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Bambini iperattivi: a chi chiedere aiuto

La mamma di un bambino con Adhd, un disturbo da deficit di attenzione, in una lettera arrivata in redazione racconta la sua storia. L'Adhd è un disturbo stigmatizzato e di difficile diagnosi. Ecco chi può aiutare le famiglie

La mamma di un bambino con Adhd, il disturbo da iperattività e deficit dell’attenzione, racconta a Donna Moderna la sua storia in una lunga, densa e bellissima lettera. «Quasi tutti i bambini iniziano a camminare più o meno dopo l’anno. Mio figlio a 7 mesi si è messo in piedi e ha cominciato. E mica a camminare. Ha preso a correre come un matto e ad arrampicarsi su tutto quello che trovava, mobili, librerie, armadi. Ho passato 15 anni della sua vita a badargli ed educarlo come tre generali messi assieme». Anche quando scrive, Isabella ha i toni imperativi di chi ha imparato a farsi dura come una roccia e intransigente come un militare.

Parla la mamma di un bambino con disturbo da deficit di attenzione

«Lavoravo fino alle 13, poi lo prendevo da scuola e fino all’indomani eravamo sempre fuori, perché era impossibile tenerlo in appartamento. Impossibile lasciarlo a qualsivoglia baby-sitter, sono scappate tutte». È così che ha vissuto, ci ha spiegato poi al telefono. Ogni giorno in guerra contro tutto e tutti, cercando di insegnare al suo bambino “a stare al mondo”, mentre tentava di tenere insieme il resto per non franare: l’altro figlio, il lavoro, suo marito.

Come individuare un bambino con l’Adhd

Il disturbo da deficit dell’attenzione è un male subdolo, perché si nasconde dietro un’apparente normalità. Si stima colpisca il 5% dei bambini con diversi gradi di gravità, ma i suoi sintomi principali, un’iperattività fuori dal comune e una disattenzione cronica, portano a volte a scambiarlo per vivacità o disagio. La differenza, però, è che questi bambini non riescono a soffermarsi per più di pochi minuti su nulla, non sanno giocare, né soli né con gli amichetti, godersi un cartone animato, figuriamoci stare seduti in un banco.

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Chi può fare la diagnosi di Adhd

È lunga la strada della diagnosi per i bambini con Adhd. «Sono il più delle volte gli insegnanti a segnalare ai genitori che qualcosa non va» spiega Vera Valenti, responsabile dell’Unità operativa di Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza al Fatebenefratelli di Milano. «Ma per arrivare a una diagnosi corretta c’è bisogno di un neuropsichiatra infantile specializzato in questo disturbo. L’Adhd si manifesta in forme diverse, in alcuni casi, per esempio, i bambini non sono iperattivi, ma solo molto distratti». Intercettare la malattia è però di vitale importanza, per regalare anni di serenità al bambino ed evitare che il percorso scolastico diventi un infermo. «L’Adhd è una malattia neurobiologica, non la guarisci, ma puoi curarne i sintomi e imparare a gestirla con diversi strumenti» chiarisce l’esperta. La cura prevede anche l’uso di farmaci psicostimolanti, ma non sono l’unica scelta terapeutica. «Non possono essere prescritti sotto i 6 anni, e sono indicati solo nei casi gravi, in accordo con i genitori e in abbinamento agli interventi di tipo psico educativo. Sono usati per aiutare a mantenere più alto il livello di attenzione, e nei bambini con tendenza oppositivo provocatoria aiutano a controllare gli impulsi, ed evitare che finiscano nei guai».

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L’iperattività è anche di notte

Prosegue a raccontare Isabella: «Le regole non le rispettano, perché si perdono durante la spiegazione, è come se il loro cervello corresse a 100 all’ora mentre il mondo va a 20. Sono eternamente fuori tempo, e nel loro turbinio risucchiano l’intera famiglia. Come se tutti fossimo su una giostra che non si ferma mai» dice Isabella. «Io ero sola a dover fare tutto, in una città che non era la mia, con un marito che era via tutto il giorno e spesso anche la notte per lavoro. I primi anni mi conoscevano tutti in quartiere, perché le notti le passavo al parco, le guardie giurate che vigilavano in zona passavano a vedere che fosse tutto ok. Al pomeriggio ero lì a fare i compiti o spiegargli le regole di convivenza, insegnargli a memorizzare i passaggi per giocare con un compagno e a organizzare bene la cartella di scuola, anche per dieci volte per non dimenticare nulla. Insieme abbiamo dipinto, costruito marionette, fatto biglietti per la sua festa. E tutto in tempi corti, perché l’attenzione per questi bambini dura poco e nel mezzo bisogna uscire a correre, altrimenti ti fanno morire».

L’impatto sulla coppia dell’Adhd

Ma travolta da questo uragano è anche la vita di coppia a essere centrifugata, come confessa Isabella. L’attenzione, dice, è tutta lì, perché «come un radar devi tenere d’occhio sto vulcano che salta, corre, distrugge, e l’ultima cosa a cui pensi è avere un momento di intimità con tuo marito». La tenerezza, la vita a due, un cinema, tutto passa in eterno secondo piano. Una volta, sono riusciti ad affidare i piccoli alla mamma di un altro ragazzino con Adhd, con cui si sostenevano reciprocamente, ma a metà strada Isabella ha ordinato al marito di inchiodare e tornare indietro. «Sentivo che era successo qualcosa, lui mi ha accusato di non saper staccare. Ma mio figlio aveva perso le chiavi di casa, era in uno stato di agitazione tremendo e stava male». Vacanza finita. Poi, ironia della sorte, quando è arrivato il tempo per loro, suo marito non è stato bene.

