Una signora di 88 anni gira di camera in camera leggendo romanzi ai suoi compagni di reclusione costretti a letto. Un uomo di 90, nel tempo lasciato libero dalla fisioterapia, ha confezionato con l’aiuto degli operatori sanitari un cartello di auguri decorato con uova e colombe. Cristina, una delle infermiere di ruolo, riprende tutto con il cellulare prima di postarlo sul gruppo WhatsApp condiviso con le famiglie dei pazienti. Seguono risposte, altri videomessaggi e pure qualche lacrima. Dopo la cena, arricchita da una fetta di colomba e consumata rispettando le distanze di sicurezza, il personale a fine turno si ritira nelle stanze dove trascorrerà la notte.

È stata una Pasqua decisamente diversa quella vissuta all’interno della residenza per anziani Domus Patrizia, nel centro di Milano. Qui, dalla fine di marzo sino a dopo il termine delle feste, i dipendenti hanno scelto di autoconfinarsi all’interno della struttura per non mettere a rischio gli oltre 80 pazienti che ospitavano.

L’epidemia di Covid-19, infatti, sta colpendo duramente gli ospizi pubblici e privati italiani (vedi box sotto). Anziani, spesso già afflitti da problemi respiratori o altre patologie che ne fiaccano il sistema immunitario, i residenti sono il bersaglio ideale per il virus e ciascuno prova a cautelarsi come può. «Quello che succedeva ci ha messo in allarme» conferma Gianni Coppola, rappresentante legale della cooperativa Virtus che ha in gestione la Domus Patrizia e altre residenze. «Per fortuna, dopo i contagi a Codogno avevamo bloccato le visite dei parenti e fatto provvista di tute e mascherine. I prezzi stavano già salendo…».

Il 30 marzo, quando le notizie si sono fatte più preoccupanti e il tam tam fra colleghi ha reso evidente che il coronavirus avrebbe potuto insinuarsi anche dentro quelle mura, dipendenti e proprietà si sono guardati in faccia pensando a cosa avrebbero potuto fare per mettere in sicurezza i pazienti. «Se continuiamo a entrare e uscire, il virus potremmo involontariamente portarlo dentro noi. Contiamoci e vediamo quanti sono disponibili. Se i numeri sono sufficienti a garantire l’assistenza, ci chiudiamo dentro». Detto fatto.

«All’appello hanno aderito in 16 tra infermiere, operatori sociosanitari, ausiliari e addetti alle pulizie» ricorda orgoglioso Coppola, tanto da elencarli tutti per nome. «Avevamo chiesto loro di blindarsi per 15 giorni e loro hanno scelto di allungare il periodo a 20, rinunciando a trascorrere le feste con i propri cari». Il tempo di attrezzare palestra, cappella e infermeria con i letti aggiuntivi e di predisporre un ingresso alternativo per chi consegna i pasti e porta via l’immondizia, e l’avventura è cominciata. «Alla fine di questo periodo ci sentiamo tutti più ricchi, ma il risultato più importante è un altro» conclude Coppola. «Nonostante un’età media che supera gli 85 anni, finora tra i nostri assistiti non c’è neppure un contagiato».

Una strage silenziosa

Il caso più eclatante è quello del Pio Albergo Trivulzio, l’ospizio comunale di Milano dove si sarebbero registrate almeno 40 morti da coronavirus non classificate come tali: è stata aperta un’inchiesta per verificare eventuali responsabilità nella gestione e nel tracciamento dei casi. Ma, anche se non esistono numeri ufficiali, quasi tutte le case di riposo italiane hanno visto crescere i decessi. «Per noi il Covid-19 è come un cerino in un pagliaio» ha sintetizzato l’associazione di categoria Uneba, stimando che alla fine della pandemia potrebbero essere state contagiate decine di migliaia di anziani.