Angela, 36 anni, che si è trasferita dal Sud

Per Angela, 36 anni, non è stato facile quando nel settembre del 2016 ha preparato la valigia e da Caserta si è trasferita a Brescia. Certo partiva per inseguire un desiderio. Un lavoro che amava e che da 10 anni faceva come precaria. Ma intanto lasciava a casa un marito e una bimba di due anni che da quel momento avrebbe visto una volta ogni 20 giorni. «Volevo realizzare un sogno», racconta. «Il punto di arrivo di una lunga gavetta e l’inizio di una nuova avventura».

Angela l’insegnamento ce l’ha nel dna: «Mia mamma era insegnante, mia nonna lo era, sua sorella pure. Insegnare era la mia strada». Quando è stata immessa in ruolo con riserva a Brescia tutto il suo progetto di vita è cambiato: «Fare un anno di sacrifici, ed è stato pesante far pesare le mie scelte sulla vita di mia figlia e di mio marito, poi portare tutti a Brescia con me. Rifarci una vita qui, insieme, e perché no, diventare mamma per la seconda volta» racconta. «Ma dopo la sentenza del 20 dicembre tutto è cambiato. «L’idea che sarò ancora precaria mi spaventa. L’insicurezza economica, come a tutti, fa paura».


Andrea, 40 anni, che vive di supplenze

«Ho 40 anni e ormai insegno da 13. Per lavorare ho lasciato la mia casa di Catania. Mi sono trasferito al nord e ho girato un bel po’ di scuole in Lombardia. Quasi sempre supplenze annuali». La vita di Andrea in questi anni si è mossa in base alla classe che gli veniva assegnata. «Non ho una laurea ma ho dato tutto a questo lavoro di maestro, so insegnare. Quale sarà il mio destino? In Italia si parla tanto di precariato ma alla fine che vogliono fare? Farci diventare supplenti a vita?».

Ma una cosa è certa. Questo insegnanti sono necessari se non vogliamo lasciare le cattedre vuote. E sono importanti soprattutto nelle regioni del nord Italia dove il fabbisogno è più alto.

Franca, 62 anni, che non ha vinto il concorso

Come Andrea anche Franca che di anni ne ha 62 ed in Lombardia è arrivata partendo da San Giuseppe Vesuviano, in provincia di Napoli. «Io il concorso l’ho sempre fatto ma non l’ho mai vinto, è vero» spiega. «Ma al Nord mancavano gli insegnanti e il mio diploma magistrale era abilitante. Così ho chiuso l’attività che avevo, un piccolo negozio, e mi sono trasferita. Lavoravo a 15 giorni alla volta, poi sono iniziate le supplenze annuali. Io la provincia di Brescia l’ho girata tutta». Franca sarebbe “passata di ruolo a giorni” come dice lei, ma la sentenza del 20 dicembre ha cambiato tutto: «Spero di poter continuare a fare almeno la supplente; altrimenti torno a Napoli, e vado in pensione prima. Però il diploma è sempre bastato per insegnare. Perché si fa tanta confusione adesso?».

Noemi, 30 anni, che difende la sua laurea

Per nessuna è stato facile partire. Neanche per le “maestre di oggi”, più giovani e laureate che forse guardano all’insegnamento con occhi nuovi, ed insistono sull’importanza di avere competenze sempre più specifiche. È fondamentale l’esperienza, ma una laurea serve.

«A 19 anni ho lasciato la mia famiglia in Calabria per trasferirmi a Reggio Emilia», racconta Noemi, 30 anni. «E partire non è stato facile ma sapevo che al Nord avrei avuto più possibilità di lavorare. Ho conseguito la laurea in scienze della formazione primaria nell’aprile 2013, e ancora nel 2016 l’abilitazione per il sostegno. Nello stesso anno ho partecipato al concorso a cattedra per la scuola primaria; a distanza di un anno ho saputo di aver superato la prova scritta e nel mese di luglio del 2017 ho sostenuto la prova orale». Adesso Noemi sta svolgendo l’anno di prova in una scuola primaria di Modena prima di diventare effettivamente di ruolo. «Non credo sia giusto mettere sullo stesso livello i docenti con titolo di laurea e gli altri diplomati magistrali. È vero, l’esperienza conta. Ma i bambini di oggi non sono più gli stessi di una volta. Sarebbe sbagliato non ammetterlo. Servono competenze nuove, sempre aggiornate dall’insegnamento delle lingue ai nuovi supporti digitali. Nelle classi di oggi cresciamo i cittadini di domani».