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L’Adhd è ereditario

Gli anni migliori erano già passati tra gli sguardi giudicanti degli estranei, le chiamate da scuola, la ricerca di una diagnosi, 20 anni fa, quando l’Adhd era quasi un tabù. «Ancora la ricordo quella volta al supermercato, quando ha rovesciato lo scaffale perché pretendeva un giocattolo. L’ho lasciato lì con la guardia giurata, dicendogli di mettere a posto. Lui urlava, mentre camminavo avevo le orecchie rosse, mio marito era paonazzo di vergogna. Gli occhi erano tutti su di noi e nessuno aveva un dubbio: ero io la cattiva madre, e quante altre volte lo sono stata! Ero la stupida, la cattiva o la pazza, anche quando chiedevo che mio figlio venisse certificato, perché volevo curarlo. Ci sono riuscita grazie alla mia testa dura, litigando con medici, peregrinando da una Regione all’altra, ma quanta fatica e quanta solitudine» racconta amara. «Mio marito non capiva, e non aveva i mezzi per aiutarmi. Oggi so che è Adhd anche lui, questo è un male ereditario, alla fine mi è toccato combattere con tutti e due».

Aifa, l’Associazione italiana famiglie Adhd

Se la solitudine è stata la compagna di viaggio di Isabella, lo è il più delle volte per tutti i genitori come lei. «Lo vedi all’uscita da scuola, quando gli altri fanno capannello e attorno a loro si forma il vuoto» conferma Patrizia Stacconi, presidente di Aifa, l’Associazione italiana famiglie Adhd. «Un bambino con Adhd ha un disperato bisogno di amici, ma non riesce a farseli, perché disturba e fa danni. E allora viene isolato, e la sua famiglia con lui». Il paradosso, spiega la rappresentante delle famiglie, è che oggi abbiamo gli strumenti per curare questi bambini, ma è difficile arrivarci. I centri di diagnosi e cura sono in ogni Regione, tranne la Basilicata, ma le liste d’attesa sono anche di un anno, e i protocolli non sono omogenei.

L’Aifa, l’associazione italiana famiglie Adhd è il principale riferimento nazionale. Dà informazioni e supporto attraverso le sedi territoriali (associazioneaifa.it, [email protected]) e collabora con le istituzioni. L’associazione italiana per i disturbi dell’attenzione e dell’iperattività (aidaiassociazione.com) è invece costituita da operatori clinici, insegnanti e genitori, fornisce tra le altre cose informazioni su terapie e centri
di trattamento in Italia.

Ogni Regione fa a modo suo

«Nel 2007 era stato istituito dall’Istituto superiore di Sanità il Registro nazionale della malattia, in cui per la prima volta si davano indicazioni sulla terapia multimodale, sulla base di linee guida scientifiche. Includeva la psicoterapia, interventi psicopedagogici, la formazione di genitori e insegnanti e, nei casi più gravi, i farmaci. Quel documento è stato un grande passo avanti, perché dava indicazioni chiare e univoche agli specialisti e alle famiglie». Poi, però, il passo indietro. «Quel registro di patologia è stato sostituito dal Registro di monitoraggio dell’Agenzia italiana del farmaco, che tiene sotto controllo l’utilizzo delle terapie farmacologiche ma non fornisce indicazioni sul resto. Il risultato è che ogni centro ha un suo approccio». In alcune Regioni, per esempio, la visita neuropsichiatrica per il bambino viene preceduta da un consulto psicologico per i genitori, e se si individua un disagio familiare si interviene su quello, mettendo da parte il disturbo. In alcuni centri non vengono prescritti farmaci. E anche gli stessi pediatri, il primo canale di ascolto per le famiglie, non sempre riconoscono la malattia.

La spesa delle famiglie per i figli con Adhd

«Tutto questo genera molta confusione, le famiglie peregrinano da una Regione all’altra alla ricerca di una terapia, a volte si sentono messe sotto inchiesta» continua Patrizia Stacconi. «Ne ho ascoltate di storie, in questi 20 anni: mamme che si sono sentite dire che il figlio era iperattivo perché loro erano stressate, altre perché erano frustrate, altre perché il papà era sempre fuori casa. Ma intanto il tempo passa, ed è tempo prezioso, perché, se curati, questi bimbi possono imparare a gestirsi da grandi e a non perdersi. Il rischio, altrimenti, è che non finiscano il percorso scolastico e restino senza futuro». Molti genitori, come Isabella, danno fondo ai risparmi per pagare le cure, perché anche per chi ottiene una diagnosi, le attese per le terapie sono lunghissime. I suoi sacrifici, e quelli di suo figlio, hanno però dato i loro frutti, e oggi a lei resta questa consolazione, che la ripaga delle rinunce. Il suo bambino è ora un uomo di 30 anni, ha finito la scuola e ha un lavoro. «Ma l’Adhd non sparisce col tempo, e per esperienze sociali ed autonomia è come se mio figlio fosse indietro di almeno 10 anni. Sono fiera di lui, perché si è impegnato tanto. Spero solo che abbia imparato a essere autonomo anche per quando io non ci sarò più».

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