Introdotto sulla scia dell’emergenza coronavirus, come forma di lavoro agile e soprattutto che si concilia con l’esigenza di distanziamento sociale, il telelavoro (spesso definito in modo errato smart working) è destinato a essere riproposto anche nella cosiddetta “fase 2”, di ripresa della normale attività. Ma possono cambiare le condizioni di lavoro, dagli orari allo stipendio? Come funzionano le ferie? E l’attrezzatura, è rimborsabile? Ecco le risposte di Antonello Orlando, della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
Cambiano gli orari di lavoro?
«No, il lavoro agile non muta l’orario di lavoro concordato in precedenza, che rimane identico. La differenza è che non sono più richiesti – e dunque neppure autorizzati – gli straordinari. Se prima un lavoratore era impegnato per 8 ore, continuerà ad esserlo anche se la sua sede di impiego diventa casa o un’altra. Lo stesso vale per chi aveva un contratto part time, che rimane tale» spiega
Si potrebbe lavorare più giorni o di domenica?
«Assolutamente no. Vale quanto indicato per l’orario: rimangono 5 giorni alla settimana. È comunque possibile, se concordato con il proprio manager, modificare le modalità della prestazione, per esempio stabilendo di lavorare solo in alcuni giorni alla settimana, ma si tratta di accordi che potrebbero essere presi in una fase successiva. Finché dura l’emergenza, le condizioni non variano».
Sono previste ferie?
«Sì, mentre si è impiegati con il lavoro agile o smart working, si maturano le stesse ferie che se si fosse in sede. Il telelavoro non è una vacanza, ma è considerata una prestazione lavorativa a tutti gli effetti».
Si è assicurati contro gli infortuni?
«Nel caso in cui si sia passati in modalità di smart working mantenendo le stesse mansioni, l’assicurazione continua a coprire contro i medesimi infortuni: se si era impiegati al videoterminale in ufficio, si sarà assicurati per lo stesso tipo di incidente che possa capitare, ad esempio se dovesse cadere accidentalmente il computer su un piede. La copertura INAIL non sarà invece prevista in caso capiti qualcosa mentre si esce per fare la spesa o per andare a prendere il figlio a scuola, ma in questo caso non accadeva neppure prima».
Potrebbe cambiare lo stipendio?
«Partiamo dal presupposto che le mansioni non dovrebbero cambiare durante il periodo di lockdown, perché il lavoro agile di per sé è solo una modalità di impiego quindi anche la retribuzione rimane invariata. Se invece cambiassero incarichi e compiti, allora si tratterebbe di un accordo preso con il datore di lavoro in modo indipendente, che potrebbe prevedere alcune variazioni sottoscritte dalle parti. Ma è un’eccezione: la legge sullo smart working non consente cambiamenti, perché prevede il diritto alla non discriminazione».
Chi fornisce gli strumenti (ad esempio, pc, stampante)?
«In una situazione di emergenza come quella legata al coronavirus, in molti si sono attrezzati con strumenti propri, anche perché le aziende non disponevano di device come computer per tutti. Ma se lo smart working proseguisse non si avrebbe diritto ad apparecchiature fornite dal datore di lavoro. Non è previsto né che l’azienda le fornisca né che rimborsi automaticamente per l’uso dei propri dispositivi, perché non è specificato nel contratto di lavoro. Nella realtà spesso siamo di fronte a un cosiddetto Win-Win, ossia un beneficio reciproco: il lavoratore, per esempio, ha un vantaggio a operare da casa, perché magari risparmia tempo e benzina per i trasferimenti, mentre il datore può ricevere una maggiore produttività. Le imprese potrebbero anche eliminare costi di gestione, come l’affitto di uffici o il mantenimento di sedi di maggiori dimensioni».
Costi di luce, telefono e internet: sono rimborsabili?
«Il lavoratore potrebbe anche chiedere o tentare la strada di un accordo in tal senso, ma ci sono due ostacoli: per prima cosa i datori di lavoro non sono tenuti per contratto ad alcuna forma di rimborso; in secondo luogo è difficile dimostrare le eccedenze di spesa oggi che la maggior parte delle persone ha contratti tutto compreso. Si può invece chiedere una scheda sim dati per collegarsi e lavorare da casa, come in molti stanno già facendo».
Buoni pasto e mensa: che fine fanno?
Per chi si appoggiava a una mensa o a buoni pasto si pone la domanda: lavorando da casa i costi diventano a proprio carico. Che fare? «I buoni pasto non sono previsti dai contratti nazionali, quindi sono un servizio aggiuntivo erogato in modo autonomo, non un obbligo. Chi lavora in modo agile non ne matura quindi alcun diritto. In alcuni casi, comunque, le aziende hanno deciso di erogarli ugualmente. Quanto alla mensa, con lo smart working cessa l’esigenza, ma in compenso si potrà contare su qualche risparmio in più dato dalla mancata esigenza di spostarsi per raggiungere il posto di lavoro o sulla baby sitter, di cui si potrebbe non avere più bisogno».
Cellulare e auto aziendale rimangono?
«Se erano stati forniti rimarranno anche perché nel caso dell’auto non cambiano le funzioni. Solitamente viene fornita a manager o venditori e, alla ripresa della normale attività lavorativa, pur svolgendo parte del lavoro da casa avranno comunque esigenza di recarsi dai clienti o di dover rappresentare l’azienda. La vettura, concessa non per gli spostamenti casa-lavoro, continuerà a servire a questo».