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Controllare figli o partner con lo smartphone: è giusto?

Aumentano le app che permettono di geolocalizzare figli o mariti tramite lo smartphone. Ma sono legali? E soprattutto è giusto controllare sempre e ovunque i figli o sarebbe meglio lasciare loro più libertà? E con il partner? Ecco cosa dicono gli esperti

“Questa app non consiglio di scaricarla per controllare marito o fidanzati, perché arriveranno separazioni e divorzi. Con i figli è diverso”. Così Alessia Marcuzzi ha spiegato in diretta tv come lei controlla il figlio Tommaso “da lontano”: grazie a una app sullo smartphone la showgirl, ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa, ha raccontato come riesce a monitorare gli spostamenti del primogenito, 17enne, che studia a Londra. Mamma Alessia ha dimostrato, in tempo reale, di sapere dove si trovava il figlio, spiegando che le ultime volte che lo aveva cercato non era dove lei si sarebbe aspettata (mentre era in diretta su Rai1, Tommaso risultava nel dormitorio delle donne). Ma è giusto usare queste app per controllare i figli o sarebbe meglio lasciare loro più spazio e autonomia? “Poveri ragazzi, siamo al limite del controllo sulla vita delle persone” commenta a Donna Moderna Silvia Godelli, ex professoressa e psicologa clinica all’Università di Bari.

Come regolarsi, poi, con i partner? È legale ricorrere alla tecnologia per “spiare” i movimenti del proprio lui? “Assolutamente no! Occorre fare molta attenzione. I coniugi hanno il diritto alla riservatezza, come tutti gli adulti maggiorenni, e non possono essere geolocalizzati senza il loro consenso” spiega Marisa Marraffino, avvocato ed esperta di diritto in Informatica.

Le app per “spiare”

Si chiamano Connect, Find my Firends, Trick or Tracker, Trackerphone App o Topspyapp: sono alcune delle applicazioni più diffuse, secondo Market Watch, e utilizzate da giovani e meno giovani per tracciare i movimenti di amici, parenti o partner. La tentazione di tenere sotto controllo i propri “cari”, infatti, è in aumento e oggi la tecnologia offre molti strumenti. Alcune di queste app permettono di sapere dove si trova qualcuno tramite i social network, come Facebook, Instagram, Google Contacts o Linkedin, senza che questo debba scaricare l’applicazione o dare un consenso. In alcuni casi la tecnologia può essere utile, ad esempio per rintracciare uno smartphone in caso di furto e perdita. In altri, invece, lo scopo è proprio quello di monitorare in tempo reale gli spostamenti dei figli, come per Trick or Tracker, ideata da Wayne Irving, padre di quattro figli e presidente di una società tech in California.

In altri casi ancora, sono i datori di lavoro a voler sapere se i propri dipendenti stanno svolgendo le mansioni assegnate nei luoghi e tempi prefissati. A un costo che varia da 7 a 34 dollari circa al mese, è possibile conoscere dettagli sulle chiamate, i messaggi inviati, i contatti, ma anche le foto e i video fatti, e i social network che si sono visitati. Non occorre neppure mascherare gli obiettivi, come nel caso di Topspyapp: “Topspyapp è progettata per monitorare i vostri dipendenti, figli o altri su un dispositivo mobile o smartphone, che possedete o che avete il diritto e consenso di monitorare”.

Già, ma tutto ciò è legale?

Cosa dice la legge

“Esistono dei limiti, sia nel caso dei figli che in quello dei partner o degli adulti che si vogliono controllare” spiega Marisa Marraffino: “Bisogna ricordare che anche il minore è titolare al diritto alla riservatezza, anche se non in modo assoluto, perché i genitori rispondono in parte delle sue azioni. Fino a 14 anni la responsabilità penale è del minore, ma sul genitore ricade quella civile fino ai 18 anni. Esistono diverse sentenze della Corte di Cassazione in merito ai confini entro cui muoversi, soprattutto per quanto riguarda la responsabilità del genitore nella protezione del figlio“. In pratica, da un lato madre e padre non solo possono, ma devono occuparsi della sicurezza del figlio perché rientra nei loro compiti educativi, dall’altro non possono e non devono invadere “senza motivo” la sua privacy. “Facendo un esempio concreto, se la mamma dà il cellulare al proprio figlio di 12 anni per motivi di sicurezza, perché magari deve spostarsi da solo, la riservatezza viene di molto ridotta, perché si mette al centro l’eventuale pericolo che corre il minore. Se, invece, una genitore “spia” il figlio solo per sapere cosa sta facendo, deve fare attenzione. La Cassazione ha infatti punito quella madre che aveva messo delle microspie nella stanza del figlio 16enne per controllarlo”.

