Covid: arriva il test rapido italiano per le varianti

C'è un test rapido italiano che permette di individuare le tre varianti principali: inglese, sudafricana e brasiliana

Sviluppato all’università di Milano Bicocca, il test rapido per le varianti si presenta come una vera novità, estremamente utile per la presenza delle mutazioni, la possibilità di nuovi focolai e il rischio che si riduca l’efficacia dei vaccini a disposizione.

Usa la tecnica dei tamponi molecolari, con la differenza che in un paio d’ore consente di individuare anche l’eventuale presenza della variante inglese, brasiliana e sudafricana del virus. È made in Italy, perché a produrla è un’azienda italiana. Secondo il virologo Francesco Broccolo, coordinatore del team che lo ha messo a punto e direttore del laboratorio Cerba di Milano, potrebbe essere disponibile da fine febbraio. Ecco come funziona.

Cos’è il test rapido e come funziona

Il PCR Multiplex prende il nome dalla tecnica utilizzata (Reazione a Catena della Polimerasi), la stessa dei normali tamponi molecolari. In più, però, permette di individuare eventuali mutazioni all’interno di un gene, utilizzando sonde molecolari “fluorescenti”. Ciascuna di queste, infatti, è “specializzata” nella ricerca di una variante ed è marcata con molecole che, in presenza della mutazione cercata, semplicemente diventano fluorescenti. «È uno strumento importantissimo, con un funzionamento semplice e rapido: le sonde “pizzicano” il campione prelevato con il tampone e, se trovano il loro corrispettivo, si “illuminano” come fossero lampadine, segnalando la presenza della possibile mutazione» spiega Massimo Ciccozzi, professore di Epidemiologia molecolare all’Università Campus Bio-Medico di Roma, ritenuto uno dei massimi esperti nel campo delle varianti (è chiamato anche “l’uomo delle mutazioni”). «Si risparmiano tempo e costi in analisi perché, invece che sequenziare l’intero genoma del virus, si amplifica solo ciò che serve controllando se è possibile che ci sia una variante».

Si tratta, quindi, di un pre-screening, come conferma Broccolo: «Ogni variante ha una modalità che la contraddistingue ed è quindi possibile individuarle andando a cercare direttamente queste caratteristiche, già prima del sequenziamento».

Il nuovo test da fine febbraio

Secondo Broccolo, il test sarà disponibile già a fine febbraio in tutti i laboratori che fanno l’analisi dei tamponi molecolari: «Questa tecnica può essere facilmente disponibile in tutti i laboratori, sia con il kit già validato sia con reagenti e sonde disegnati “home made”, purché siano sottoposti a validazioni interne con i laboratori di riferimento regionali: per questo è uno strumento che potrebbe contribuire ad accelerare la ricerca delle varianti nel nostro Paese».

Quali sono le varianti del virus che preoccupano

Al momento le varianti principali sono tre: l’inglese, la sudafricana e la brasiliana. La variante inglese deve il suo nome al fatto che è stata individuata inizialmente nel Regno Unito (a Londra e nel Kent), ma ormai è diventata anche la più diffusa in Europa: «Al momento sembra confermato che renda il virus più contagioso, ma non più letale né dovrebbe ridurre l’efficacia dei vaccini» spiega Ciccozzi.

La variante brasiliana a dispetto del nome è stata individuata in Giappone, dopo la sua scoperta in 4 persone atterrate dopo un volo proveniente dall’Amazzonia. Come per la variante inglese, interessa una parte della proteina Spike, “l’aggancio” con cui il virus entra nell’organismo umano. La variante sudafricana, invece, deve il suo nome alla diffusione nel Paese africano ed è anche quella che preoccupa maggiormente per l’efficacia dei vaccini.

Varianti e vaccini: efficacia ridotta?

È uno dei temi più dibattuti: «Premesso che le varianti ci sono sempre state per tutti i virus, compreso quello dell’influenza, e ce ne saranno ancora, il problema riguarda l’efficacia del vaccino, che al momento sembra solo diminuire, senza venir meno – spiega Ciccozzi – Dobbiamo però impedire che queste mutazioni circolino, infettino più persone e quindi si diffondano, diventando prevalenti rispetto a quella che al momento è la variante principale e sulla quale sono stati realizzati i vaccini».

L’eventuale terza dose

Cosa succederebbe se le varianti si diffondessero di più? «Pfizer e Moderna, che hanno realizzato vaccini di nuova generazione con Rna messaggero, hanno già annunciato di essere in grado di riprogrammare il vaccino in 6 settimane, quindi non ci sarebbero grossi problemi, basterebbe somministrare una terza dose in chi ha già ricevuto le prime due oppure direttamente il nuovo siero a chi ancora non si è vaccinato» spiega l’esperto del Campus Bio-Medico.

Il Sudafrica, invece, ha interrotto le somministrazioni del vaccino AstraZeneca, ritenendo che sia inefficace con la variante locale: «Si parla di una riduzione del 30% dell’efficacia dopo l’analisi su un campione di 2.000 persone, quindi estremamente ridotto. Io andrei cauto, è una variante molto limitata da noi e comunque il vaccino di AstraZeneca si è dimostrato efficace nella popolazione under 55 anni». L’Organizzazione mondiale della Sanità ne ha consigliato la somministrazione anche agli under 65 e l’Aifa, l’Agenzia italiana del Farmaco lo ha autorizzato anche negli over 55 purché in buona salute.

La nuova “variante milanese”

Si tratta dell’ultima variante, scoperta da un team dell’Università Statale di Milano coordinato da Serena Delbue, Pasquale Ferrante ed Elena Pariani e di cui riferisce anche la rivista Emerging Microbes & Infections. «In questo caso a mutare non è la proteina Spike, bensì la ORF-6. Non verrebbe aumentata la contagiosità né la letalità. L’ipotesi, invece, è che possa diminuire il supporto delle citochine, che sono proteine che tra le loro funzioni hanno quella di sostenere il sistema immunitario nel combattere l’infiammazione. Da qui il timore, da verificare, che questa variante possa rendere più problematico il decorso della malattia Covid» spiega Ciccozzi. La variante «potrebbe essere in circolazione anche da diverso tempo, per questo occorre un sistema di sorveglianza nazionale molto efficace. Occorre impedire che circolino nuove varianti prima di avere raggiunto una buona copertura vaccinale» conclude l’esperto di Epidemiologia molecolare.

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