Covid, le varianti e i giovani: cosa sappiamo

In provincia di Milano quintuplicati i casi di varianti nelle scuole. Non va meglio in altre province e zone d’Italia. Perché la variante inglese contagia soprattutto i giovani? È pericolosa?

Da inizio gennaio in provincia di Milano i casi di contagio da varianti del coronavirus tra alunni e studenti sono aumentati di cinque volte. Ad oggi sono 12 le Regioni dove è stata decisa la chiusura delle scuole proprio per la presenza di mutazioni, che sembrano colpire in modo maggiore i più giovani. La conferma arriverebbe anche da Israele, il paese-modello dove la campagna vaccinale ha già interessato metà della popolazione e si prevede di concluderla entro fine marzo. Eppure, il “pericolo” è rappresentato dai ragazzi, tanto che sono stati inaugurati i cosiddetti Vaccine Bar dove viene offerta la vaccinazione, insieme a una consumazione gratis. Come ha scritto su Facebook l’immunologa Antonella Viola «il numero di infezioni nei più giovani è cresciuto in modo così preoccupante da allarmare l’Associazione dei pediatri». La situazione non cambia in Germania dove, dopo due mesi di lockdown, in 10 Lander hanno riaperto scuole e asili, nonostante le perplessità della Cancelliera, Angela Merkel.

Ma davvero le varianti, in particolare quella inglese, colpirebbero soprattutto i giovani? Perché e in che modo?

Crescono i contagi tra i giovani?

I dati non sembrano lasciare dubbi: le varianti circolerebbero soprattutto tra i giovani: «La popolazione più giovane sta contraendo l’infezione ed è un fenomeno che stiamo analizzando» ha spiega il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. «In effetti stiamo notando che le varianti, soprattutto l’inglese, stanno circolando di più in età pediatrica, fino ai 14 anni, ma questo fenomeno può essere dovuto a due fattori: il primo riguarda il fatto che si tratta di una fascia non sottoposta a vaccinazione; il secondo – e più rilevante – riguarda la specificità di questa età e le norme di protezione. Basti pensare ai bambini che frequentano l’asilo o la scuola dell’infanzia: sono quelli per i quali non è previsto l’obbligo di indossare la mascherina e per i quali è più difficile rispettare il distanziamento» osserva Rocco Russo, responsabile del Tavolo Vaccinazioni della Società Italiana di Pediatria (SIP).

Perché più contagi nelle scuole?

Nelle ultime settimane e giorni sono aumentate le segnalazioni di scuole chiuse o passate in Dad per l’individuazione della variante inglese, di cui al momento si conosce la maggiore contagiosità: «Il fatto che si individuino più casi di mutazioni è dovuto a una maggiore sorveglianza, soprattutto nelle scuole dove esistono protocolli definiti. Se finora avevamo la percezione della circolazione delle varianti, ora siamo in grado di individuarle e quindi ne risultano di più. Non significa che ci sia un rapporto diretto tra le mutazioni e la popolazione di bambini e ragazzi: la loro circolazione è un problema trasversale rispetto all’età, riguarda tutti. Diversi sono gli effetti che l’infezione può avere sui giovani rispetto agli adulti o agli anziani» spiega ancora Russo.

La variante inglese è più contagiosa?

I primi a parlare di maggiore contagiosità nella variante inglese sono stati gli esperti del Regno Unito, dove per primo sono stati segnalati casi di diffusione e da dove la mutazione si è poi diffusa a gran parte dell’Europa, avvicinandosi a diventare il ceppo prevalente. «Al momento i dati indicano una maggiore contagiosità di questa variante, mentre non ci sono evidenze scientifiche riguardo alla pericolosità, quindi alla eventuale superiore letalità del virus mutato. Significa che il virus circola con maggiore velocità ed è in grado di infettare più persone. Questo rappresenta un rischio nella misura in cui può colpire più soggetti fragili: come nel caso del ceppo prevalente fino a poco fa, l’obiettivo è ridurne la diffusione per evitare che possano ammalarsi persone con un sistema immunitario meno attivo rispetto ai giovani, che invece notoriamente possono contare su una risposta migliore. Insomma, non sembra più virulenta, almeno nei soggetti giovani o con assenza di comorbidità» spiega Russo.  

Esiste il rischio di una quarantena più lunga?

Esiste, però, la possibilità che la variante inglese possa “resistere” più a lungo nell’organismo. «Uno studio statunitense, non ancora pubblicato e condotto sui giocatori dell’MBA, sembra indicare tempi di eliminazione superiori. Questo potrebbe implicare un aumento della quarantena rispetto ai 10 giorni attuali. Il risultato della ricerca, che necessita di ulteriori approfondimenti, potrebbe rappresentare una novità» spiega l’esperto pediatra.

A quando il vaccino per i giovani?

Se è vero che bambini e ragazzi finora hanno risposto meglio alla malattia Covid, le aziende farmaceutiche hanno annunciato l’avvio di sperimentazioni sulla fascia pediatrica, come fatto da AstraZeneca su un campione da 10 a 16 anni, e Pfizer. «Il percorso è un po’ più complicato perché si tratta di minori, quindi per esempio occorre il consenso dei genitori, ma i tempi tecnici dei trials sono identici a quelli richiesti per mettere a punto le dosi per gli adulti. Va anche tenuto conto che, quando termineranno le sperimentazioni, occorrerà attendere la produzione e commercializzazione, quindi non penso che saranno disponibili prima di un anno – osserva Russo – In ogni caso si tratta di un percorso necessario, anche se le differenze riguarderanno non tanto il volume del siero, che presumibilmente sarà identico a quello degli adulti, quanto il numero di dosi e il lasso di tempo tra una somministrazione e l’altra, che potrebbero essere differenti».

«Il vero obiettivo della vaccinazione pediatrica, quando sarà disponibile, non sarà tanto proteggere i più giovani che, come detto, sono meno vulnerabili, quanto agire su un potenziale serbatoio di infezione per limitare la diffusione del virus, pericoloso per i soggetti più fragili, quelli che stiamo vaccinando oggi» conclude l’esperto.

Riproduzione riservata