Coronavirus, le aziende di moda ora producono mascherine e camici

Medici, infermieri e personale sanitario ne hanno un disperato bisogno. E molte aziende, ora bloccate e in attesa di sapere cosa ne sarà del settore, hanno iniziato a produrle per rendersi utili durante la crisi

In questi giorni di emergenza sanitaria provocata dall’epidemia di coronavirus, una delle notizie che più hanno preoccupato (e fatto discutere) è quella sulla scarsa reperibilità del materiale protettivo per il personale sanitario. Non è raro che medici e infermieri siano in corsia, anche negli ospedali in prima linea, senza le opportune protezioni: oltre ai respiratori, scarseggiano infatti da settimane mascherine, tute, camici e occhiali necessari oggi più che mai per arginare i contagi.

Al via la produzione di mascherine “made in Italy”

Per rispondere a questa emergenza nell’emergenza, sono tante le imprese italiane e straniere del settore tessile che in quesi giorni si stanno impegnano a riconvertire velocemente la loro produzione per confezionare il materiale che manca e, in molti casi, donarlo gratuitamente alle strutture sanitarie in difficoltà. Tra le prime a impegnarsi in Italia su questo fronte ci sono state Miroglio (che comprende marchi come Caractére, Fiorella Rubino, Elena Mirò, Motivi e Oltre), Artemisia e Santini, che in alcuni casi hanno anche avviato la sperimentazione per produrre speciali mascherine riutilizzabili. Il gruppo Calzedonia ha messo a disposizione impianti e risorse dell’azienda e, a partire dal 23 marzo, ha riconvertito alcuni dei propri stabilimenti alla produzione di mascherine e camici.

Dopo l’ultimo decreto del 21 marzo, che intimava la chiusura di tutte le attività produttive, Confindustria Moda ha perciò chiesto una deroga per le aziende impegnate nella produzione delle mascherine e altri dispositivi per fronteggiare l’emergenza. Come segnala Pambianco, nell’ultima settimana le associazioni di categoria avevano lanciato una campagna per chiamare a raccolta le aziende del tessile sparse sul nostro territorio capaci di fornire tessuto non tessuto (Tnt), indispensabile per il materiale sanitario, e in grado di riconvertire la propria attività per la produzione di mascherine: «a PwC Italia, che ha lanciato la call sui social, sono arrivate oltre 300 candidature da parte di aziende italiane. Al progetto ha sta collaborando anche lo Sportello Amianto Nazionale che sta provvedendo alla verifica di disponibilità del tessuto industriale e a strutturare una aggregazione di produttori di Tnt». Nel decreto “Cura Italia” sono infatti previsti 50 milioni di euro per sostenere le aziende italiane che vogliono ampliare o riconvertire la propria attività per fronteggiare l’emergenza Covid-19.

Anche lusso, grandi magazzini e fast fashion fanno la loro parte

Anche i gruppi del lusso, che per la maggior parte producono nel nostro Paese, hanno risposto all’appello. Lo sta facendo la conglomerata francese Kering, che nelle factory che producono i capi e gli accessori Gucci sta confezionando un milione di mascherine e circa 55 mila tute mediche da donare agli ospedali della Toscana e dell’Emilia Romagna. Gucci ha anche donato 1 milione di euro a favore del Dipartimento della Protezione Civile e 1 milione di euro al COVID-19 Solidarity Response Fund della Fondazione delle Nazioni Unite, a sostegno dell’Oms. Giorgio Armani, dopo aver donato 2 milioni di euro agli ospedali italiani in prima linea, ha annunciato di aver riconvertito i propri stabilimenti in Italia nella produzione di materiale produttivo sanitario (in particolare camici monouso). In Francia le aziende dove abitualmente si cuciono i vestiti di Balenciaga e Saint Laurent (marchi che fanno sempre capo a Kering), si preparano mascherine e materiale tecnico sanitario destinato agli ospedali francesi. La compagnia ha anche annunciato un ordine di oltre 3 milioni di pezzi dalla Cina, destinati sempre alla Francia, per la prossima settimana.

Il Sole 24 Ore segnala il gruppo Prada che, su richiesta della Regione Toscana, ha avviato mercoledì 18 marzo la produzione di 80 mila camici e 110 mila mascherine da destinare agli ospedali toscani. Gli articoli verranno consegnati giornalmente fino al 6 aprile e sono prodotti nello stabilimento di Montone, in provincia di Perugia. Il gruppo Mayhoola, che ha in portfolio marchi come Valentino e Balmain, ha donato un milione di euro all’ospedale Sacco di Milano, una delle strutture in prima linea in Lombardia, e un altro milione di euro alla Protezione Civile italiana. Anche all’estero ci si mobilita: stanno riconvertendo parte della loro produzione anche i colossi del fast fashion come Zara, Mango e H&M (l’amministratore delegato dell’azienda svedese ha assicurato massima collaborazione ai Paesi dell’Unione Europea per ridistribuire il materiale) e alcuni grandi magazzini americani come Neiman Marcus e Nordstrom.

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C’è molta preoccupazione per il settore

Tra le prime industrie a essere colpite dalle ripercussioni economiche della pandemia da Coronavirus c’è sicuramente quella della moda. Che ha inizialmente ha risentito del calo drastico del turismo di lusso dovuto alle restrizione dei voli da e per la Cina (i cinesi sono oggi i primi consumatori di lusso e i primi turisti al mondo), quindi delle limitazioni imposte alla libera circolazione delle merci, sia per via aerea che navale con il blocco degli scali arei e portuali. Il problema, oggi possiamo dirlo con certezza, interesserà fortemente l’export made in Italy, in questo momento praticamente bloccato.

La cancellazione degli ordini alle tante piccole e medie imprese che costituiscono la filiera tessile del Paese – nostro grande motore economico e fiore all’occhiello del made in Italy – rischia di metterne a rischio la stessa esistenza. Per questo motivo, le associazioni di categoria si sono mosse sin da subito nel tentativo di arginare i danni: la Camera nazionale della moda ha inviato al presidente del Consiglio e ai ministri competenti un documento con proposte per tutelare la filiera industriale della moda, inserendola tra i settori maggiormente colpiti dall’emergenza sanitaria per il Covid 19, come già fatto per il turismo e i trasporti, provvedimenti che sono stati in parte accolti dal decreto “Cura Italia”. Ma la situazione è grave e senza precedenti: molto ci sarà da fare, a partire da un ripensamento dei modelli tradizionali che hanno mostrato tutti i loro limiti.

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