“Diverso è il caso in cui si teme che il ragazzo possa correre dei rischi reali, come se si sospetta che faccia parte o sia vittima di baby gang, o se si teme che si droghi: in questi casi il genitore può fare ricorso agli strumenti a disposizione per monitorarlo” spiega Marraffino.

Monitorare o lasciare libertà ai figli?

“Io penso che siamo al limite del controllo sulla persona e sulla sua vita, siamo oltre i bisogni di sicurezza. La tecnologia viene usata con finalità differenti, in casi in cui ci sono problematiche di relazione” spiega la psicologa Silvia Godelli. “Una relazione sana comporta non solo fiducia, ma anche un certo grado di libertà. Se questa viene a mancare il rapporto diventa malsano”. “Quello che spinge a questi comportamenti è un forte bisogno di controllo. Ciò è preoccupante soprattutto nel rapporto genitori-figli: se tra adulti solitamente c’è solo la volontà di controllare, con i figli si aggiunge anche il desiderio in qualche modo di manipolarli” dice l’esperta.

Perché c’è un aumento al ricorso di queste app? “Le tecnologie non fanno altri che amplificare un fenomeno e certi tipi di comportamenti che ci sono sempre stati. In passato si seguivano le persone per strada. Oggi è tutto più facile, ma il problema di fondo è lo stesso” spiega Godelli.

Come fare, allora: meglio controllare i figli o lasciarli liberi? “Il mio consiglio ai genitori è quello di ripensare alla propria adolescenza. Questo aiuta a capire i figli molto più che controllare il loro cellulare in modo ossessivo. Occorre cercare elementi empatici con i propri ragazzi, anche perché al controllo si può anche sfuggire, è veramente un’illusione: l’empatia, invece, è una costruzione comune che aiuta a interagire positivamente” conclude la psicologa.

E gli adulti?

“Non è affatto possibile spiare un adulto, che ha il diritto alla propria riservatezza” dice l’esperta, che ricorda però alcune eccezioni: “Si può derogare solo per finalità difensive, nelle cause di lavoro o in quelle per la separazione. Ad esempio, ci sono casi in cui si sono geolocalizzate le automobili aziendali, quando si temevano illeciti da parte dei dipendenti o per motivi di sicurezza, oppure quando si è temuto per l’incolumità di qualcuno anche nelle coppie” spiega Marraffino, che però avverte: “Il trattamento illecito dei dati è un reato, punito dall’articolo 617 del Codice Penale e dal 617bis, nel caso in cui si volessero intercettare le comunicazioni del partner”.

“Capita spesso nei casi di separazione che chi sospetta che il partner abbia un’amante pensi di mettergli una microspia nella borsa (ce ne sono di molti tipi, anche piccolissime o sotto forma di chiavette usb), ma questo è vietato. Se non si è presenti, scatta il reato di intercettazione illecita di conversazioni: solo le autorità possono registrare le conversazioni in casi particolari e autorizzati dal giudice” spiega l’avvocato.

“Spiare” i lavoratori

Qualche mese fa ha fatto discutere l’introduzione dei braccialetti per i dipendenti di Amazon, che secondo l’azienda servono a migliorare il lavoro degli addetti, guidandoli nei magazzini alla ricerca della merce, e che invece secondo i sindacati sono una forma di controllo illecito. E’ recentissimo, invece, l’allarme privacy negli Usa, dove migliaia di utenti telefonici sono monitorati dalle proprie compagnie, che cedono i dati dei clienti a società terze. E’ il caso, ad esempio, di Securus, ideato per prevenire fughe di carcerati, rintracciarli o controllare le loro chiamate. Ma non solo.

Se lo scandalo Facebook ha fatto emergere un problema enorme nel trattamento dei dati, non è certamente l’unico. Uno sceriffo del Missouri, Cory Hutcheson, ha usato il servizio di Securus per monitorare i movimenti di persone in regime di riabilitazione per uso di droga. In un caso ha rintracciato un uomo affetto da Alzheimer, ma in qualche occasione lo sceriffo ha usato Securus semplicemente per controllare i colleghi o alcuni giudici. Per questo è stato ora incriminato.

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