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Italia prima in Europa per morti da antibiotico-resistenza

Più di un terzo dei decessi in Europa per cause legate all'antibiotico resistenza avvengono in Italia. Usiamo troppi antibiotici anche quando non serve

L’Italia, è una drammatica conferma, resta il primo Paese in Europa per numero di morti legati all’antibiotico-resistenza, il fenomeno che permette a molti batteri di diventare immuni ai farmaci. Se ne sta parlando anche al Congresso nazionale della Società italiana di farmacologia, in corso a Firenze. I dati evidenziati dagli addetti ai lavori inquadrano una situazione pesante, drammatica. “Su 33.000 decessi dovuti a infezioni causate da microrganismi patogeni invulnerabili, registrati ogni anno nei Paesi della Ue, oltre 10.000 si contano in Italia“ .

Di antibiotici si abusa

“A forza di consumare antibiotici e di disperderli nell’ambiente – spiega Gianni Sava, farmacologo dell’Università di Trieste e consigliere della Sif – i batteri hanno cominciato a sviluppare difese per ‘proteggersi’ dal continuo bombardamento farmacologico e si sono evoluti, diventando resistenti. I sopravvissuti, una volta acquisite le barriere nel proprio dna, le hanno a loro volta passate alle generazioni successive. E così hanno creato colonie di super-batteri”. Le cause, ricorda l’esperto, sono di due ordini. Primo: “Ne consumiamo troppi, per esempio quando siamo influenzati. Peccato che gli antibiotici non curino le influenze”. Secondo: “Parte degli antibiotici finisce nell’ambiente e poi anche nella catena alimentare, perché sono utilizzati dagli allevamenti intensivi di polli, tacchini e suini, carni che arrivano nei nostri piatti”.

Gli italiani tutti medici di se stessi

Ma perché tutta questa dispersione? “Come detto – continua Sava – ne vengono consumati, e dunque prescritti, troppi, cioè anche quando non servono. Gli italiani, inoltre, hanno una pessima abitudine. Tendono ad ‘autoprescriversi’ le medicine e a prendere farmaci che hanno già nell’armadietto del bagno o che riescono a rimediare. Per gli antibiotici è un po’ più difficile che per altri prodotti, perché in teoria ci vorrebbe sempre la ricetta. Ma succede, per vari motivi. Farmacisti che forniscono le confezioni senza prescrizione, se conoscono il cliente o si fidano, ce ne sono. Qualche pastiglia non utilizzata in casa resta sempre. Nel mercato illegale, in rete, ormai si trova di tutto. E spesso capita che, pensando di essere guariti, si interrompano a metà terapie farmacologiche corrette”.

Dagli animali alla catena alimentare

Non solo .“Ogni giorno – rimarca il professore – ingeriamo antibiotici senza esserne consapevoli o comunque a nostra insaputa, anche attraverso il cibo. Vengono dagli allevamenti intensivi, dove dovrebbero servire per contrastare le infezioni legate alla promiscuità degli animali. Questi farmaci spesso sono somministrati anche a scopo preventivo, nonostante il bestiame non sia malato e nonostante esista una normativa che ne vieta l’abuso. Ecco quindi che altri antibiotici finiscono nella catena alimentare e nel nostro piatto”.

Un altro dato, per rendere l’idea e dare le dimensioni della situazione. “In Italia – certifica la Società italiana di farmacologia – il 50 per cento dell’utilizzazione globale degli antibiotici avviene nel settore veterinario, per allevare animali destinati all’alimentazione umana”.

Occorre sviluppare la ricerca

Come se ne esce? Con quali misure, collettive e individuali ? “Il nostro Paese – risponde sempre il farmacologo dell’università di Trieste – si dovrebbe adeguare meglio al piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza. Il ministero della Salute lo aveva ammesso nel 2017: su questo fronte l’Italia è stata meno efficiente rispetto alla maggior parte dei 34 Stati dell’Ocse», l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Dunque, è il tema che sta uscendo dalla discussione congressuale di Firenze, “è necessario escogitare nuove molecole, efficaci, e ci deve pensare la ricerca”. Ammette lo stesso Gianni Sava: «Attualmente abbiamo almeno 100 farmaci in studio dedicati alle malattie infettive e ciò non ci conforta. Ma pensiamo alla biologia molecolare, che non segue la strada della farmaceutica classica e batte nuove vie: per esempio puntando a disinnescare il batterio con ‘proiettili’ speciali, chiamati anticorpi monoclonali».

