Ragazza mascherina covid strada

Covid, cos’è l’effetto paradosso

Aumentano i contagi da Covid e anche le ospedalizzazioni, nonostante la campagna vaccinale. Si chiama “effetto paradosso”: la maggior parte dei casi segnalati riguarda persone che hanno ricevuto il vaccino proprio perché sono loro le più numerose

I vaccini funzionano e sono efficaci. A dimostrarlo sono anche gli ultimi dati resi noti dall’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui «l’incidenza di infezioni, ricoveri e decessi è dieci volte più bassa tra chi si vaccina rispetto ai non vaccinati». Ma allora perché continuano ad aumentare i casi di persone infette e le ospedalizzazioni, nonostante prosegua la campagna vaccinale?

Gli esperti parlano di “effetto paradosso”. Ecco di cosa si tratta.

Cos’è l’effetto paradosso

A spiegare il fenomeno è l’Istituto Superiore di Sanità: «Se le vaccinazioni nella popolazione raggiungono alti livelli di copertura, si verifica l’effetto paradosso per cui il numero assoluto di infezioni, ospedalizzazioni e decessi può essere simile tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati».

Ma allora che differenza c’è tra chi riceve il vaccino e chi non si è ancora immunizzato? Il vantaggio sta proprio nella protezione, come spiega l’Iss: «L’incidenza, intesa come il rapporto tra il numero dei casi e la popolazione, è circa dieci volte più bassa nei vaccinati rispetto ai non vaccinati. Questi numeri se letti correttamente, quindi, ribadiscono quanto la vaccinazione sia efficace».

La conferma arriva dai dati.

I vaccini sono efficaci

Se è vero che anche i vaccinati possono essere contagiati (ma nella maggior parte dei casi con sintomi lievi o, addirittura, così lievi da non accorgersene), è altrettanto vero che i vaccini sono e restano efficaci: «La vaccinazione anti-Covid-19, come accade per tutte le vaccinazioni, non protegge il 100% degli individui vaccinati, ma protegge dalle forme severe di malattia, quelle che implichano un ricovero o il ricorso alle terapie intensive. Questo era anche l’obiettivo con cui si è lavorato per la creazione di vaccini contro il coronavirus, non l’evitare l’infezione di per sé» spiega il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all’università degli Studi di Milano.

Ma cos’è, dunque, l’effetto paradosso? Consiste nel fatto che, con l’aumentare della copertura vaccinale, «i pochi casi tra i vaccinati possano apparire proporzionalmente numerosi». In pratica, la maggior parte dei casi che sono segnalati riguarda persone che hanno ricevuto il vaccino perché proprio loro sono le più numerose.

«Attualmente sappiamo che la vaccinazione anti-Covid-19, se si effettua il ciclo vaccinale completo, protegge all’88% dall’infezione, al 94% dal ricovero in ospedale, al 97% dal ricovero in terapia intensiva e al 96% da un esito fatale della malattia» conferma l’Iss. «È quindi possibile e atteso un limitato numero di casi di infezione, di ricoveri ospedalieri, di ricoveri in terapia intensiva e di decessi anche tra i vaccinati, in numero estremamente più basso se confrontati a quelli che si verificano tra i soggetti non vaccinati».

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I dati vanno letti nel modo giusto

Gli esperti conoscono bene questo fenomeno, già verificatosi per altre malattie e vaccini. «Se il 90% della popolazione è vaccinato, per esempio, i pochi casi che ci sono in termini assoluti riguarderanno la quota dei vaccinati. Ma non è il numero totale che va osservato, bensì la proporzione con la popolazione a rischio: nel caso dei vaccinati Covid, dunque, è molto più basso rispetto a chi non ha ricevuto alcuna dose» conferma Pregliasco.

L’esempio degli over 80

Un esempio che chiarisce di cosa si tratta riguarda gli over 80. Il numero di ricoveri fra vaccinati con ciclo completo è superiore a quello dei non vaccinati (456 contro 331). Ma gli ultraottantenni completamente immunizzati sono 4,1 milioni rispetto ai 320mila non vaccinati, dunque la probabilità che una persona di questa età finisca in ospedale è maggiore tra gli immunizzati, perché questi sono più numerosi.

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Il vaccino e il rischio varianti

Un altro dubbio che è circolato negli ultimi giorni riguarda, invece, la possibilità che il vaccino non impedisca la comparsa di nuove varianti o che, per assurdo, le favorisca. «È una questione di tempistiche: il rischio che si creino nuove varianti c’è, perché fa parte della natura del virus mutare per adattarsi meglio. È come una cuoca che non segua alla lettera una ricetta: sul numero di torte “sbagliate” che sforna, c’è la probabilità che ne realizzi una buona, che nel caso del virus significa dar luogo a una mutazione più efficace e in grado, potenzialmente, di vanificare la protezione del vaccino. Ma è la tempistica che conta: adesso era ed è importante mettere in sicurezza la maggior parte della popolazione. Se poi accadrà che una variante aggiri i vaccini, si potrà procedere con un richiamo, con una dose che sarà messa a punto in modo specifico. È quello che facciamo con l’influenza» chiarisce Pregliasco.

L’Iss, comunque, conferma l’efficacia della campagna vaccinale condotta finora. Gli ultimi dati (relativi al 18 agosto) indicano che il 66,5% delle diagnosi di Covid, il 74% delle ospedalizzazioni, l’80% dei ricoveri in terapia intensiva e il 72,5% dei decessi nella popolazione italiana hanno riguardato persone che non hanno ricevuto alcuna dose di vaccino.

La fascia d’età più colpita dalle ospedalizzazioni è stata quella 40-59 anni (1.701 persone), tra i quali l’85,5% non era vaccinato. Per i ricoveri in terapia intensiva, invece, i più fragili sono risultati i 60-79 anni, dei quali il 75% non aveva ricevuto il siero. Un andamento analogo si è registrato con i decessi, soprattutto tra gli over 80 (110 vittime).

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