica e la socialità

Oltre a mangiare sano, possiamo impegnarci a svolgere esercizio fisico, anche blando come camminare, ballare, anche fare le pulizie in casa. E poi teniamo in forma il nostro cervello studiando o divertendoci con le parole crociate. Infine, mai isolarsi. Non rinunciamo al contatto con gli altri, soprattutto quando è possibile. Ben vengano attività sociali come hobby, corsi di cucina, tornei di carte o altre attività di gruppo svolte in presenza.

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