ragazza capelli lunghi

Vite sottili, il documentario sull’anoressia

“Vite sottili” è il documentario su tre ragazze con anoressia trasmesso su Real Time il 15 marzo, in occasione della Giornata nazionale contro i disturbi del comportamento alimentare. Qui la regista Maite Carpio ci racconta il suo progetto

15 marzo: Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla

I disturbi del comportamento alimentare rappresentano la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali. Occorre sensibilizzare su queste vere e proprie patologie, perché su di esse grava ancora oggi un pesante stigma sociale, come se malattie non fossero. Per questo l’anoressia nervosa e la bulimia hanno dal 2012 la loro giornata nazionale – il 15 marzo – e il loro simbolo – il Fiocchetto Lilla: un colore morbido e avvolgente per malattie complesse e sfaccettate, spesso accompagnate da dismorfismo, la percezione alterata dell’immagine corporea.

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Il documentario sull’anoressia “Vite sottili” su Real Time

Proprio il 15 marzo, su Real Time debutta il documentario Vite sottili: sottili come le ragazze che impariamo a conoscere, entrando in punta di piedi nella loro quotidianità, fatta di sguardi sbiechi, apparecchi ai denti e mani che stringono jeans stropicciati. Il documentario regala uno sguardo sincero e commovente sul fenomeno dei disturbi alimentari, che ci vengono restituiti come una vera malattia, raccontata anche dai medici. E così vediamo senza filtri Lorenza, Beatrice e Irene, tre ragazze in cura all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, e le loro famiglie, in un viaggio emotivo tra malattia e speranza. Prodotto da Garbo Produzioni per Warner Bros Discovery, il documentario arriva in prima tv esclusiva il 15 marzo alle 22.40 su Real Time e sarà poi disponibile su Discovery+. È stato realizzato dalla regista spagnola Maite Carpio, che abbiamo incontrato: qui ci racconta del suo progetto.

Di chi e di cosa parla Vite sottili

«Nel documentario entriamo nella struttura specializzata del Bambin Gesù, centro di eccellenza nel nostro Paese per il trattamento dell’anoressia e dei disturbi alimentari» racconta la regista. Il sostegno che viene offerto nell’ospedale romano non è solo a sostegno delle ragazze, ma anche delle famiglie. Partecipiamo alle sedute di psicoterapia di gruppo, ai controlli nutrizionali settimanali e agli incontri di terapia famigliare. Osserviamo il lavoro delle dottoresse che seguono le tre ragazze protagoniste, tra i risultati degli esami, il pranzo assistito nella stanza mensa e gli occhi sorridenti sopra le mascherine. «Oltre alla parte più prettamente clinica, il documentario fornisce anche uno sguardo più personale ed emotivo. Abbiamo infatti avuto la possibilità di seguire tre ragazze con i genitori e di osservare che cosa accade in una casa quando si scopre che una figlia soffre di anoressia».

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La vita delle ragazze in ospedale

«Il documentario segue il percorso di cambiamento affrontato dalle ragazze. Arrivano con molta paura e poi, piano piano, prendono confidenza e si affidano alla struttura. Ma soprattutto entrano in empatia con le altre e così si sentono meno sole, capiscono che il loro disturbo non è solo loro, ma riguarda anche altre persone. Insieme, condividono il grande peso che portano sulle spalle, che è quello dell’anoressia». Le ragazze del documentario si guardano spesso allo specchio, si toccano il viso, si misurano la circonferenza del polso, salgono sulla bilancia quattro volte al giorno. E pensano di essere le uniche a provare quel forte bisogno di dimagrire. Grazie al percorso in ospedale, però, comprendono di non essere sole. Nelle sedute di gruppo, si sorridono e si accarezzano la schiena, come a dire “io ti capisco”. C’è tanta solidarietà tra di loro: se una non mangia, tutte si scoraggiano, come se il male si potesse dividere.