“Rispettare le indicazioni terapeutiche”

Intanto, però, occorre imparare a servirsi con criterio degli antibiotici che già esistono. ”È facile che si ricorra al farmaci di testa propria, con dosaggi e tempistiche sommarie, quando si è influenzati, senza sapere che gli antibiotici non curano l’influenza. Influenza e raffreddori sono causati dai virus e gli antibiotici non servono quindi a nulla”. Quando la prescrizione arriva da medici e specialisti, invece, “non andrebbero saltati giorni né dosi: le interruzioni spontanee o incidentali e l’assunzione di quantità farmacologiche inadeguate, oltre a compromettere l’efficacia della cura, facilitano lo sviluppo di batteri duri a morire. Un ciclo di terapia deve essere sempre seguito e completato, come da prescrizione. Sospendere un farmaco non appena si avverte un miglioramento è sbagliato. I batteri potrebbero non essere stati debellati del tutto, ma essere ridotti in numero tale da non causare sintomi – da cui il miglioramento percepito – per poi tornare a mordere con maggiore violenza, grazie alla tregua che abbiamo concesso”.

Altre informazioni e altre indicazioni arrivano dal servizio di Sorveglianza nazionale dell’antibiotico-resistenza e dalla Sorveglianza delle carbapenemasi (enzimi che distruggono una famiglia di antibiotici), coordinate entrambe dall’Istituto Superiore di Sanità. Gli otto patogeni tenuti sotto stretta osservazione sono Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species. “Purtroppo – conferma Annalisa Pantosti, responsabile della Sorveglianza Ar Iss – gli ultimi dati disponibili mostrano che i livelli di antibiotico-resistenza e di multi-resistenza delle specie batteriche monoitorate sono ancora molto alti, nonostante gli sforzi notevoli messi in campo finora, come la promozione di un uso appropriato degli antibiotici e di interventi per il controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza sanitaria”.

Consigli per caregiver e operatori

I suggerimenti dati da più fonti i al personale che opera in ospedali, case di riposo, centri di riabilitazione e ambulatori valgono, mutatis mutandis, anche al di fuori delle strutture sanitarie e assistenziali, per tutti. Lavarsi le mani spesso e bene – ribadiscono sanitari, case farmaceutiche, associazioni professionali e di parenti – è cosa più semplice e insieme più importante. Acqua e sapone o gel igienizzanti minimizzano la presenza batterica e la possibilità di diffonderla nell’ambiente dell’assistito o di trasmetterla direttamente sulle mani, sul viso, sugli indumenti e sul corpo della persona accudita. Bisogna poi fare attenzione ad anelli, orologi e bracciali: riducono l’igiene delle mani e la sicurezza dei guanti, più soggetti a rotture a causa dell’attrito. “Questi oggetti costituiscono un luogo di concentrazione batterica; sono difficili da igienizzare e rendono difficoltosa una corretta pulizia delle mani. Meglio toglierli e di riporli in un posto chiuso prima di lavarsi le mani” .

Attenzione ai cellulari e agli altri vettori di batteri

Stesso discorso per gli altri vettori di microrganismi, a cominciare da chiavi, monete, smartphone. Il cellulare è micidiale. Pulirlo con frequenza non azzera la quantità di batteri che lo ricopre. “Non deve essere utilizzato come mezzo di intrattenimento di un malato, lasciato nelle sue mani o appoggiato su letti e cuscini”. Guanti e mascherine andrebbero tenuti sempre a diposizione, per proteggere sia chi li indossa, sia i malati ricoverati sia un familiare con patologie contagiose. Un’alimentazione sana e appropriata – altro must – è un fattore non trascurabile per la tutela della salute. L’autonomia nel cibarsi, ove possibile, “è sempre da preferire, in quanto chi aiuta a tagliare, sbucciare o imboccare potrebbe essere fonte di contagio o infezione”.

Mezzi di trasporto e impianti da tenere puliti

Anche i mezzi di trasporto – che siano ambulanze, macchine o taxi – diffondono batteri e andrebbero puliti e sanificati con frequenza, se non al termine di oggi viaggio con un paziente o un malato a bordo. Guanti e mascherine possono fare la differenza, per la prevenzione della trasmissione di alcuni tipi di batteri., ad esempio la legionella. A rischio, per l oro diffusione, possono essere pure le docce, i rubinetti, gli impianti di condizionamento e riscaldamento non tenuti puliti o non sottoposti a manutenzione e igienizzazione.

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