Dormire poco, si sa, fa male, ma chi riesce davvero a concedersi 8 o 10 di sonno? Forse in pochi, ma questo non deve rappresentare un alibi, anche perché le conseguenze dell’insonnia possono essere anche gravi. Oltre alla spossatezza e a una maggiore irritabilità, a soffrire è il cervello, che può manifestare difficoltà sotto forma di problemi cognitivi e aumentato rischio di demenza. A scoprirlo sono stati i ricercatori del team di Wei Xu dell’Università di Qingdao, in Cina. Gli esperti hanno preso in esame 51 studi, condotti su una popolazione di persone di mezza età e over 70 negli Stati Uniti, in Europa e in Aria orientale.
Meno sonno può portare a demenza?
Gli esperti hanno scoperto che i problemi del sonno possono compromettere alcune facoltà cognitive, causando un’infiammazione dei tessuti del sistema nervoso centrale, dunque coinvolgendo anche il cervello e il midollo spinale. La conseguenza è un aumento del rischio di problemi e deficit cognitivi fino al 27% e di demenza (+25%), legati al minor apporto di ossigeno al cervello.
«È dimostrato che dormire male ha un impatto sia nell’immediato – sulle performance durante il giorno – sia sul lungo periodo, arrivando a deficit cognitivi più stabili. Negli ultimi anni si sta cercando di indagare quali siano i meccanismi alla base del legame tra i disturbi del sonno e le alterazioni dei processi cognitivi, oltre al nesso con alcune patologie come la demenza. Naturalmente molto dipende dal tipo di disturbo del sonno, se riguarda la qualità, la continuità o la durata» spiega Carolina Lombardi, responsabile del Centro di medicina del sonno dell’Istituto Auxologico – Università degli Studi di Milano Bicocca.
Colpa del “sonno inadeguato”
Se l’insonnia in sé è un disturbo piuttosto diffuso, a volte viene sottovalutato anche il cosiddetto “sonno inadeguato”: «Con questo termine si intende quella sensazione di non soddisfazione che si prova a volte al mattino quando non ci si sente riposati. Può dipendere dal fatto di aver dormito troppo poco oppure, pur avendo riposato un numero di ore adeguato, dal fatto di risentire di perturbazioni, come nel caso delle apnee notturne (più frequenti negli uomini) o dei movimenti (come per la sindrome delle gambe senza riposo, tipica più del genere femminile, che non permettono di godere del ristoro del sonno» spiega l’esperta.
Tra le possibili altre conseguenze della mancanza di sonno o del sonno inadeguato, secondo le analisi degli studiosi cinesi, ci sarebbe anche la maggiore difficoltà del cervello a svolgere la sua attività di “spazzino”: «Una delle funzioni del sonno, soprattutto nella fase Rem, è quella di consolidare alcuni processi della memoria, scegliendo tra i ricordi da conservare e non. In più, sono messi in atto meccanismi che servono ad eliminare sostanze “tossiche” che, se in accumulo, possono portare a malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Oltre a effetti funzionali e metabolici, poi, la carenza di sonno può portare a un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, come nel caso delle apnee notturne che sono correlate a un maggior rischio di ictus, oltre che a deficit cogniti a causa del minor quantitivo di ossigeno che arriva al cervello e ad altri organi» spiega la dottoressa Lombardi.
Apnea notturna e quantità di ore a letto
Proprio l’apnea notturna, secondo gli esperti cinesi, avrebbe un’associazione con i problemi cognitivi pari al 29%, proprio per la minor ossigenazione del cervello. Nell’analizzare e incrociare i dati degli studi, i ricercatori hanno esaminato le conseguenze della quantità di ore di sonno in soggetti valutati sul lungo periodo (da 3 a 10 anni e anche di più) e hanno scoperto ad esempio che chi trascorre più tempo a letto ha una minore possibilità di andare incontro a compromissione delle facoltà cognitive (15%) rispetto a chi dorme 6/7 ore o meno di 4.
Disconnessione, wi-fi sì o no?
Ma come si migliora la qualità del sonno? Uno studio del 2007, pubblicato su Scientific American e condotto dal Brain Science della Swinburne University of Technology di Melbourne (Australia), aveva mostrato come soggetti esposti alle radiazioni elettromagnetiche di telefoni e wi-fi avessero molte più difficoltà ad addormentarsi. I ricercatori avevano anche osservato cambiamenti nelle onde cerebrali.
Un studio, condotto nel 2013 da un gruppo di studenti danesi per verificare l’effetto del solo wi-fi sulla crescita delle piante, ha portato a concludere che gli organismi vegetali posti in una stanza in cui si trova un router hanno difficoltà o non riescono a crescere come quelli che si trovano lontani da radiazioni wireless.
Ancora più significative le conclusioni di un gruppo di scienziati di Pechino che nel 2014 ha mostrato come le radiazioni 4G causano una minor attività cerebrale in diverse aree nei soggetti esposti. «Anche se non ci sono evidenze scientifiche solide a riguardo, è consigliabile non solo spegnere il cellulare, ma anche non tenerlo in carica vicino al letto durante la notte e, nel dubbio, anche spegnere il wi-fi» dice l’esperta.
Le donne faticano di più ad addormentarsi
Secondo alcune ricerche le donne hanno una difficoltà maggiore di 1,25 volte nell’addormentarsi rispetto agli uomini, per diversi motivi. Secondo uno studio norvegese, pubblicato sul magazine Sleep Health, le donne sono più portate a leggere o a usare lo smartphone prima di dormire, il che riduce la produzione di melatonina e rende più difficile l’addormentamento. Spesso sono anche interessate dalla sindrome delle gambe senza riposo (+1,5% rispetto agli uomini), associata di frequente a carenza di ferro.
Se le apnee notturne sono più frequenti nei maschi, le cefalee da risveglio possono invece interessare chiunque non abbia dormito bene, a causa di un aumento della pressione arteriosa notturna e una carenza d’ossigeno dovute al sonno frammentato. «Le differenze di genere ci sono e non solo nel tipo di disturbo, ma anche nella sintomatologia. Per esempio, le apnee notturne sono ritenute un disturbo tipicamente maschile, ma sono presenti anche tra le donne, seppure sotto-diagnosticate. Questo perché nel genere femminile si manifestano soprattutto con la sensazione di minor soddisfazione da riposo, dunque sono meno associate alla mancanza di respiro tipica delle apnee, mentre negli uomini con il più classico senso di soffocamento o mancanza d’aria. Tra i motivi ci sono meccanismi ormonali differenti, ma anche la quantità di massa magra e grassa» spiega Lombardi.
I benefici della meditazione
A dimostrare i benefici della meditazione mindfulness contro l’insonnia sono i risultati di diversi studi pubblicati di recente sulla rivista Jama Internal Medicine, secondo i quali anche solo pochi minuti al giorno di pratica, possono aiutare a migliorare la qualità e la durata del sonno. Secondo un team di ricercatori della San Francisco University, inoltre, la meditazione aiuta a dormire meglio riducendo anche i rischi di depressione legati alla carenza di sonno. Basterebbero 15/20 minuti di attività, concentrandosi sul proprio respiro, tralasciando i pensieri ed evitando le distrazioni, per godere di benefici immediati. «Indubbiamente se le alterazioni nella qualità del sonno sono dovute alla cattiva gestione dello stress o a cause di tipo emotivo, è utile tutto ciò che favorisce il rilassamento, che sia muscolare o meditativo. Ma queste metodiche valgono solo se prima si è esclusa una problematica patologica come le apnee o la sindrome da gambe senza riposo» conclude Carolina Lombardi.