Perché in Italia non facciamo più figli?

Dopo le polemiche sulla campagna del Fertility day, abbiamo cercato di capire che cosa ci allontana, davvero, dalla maternità

«Il primo giorno di asilo di mio figlio a Copenaghen? L’ho portato in classe, ho salutato le maestre, sono andata via. Al pomeriggio ho saputo che era uscito a giocare anche se fuori nevicava. Il giorno dopo è stato a casa di una compagna perché era il suo compleanno, senza che mi chiedessero l’autorizzazione. In Italia l’inserimento dura 3 settimane e non si esce mai per paura che i bambini si ammalino. Il mio non ha preso un solo raffreddore». Silvia mi racconta la sua esperienza di mamma in Danimarca, dove ha vissuto con il figlio per 4 anni. È una donna “smart”: ha 41 anni, si sposta molto per lavoro, riesce a far quadrare vita e carriera. L’idea di una seconda maternità l’affascina, ma non nel nostro Paese: troppe complicazioni. Eppure il suo orologio biologico, secondo la discussa campagna del Fertility day, la giornata dedicata alla fertilità indetta dal ministero della Salute il 22 settembre, dovrebbe essere in allarme: “Attenta, il tuo tempo sta per scadere” suggerisce la clessidra di un manifesto (poi rimosso). Silvia è sotto la media che vede le italiane ferme a 1,4 figli a testa: siamo agli ultimi posti in Europa.

Il nostro tasso di natalità è il più basso in Europa

Se nel nostro Paese non facciamo figli è per molte ragioni. Non si può spiegare solamente con le corpose indagini statistiche che compongono l’immagine di una donna in perenne affanno con la maternità e in allarmante condizione lavorativa. Non si può neppure ridurre la questione all’assenza di welfare, di asili nido, di congedi prolungati, di conciliazione in azienda: in Germania, dove lo stato sociale è presentissimo, il tasso di natalità è tra i più bassi in Europa. «Le italiane devono misurarsi con un fattore culturale in più: l’idea che la donna si realizzi solo attraverso la maternità e che questa sia un dovere e non una libera scelta» dice la psicologa fiorentina Ada Moscarella, promotrice di una lettera aperta al ministro Beatrice Lorenzin sottoscritta da 1.000 colleghi e circolata per giorni sul web. «Nella campagna del Fertility day non si accenna mai alla parola genitorialità: il figlio è visto sempre come una questione femminile, mentre oggi il grande lavoro che noi terapeuti facciamo sulle coppie è proprio aiutarle a costruire una responsabilità familiare condivisa».

La fatica delle donne

Pressate socialmente per corrispondere allo standard della (pluri) madre accudente-onnipresente, le italiane oggi sono più istruite e preparate di un tempo, ma per raggiungere i loro obiettivi faticano il triplo. È dagli anni ’80 che si parla del “secondo turno” femminile che avviene in casa dopo le 18 (5 ore in Italia contro le 2 della Norvegia). Oggi si parla di “terzo turno”: è lo sforzo emotivo che le madri devono fare su se stesse per bilanciare sensi di colpa e frustrazione per non riuscire a far quadrare tutto. Nella prolifica Francia presa a modello per i suoi sorprendenti tassi di natalità, circola un divertente fumetto (Mamme sull’orlo di una crisi di nervi di Gwendoline Raisson e Magali Le Huche) su un immaginario club delle madri anonime in cui le partecipanti confessano tutte le loro difficoltà di essere all’altezza delle aspettative. Anche nei Paesi dove le culle tornano piene, insomma, soddisfazione e felicità non sono così scontate.

Il mito dell’orologio biologico

ln una recente inchiesta del quotidiano britannico The Guardian la giornalista e scrittrice Moira Weigel smonta uno dei miti che più hanno intrappolato le donne dagli anni ’70 a oggi: quello dell’orologio biologico. Ovvero il ticchettio che dovrebbe metterci in allarme sul nostro tempo a disposizione per avere figli. Weigel ha scoperto che uno degli studi sempre preso a modello per indicare il calo di fertilità dopo i 35 anni si basa sul registro delle nascite in Francia dal 1670 al 1830. «Quindi a milioni di donne viene detto quando rimanere incinta in base a una statistica che risale a prima che esistesse l’elettricità» sottolinea la scrittrice. Se è innegabile dal punto di vista biologico che avere bambini tardi sia più difficile, non si può affermare che farne solo 1 o nessuno sia una conseguenza dell’età: spesso si tratta di una libera e consapevole scelta.

Anche le straniere fanno meno figli

Nel rapporto “Mamme 2016” di Save the children un dato colpisce tra tanti: anche le straniere, una volta che arrivano in Italia, smettono di fare figli. Nel 2008 ne avevano in media 2,7, oggi la cifra è scesa a 2. Il risultato? Non controbilanciano più il nostro calo della fecondità: la media che garantisce il ricambio generazionale di un Paese è di 2,1 bimbi per donna. Forse, una volta occidentalizzate, le straniere si adeguano a un modello femminile non più votato alla gravidanza e alla maternità? «Non proprio: anche loro sperimentano la mancanza di sostegni» dice Antonella Inverno, coordinatrice dei programmi Italia-Europa per Save the children. «Quando arrivano da noi le immigrate sono sole e senza appoggi familiari. Entrano nel mercato del lavoro e non trovano le giuste condizioni per una nuova gravidanza». Soffrono, di fatto, delle nostre stesse problematiche.

I 3 deterrenti alla natalità

«Oltre alle pressioni sociali e culturali, ci sono 3 principali deterrenti alla natalità nel nostro Paese sui quali si potrebbe intervenire per ridare fiducia alle donne» continua Inverno. «La disparità di genere in famiglia è ancora forte. Precariato e dimissioni in bianco sono una realtà. E le politiche di conciliazione sono insufficienti o, quando ci sono, risultano inefficaci. Un esempio? La Ue stanzia ogni anno un fondo di milioni di euro per le mense scolastiche da destinare agli indigenti, ma in Italia i soldi sono bloccati dalla burocrazia. Di conseguenza i figli di queste famiglie non mangiano a scuola. E chi rinuncia, a casa, al lavoro? Sempre la mamma».

E QUANDO, INVECE, DESIDERI UN FIGLIO MA NON ARRIVA?

Se facciamo sempre meno figli, è anche perché sono in aumento i casi di infertilità e di difficoltà a concepire. Ci ha scritto in redazione una giovane donna, che vuole restare anonima, per condividere il suo sofferto cammino verso la maternità. La stiamo seguendo in tempo reale, dalla decisione di avere un bambino al momento in cui realizza che non arriva, fino ai primi tentativi di fecondazione assistita. Se vuoi conoscere la sua storia, seguila qui

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