La relazione delle ragazze con i medici

«Il rapporto con i medici è importantissimo. I disturbi del comportamento alimentare, tra cui l’anoressia, sono malattie complesse, che coinvolgono anche la psicologia, l’emotività e le dinamiche famigliari. Per questo servono terapeuti molto specializzati».

La storia personale della regista di “Vite sottili”

Sono difficili da raccontare questi disturbi: la paura di toccare sensibilità complesse, il timore di enfatizzare il pathos e di spettacolarizzare la sofferenza possono diventare degli ostacoli. Ma Maite Carpio ha vissuto questa condizione in prima persona, come genitore. «Sono entrata in contatto con la struttura del Bambin Gesù perché mia figlia, quando era più piccola, ha sofferto di disturbi alimentari e affrontato lì una terapia. Ho avuto così l’occasione di conoscere il modo di lavorare della struttura e soprattutto incontrare altri genitori che si trovavano nella mia stessa situazione. La mia esperienza personale mi ha permesso di avere un rapporto diretto con i dottori». Anche mamme e papà delle ragazze, al Bambin Gesù, partecipano alle sedute di psicoterapia di gruppo, per condividere le proprie esperienze ed essere di supporto agli altri genitori. “Mia figlia studiava in piedi, perché pensava di consumare più calorie”, dice un papà. “L’aiutavo a lavarsi in ospedale ed era come lavare uno scheletro”, dice una mamma. «I genitori sono una risorsa molto importante nel trattamento dei disturbi alimentari dei loro figli, e vanno ascoltati e supportati tanto quanto i ragazzi».

“Vite sottili” è pensato per i genitori

«Di fronte ai disturbi alimentari dei figli, mamme e papà si sentono spesso impotenti, non sanno cosa fare. All’inizio si pensa che sia una normale manifestazione di ribellione adolescenziale». I genitori di Lorenza, Beatrice e Irene si aprono con lo spettatore durante tutto il documentario. Comunicano le loro paure, il fortissimo senso di colpa per aver sottovalutato i sintomi iniziali, e poi la fiducia nelle loro figlie e negli specialisti. Un papà spiega come, all’inizio, sembrava tutto un banale capriccio. Poi un giorno la figlia è stata ricoverata e gli ha chiesto: “Quante calorie ha la flebo?”. I disturbi alimentari non hanno un impatto solo sulle ragazze: dove c’è una di loro che soffre, c’è un contesto familiare in uguale sofferenza. «Anche per questo motivo, il percorso d’aiuto necessita il coinvolgimento delle mamme e dei papà. Più parliamo di queste esperienze, più siamo loro d’aiuto. Il documentario vuole proprio mostrare quanto la famiglia sia importante nel percorso di riabilitazione».

Il documentario è d’aiuto anche ai ragazzi

«Il documentario mostra ai ragazzi che ci sono tanti coetanei con le loro stesse difficoltà. Più se ne parla, più si scalfisce lo stigma e il sentimento di vergogna che ancora accompagnano i disturbi del comportamento alimentare. Sono un tema che riguarda la salute pubblica». Le ragazze protagoniste del documentario non volevano i loro parenti a pranzo, perché non volevano che il mondo sapesse delle loro difficoltà. In “Vite sottili” trovano il coraggio di raccontarsi.

“Sottili” non fa riferimento solo al dimagrimento fisico

«Il titolo del documentario è stato voluto da Real Time e Discovery, e a me è piaciuto moltissimo. Sono vite sottili perché sono appese a un filo. E spesso si assottigliano tanto da diventare vite trasparenti. Ma la buona notizia è che di anoressia si guarisce; per questo il messaggio del documentario vuol essere, in ultimo, molto positivo». Positivo come l’animo di Irene, 14 anni, che agli spettatori (e a se stessa) dice: “Mangiare per vivere. Questo è il mio obiettivo, e non vedo l’ora di arrivarci”.

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