Covid e cure fuori protocollo: di cosa si tratta

In rete sono in molti a indicare alcuni farmaci e prodotti contro il Covid o contro effetti indesiderati da vaccino: idrossiclorochina, ivermectina, certi dosaggi di cortisone, thuya occidentalis. Il ministero della Salute però li sconsiglia

Uno dei primi farmaci di cui si è parlato come possibile cura contro l’infezione da Sars-Cov2 è l’idrossiclorochina. Era anche presente nel “cocktail” con cui è stato trattato l’ex presidente Usa, Donald Trump, quando si è ammalato di Covid. Ma dopo un primo uso sperimentale, in Italia il farmaco è stato escluso dal protocollo ufficiale perché «l’efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici condotti finora». Eppure se ne parla ancora, anche perché in alcuni Paesi è in uso.

Anche l’ivermectina è molto nota, soprattutto su siti e social network e alcuni medici la consigliano. È un antiparassitario molto usato in campo veterinario, ma che l’agenzia europea del farmaco (Ema) ha sconsigliato. Molto dibattuto è anche l’utilizzo del cortisone, soprattutto nelle fasi precoci della malattia, insieme ad alcuni antivirali.

L’idrossiclorochina, usata da Trump e Bolsonaro

«Molti medici pensano che l’idrossiclorochina accoppiata con lo zinco e forse l’azitromicina abbia un enorme successo». Era esattamente un anno fa quando l’ex presidente Usa, Donald Trump, pronunciava queste parole, ammettendo di essere stato curato nei mesi precedenti con un “cocktail” che comprendeva anche l’idrossiclorochina, come accaduto anche al presidente brasiliano Jayr Bolsonaro: «Come sapete l’ho presa per un periodo di 14 giorni. E come sapete sono qui. Mi viene da pensare che funzioni nelle prime fasi» della malattia, aveva ribadito Trump.

In Italia, dopo un primo uso sperimentale è uscita dal protocollo ufficiale di Aifa, che parla di «completa mancanza di efficacia a fronte di un aumento di eventi avversi, seppur non gravi». L’agenzia del farmaco «non ritiene utile né opportuno autorizzare nuovi studi clinici» sull’idrossiclorochina, si legge nei documenti ufficiali, che sconsigliano l’uso sia nei pazienti ospedalizzati che in quelli in cura a casa.

Perché qualcuno la usa nelle cure domiciliari

Eppure proprio per i pazienti non ospedalizzati l’idrossiclorichina è invece consigliata, in particolare dai medici delle associazioni Ippocrate.org e del Comitato Cure Domiciliari Covid. Questo è presente con un gruppo Facebook creato a marzo 2020 con il nome di #EsercitoBianco, a supporto degli operatori sanitari impegnati nella lotta contro la Covid-19, poi diventato #TerapiaDomiciliareCovid19 in ogni Regione. Oggi conta oltre 100mila iscritti, soprattutto pazienti che si sono messi in contatto con medici volontari che li assistono a domicilio o da remoto.

È stato nel comitato scientifico di varie associazioni, invece, Andrea Stramezzi, che ora ha fondato la onlus Covid Healer (“Guarisci Covid”) che presto diventerà una App con lo scopo di sostenere e guarire i pazienti Covid a domicilio. Il medico, in servizio presso l’aeroporto di Malpensa nel tracciamento e nei controlli sanitari, spiega di aver curato oltre 1.000 pazienti «con farmaci noti e poco costosi», tra i quali anche idrossiclorichina. «È un farmaco utilizzato contro la malaria e creato per le patologie autoimmuni, come il Covid nella sua fase acuta, quando il “nemico” non è più il virus Sars-Cov2 ma gli anticorpi stessi, che diventano nocivi contro il nostro stesso organismo a causa di una risposta anomala ed eccessiva da parte del sistema immunitario. Noi abbiamo visto, non solo in Italia, che l’idrossiclorochina è un farmaco efficace, ma solo se preso nella prima settimana di malattia, proprio per evitare di arrivare alla famigerata tempesta citochinica del Covid severo» spiega Stramezzi, che aggiunge: «Si tratta di una risposta immunitaria che porta alla formazione di microtrombi, dapprima a livello alveolare quando causa una drastica riduzione dell’ossigenazione del sangue, poi anche a livello di sistema vascolare endoteliale di altri organi, in maniera disseminata (per esempio, arriva a infettare persino i nostri batteri intestinali, il microbiota, dove va a replicarsi): è questo che porta alla necessità di ricovero in terapia intensiva e nel peggiore dei casi anche al decesso».

L’ultimo studio sull’idrossiclorochina: cosa dice

Ad alimentare ancora di più il dibattitto è uno studio, condotto dal Saint Barnabas Medical Center del New Jersey su 255 pazienti e pubblicato a giugno dalla rivista medRxiv, secondo cui l’antimalarico insieme allo zinco potrebbe aumentare il tasso di sopravvivenza di quasi il 200%, se distribuito a dosi più elevate a pazienti ventilati con un Covid severo. L’Aifa, però, finora non ha ravvisato l’efficacia dell’idrossiclorochina, come conferma il virologo Fabrizio Pregliasco, dell’Università degli Studi di Milano: «So di colleghi che lo prescrivono, ma è stato dimostrato che ha un’efficacia limitata ed effetti collaterali a livello cardiaco che hanno portato a ritenere il rapporto benefici-rischi sbilanciato verso questi ultimi».

