«Per mio fratello non meritavo di essergli sorella. I miei genitori mi hanno chiuso la porta in faccia. Ed è dura vivere senza di loro». Stéphanie ha 23 anni e viene dalla cittadina francese di Beaulieu sur Dordogne. È lesbica e da pochi mesi vive a Le Refuge (le-refuge.org), un centro di accoglienza per ragazzi cacciati dalle loro famiglie perché omosessuali, cui i registi Sonia Rolland e Pascal Petit hanno dedicato il documentario Carte blanche: du rejet au Refuge (“Carta bianca: dal rifiuto al Rifugio”).
CHI CHIEDE AIUTO? «I giovani che arrivano da noi, da tutta la Francia, spesso hanno un passato di violenze domestiche e bassissima autostima» spiega Frédéric Gal, direttore generale della struttura aperta nel 2003 a Montpellier. «Sono convinti di essere “anormali” e spesso hanno problemi di alcol e droga e tendenze suicide o autolesioniste. Nel 2008 abbiamo ricevuto 127 domande; nel 2013 ben 1.159. Si tratta per lo più di maschi: il 16% è donna e il 7% trans. Hanno dai 18 ai 25 anni e vengono dai contesti più disparati: ricchi e poveri, di destra e sinistra, musulmani e cattolici».
COME FUNZIONA IL CENTRO? «Per le richieste di aiuto abbiamo un numero verde attivo 24 ore su 24. Dopo un colloquio preliminare, offriamo un soggiorno in un appartamento condiviso da 6 mesi a 1 anno» dice Gal. «Qui gli ospiti vengono seguiti psicologicamente, per imparare a convivere, relazionarsi con gli altri, cercare un lavoro. L’obiettivo è renderli più forti rispetto al mondo esterno». Le Refuge oggi ha 15 centri in tutta la Francia, sovvenzionati dallo Stato. «I residenti partecipano al loro mantenimento » aggiunge il direttore «pagando da un minimo di 30 euro a un massimo di 300 al mese, in base al reddito».
CHE SUCCEDE DOPO? «Non è facile stare qui: bisogna rientrare alle 23, incontrare gli psicologi, rispettare varie regole. Ma per la prima volta mi sono sentito ascoltato e capito» racconta Sulyvan, di Bordeaux, arrivato a Le Refuge a 18 anni dopo che il compagno con cui abitava l’ha lasciato: «Sarebbe stato impossibile tornare dai miei, non mi avrebbero mai riaperto la porta». Dal centro, poi, come si esce? «Le difficoltà quotidiane restano: insulti e persino aggressioni fisiche sono possibili» dice Jo, 23 anni, anche lui accolto nella struttura francese. «Ma oggi mi tormento meno e cerco di vivere inseguendo i miei sogni».
CI SONO ALTRE STRUTTURE IN EUROPA? Un centro simile a quello di Montpellier si trova in Svizzera: Refuge Genève (www.dialogai.org/refuge-geneve). Mentre a Roma sta per aprire la prima struttura nel nostro Paese, voluta dall’associazione Gay Center e Croce Rossa Italiana di Roma (www.criroma.it/refuge-lgbt). «Nostre priorità saranno l’aiuto nella vita quotidiana e il recupero dei rapporti con la famiglia» spiega Flavio Ronzi, presidente di Cri Roma. «Rispetto alla Francia, però, noi non riceviamo aiuti statali» dice Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center. «Per finanziarci, contiamo su donazioni di associazioni e privati, sono già arrivati contributi dalla Chiesa Valdese, e abbiamo vinto un bando per start up della Regione Lazio».