Mina, 26 anni, che crede che l’esperienza da sola non basta

Bisogna ammettere che neanche la storia di queste giovani maestre è facile. Mina 26 anni, originaria di un comune in provincia di Napoli, la sua prima convocazione se la ricorda bene. «Mi sono laureata il 15/07/16 e il 19/09/16 ho avuta la mia prima convocazione» racconta. «Inizialmente ho lavorato a Roma dove non ho avuto incarichi o supplenze lunghe ma lavoravo a giorni e questo ha comportato tanti sacrifici ed anche per una come me, piena di motivazione e amore per il suo lavoro, è stato difficile». Poco dopo Mina ha accettato un incarico fino al termine delle attività didattiche (09/06) a Borgo San Lorenzo in provincia di Firenze. «In quella scuola» spiega «pochissime erano del posto, quasi tutte eravamo del sud e tutte tranne me avevano lasciato a casa marito e figli anche molto piccoli».

E sulla questione tra laurea ed esperienza dice: «Ho molto rispetto per le insegnanti che lavorano da tanti anni. La categoria di maestri a cui fa riferimento la sentenza non hanno né una grande esperienza lavorativa né hanno mai superato il concorso ma semplicemente visto che il loro diploma è stato riconosciuto abilitante hanno fatto ricorso per essere inserite direttamente nelle graduatorie ad esaurimento ed essere chiamate eventualmente per il ruolo senza concorso. La categorie degli insegnanti sarà sempre sottovalutata se considerata come un ripiego, un lavoro sicuro e non come una professione. Considerare il lavoro di insegnante come una vera professione significa prevedere una formazione completa, impossessarsi di abilità e competenze che non possono essere acquisite solo con l’esperienza o con il progredire dell’età ma è necessario un percorso di formazione pratica e soprattutto teorica che le insegnanti con il magistrale non hanno. L’insegnante laureato, considerando i suoi studi, avrà sicuramente una prospettiva e un approccio diverso, più critico e attento, nel guardare il bambino e i suoi bisogni e nello strutturare percorsi formativi adeguati a ciascuna esigenza».

La sentenza che ha fatto discutere

Per 60mila maestri della scuola dell’infanzia e della primaria lo scorso 20 dicembre ha rappresentato un punto di rottura. Il Consiglio di Stato ha deciso in via definitiva che gli insegnanti in possesso di un diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002 dovranno essere esclusi dalle Graduatorie a Esaurimento si è forse arrivati all’epilogo di una situazione confusionaria e di stallo che va avanti ormai da tempo. Ma dietro le sentenze, i ritardi, la giurisprudenza che forse negli anni ha fatto confusione, ci sono sempre le persone. Dai maestri diplomati che per lavorare hanno cambiato vita trasferendosi spesso dal sud al nord Italia, agli insegnati giovani, neo laureati che pure sentono di dover dire la loro. Perché è vero. Se da un lato l’esperienza conta dall’altro, invece, i bambini non sono più gli stessi, e tutti hanno delle buone ragioni per far valere la loro visione, il risultato di storie mai semplici.

Questi maestri, e va ricordato, sono in larga parte del Sud, si sono viste dequalificare il loro titolo di studio in corso d’opera. Molti di loro insegnano da tempo. E come Angela hanno cambiato la loro vita e ne hanno costruita un’altra che adesso rischia di crollare.

Anche se è da escludere un “licenziamento di massa” e sindacati e Ministero hanno già aperto un tavolo di lavoro per trovare una soluzione (è verosimile che in primavera sarà indetto un concorso con destinatari individuati preventivamente. A livello nazionale parliamo di circa 50mila docenti non laureati ma già presenti nella GaE), per dare quindi a questi insegnanti la possibilità di avere un canale riservato per avere accesso ad un’assunzione a tempo indeterminato, allo stato dei fatti l’esclusione dalle graduatorie ad esaurimento ed il passaggio a quelle d’istituto allontana sempre più i maestri dalla possibilità di essere assunti a tempo indeterminato.

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