Il cortisone: sì o no?

Nel mondo del web e sui canali social si discute molto anche di cortisone, un farmaco dalla potente azione antinfiammatoria, utilizzato molto anche per altre cure come alcuni casi di reazioni allergiche gravi o artrite reumatoide. Il protocollo Aifa lo prevede, ma solo nella seconda fase della malattia, quando il virus è ormai riuscito a replicarsi e occorre dunque fermare la “tempesta citochinica”. Secondo il Comitato per le cure domiciliari e i medici di Ippocrate.org, invece, andrebbe somministrato subito, proprio per evitare che la prima risposta immunitaria dell’organismo al Sars-Cov2 si trasformi in una reazione autoimmune: «Non è vero che abbassa le difese immunitarie, come sostengono alcuni colleghi. La risposta immunitaria aspecifica avviene comunque, mentre il cortisone serve a evitare che la risposta specifica contro il virus sia anomala ed esagerata» spiega Stramezzi.

Non è d’accordo Pregliasco: «Il cortisone nella prima fase non ha un’efficacia particolare e anzi ha dimostrato possibili effetti collaterali. Ben diversa è l’azione del Remdesivir (un antivirale usato nella seconda fase della malattia Covid, NdR), che contribuisce a ridurre la mortalità e ad oggi è il primo e unico farmaco autorizzato, oltre agli anticorpi monoclonali, utilizzati però solo in certi casi e a inizio malattia».

Il medicinale antiparassitario: l’ivermectina

In questo caso si tratta di un farmaco antiparassitario molto noto in ambito veterinario e di cui si è parlato e si parla nella cura anti-Covid, pur non essendo nel protocollo ufficiale. L’EMA ha esaminato il medicinale. Gli Studi di laboratorio hanno mostrato che ivermectina potrebbe bloccare la replicazione del Sars-Cov2, ma a concentrazioni molto più elevate rispetto a quelle raggiunte con le dosi attualmente autorizzate.
Gli studi clinici, invece, hanno portato a risultati diversificati, in alcuni casi non dimostrando benefici, in altri indicandone di potenziali, con alcune limitazioni: «la maggior parte degli studi era di piccole dimensioni» e prevedeva posologie molto diverse tra loro, insieme al «ricorso a medicinali concomitanti», come spiega Aifa. Per questo l’agenzia europea del farmaco ha concluso «che le evidenze attualmente disponibili non sono sufficienti a supportare l’uso di ivermectina per COVID-19 al di fuori degli studi clinici» spiega Aifa, aggiungendo: «Sebbene ivermectina sia generalmente ben tollerata alle dosi autorizzate per altre indicazioni, gli effetti indesiderati potrebbero aumentare se si utilizzassero dosaggi più elevati necessari ad ottenere concentrazioni di medicinale nei polmoni che siano efficaci contro il virus. Non si può pertanto escludere tossicità quando ivermectina è utilizzata a dosi superiori rispetto a quelle approvate». «I benefici sono tutti da dimostrare – commenta Pregliasco – La sua azione stimolerebbe il sistema immunitario, ma andrebbe assunta dietro rigorosa prescrizione medica: non ci può essere fai-da-te». Diversa l’opinione di Stramezzi: «Io la uso dal 2020 con molti pazienti, compresi i circa 100 italiani che oggi sono positivi, a Dubai, nonostante la terza dose di vaccino: due con il siero cinese Sinovac e il richiamo booster con Pfizer. Dobbiamo davvero aspettare che siano condotti studi random, prima di usarla?».

Il preparato pre vaccino: la Thuya occidentalis

Mentre prosegue la campagna vaccinale e dopo l’appello del premier, Mario Draghi, a procedere con le somministrazioni per evitare un decorso sfavorevole del Covid («L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire» ha dichiarato), si moltiplica la richiesta della Thuya occidentalis monodose da parte di chi sta per immunizzarsi. Si tratta di un rimedio indicato in omeopatia per la cura delle malattie cutanee, in particolare per l’azione su mucose, verruche, psoriasi, ma anche sul sistema nervoso centrale nel contrasto all’emicrania e al mal di testa da stress o tensione, o contro i dolori mestruali. Netta la posizione del virologo Fabrizio Pregliasco: «Non serve a nulla per prevenire eventuali effetti collaterali lievi del vaccino, come il mal di testa. E’ come prendere l’aspirina per evitare che ci possa venire la febbre: eventuali sintomi post somministrazione vanno valutati di caso in caso e al momento della eventuale comparsa. L’automedicazione, anche con i farmaci da banco, deve essere responsabile, non ha senso eccedere in modo preventivo».

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