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Vaccino polivalente invece della quarta dose: cos’è

Mentre si allontana l’ipotesi di una quarta dose anti-Covid per tutti, si lavora a un vaccino che protegga da varianti e influenza insieme. Per chi e quando

Le case farmaceutiche stanno già lavorando a un vaccino polivalente anti-Covid perché crescono i dubbi sull’efficacia di una quarta dose. Al momento sono sei i Paesi nei quali la quarta dose di vaccinazione anti-Covid è già realtà. In Israele da gennaio è stata autorizzata per ultra 60enni e maggiorenni a rischio, come negli Usa, in Spagna, Germania e Danimarca, a 5 mesi dalla terza inoculazione, mentre l’Ungheria lo prevede per tutta la popolazione. Ma non mancano i dubbi nel mondo scientifico.

I dubbi sulla quarta dose

Prima Marco Cavaleri, responsabile della strategia vaccinale dell’Ema, l’Agenzia europea per il farmaco, poi anche diversi esperti in Italia hanno manifestato perplessità sull’opportunità ed efficacia di procedere con una quarta dose di vaccino anti-Covid tra quelli disponibili. Secondo Cavaleri, infatti, «Non possiamo continuare con booster ogni 3-4 mesi», mentre il virologo Fabrizio Pregliasco ha sottolineato che i dati delle somministrazioni in Israele «non stanno dando risultati straordinari».

«In effetti la quarta dose sembra che non faccia la differenza rispetto alla terza, perché quello che stiamo utilizzando è un vaccino che si basa sul primo virus, quello apparso a Wuhan due anni fa. Credo che ora non abbia senso insistere con quel vaccino perché sono subentrate le varianti. Sarebbe più sensato, invece, attendere un vaccino che incorpori le varianti nuove. Per questo adesso si parla di una eventuale quarta dose probabilmente solo per categorie a rischio, perché per loro rappresenterebbe comunque una forma di protezione» spiega Mario Clerici, professore di Immunologia all’Università degli Studi di Milano e alla Fondazione Don Gnocchi.

Perché i vaccini attuali sono meno efficaci contro Omicron

Lo abbiamo visto tutti: Omicron ha reinfettato anche coloro che avevano ricevuto tre dosi di vaccino. «Le perplessità su una quarta dose riguardano proprio questo aspetto: si è visto che gli anticorpi, stimolati dal vaccino e che avrebbero la funzione di impedire l’infezione, non sono più in grado di riconoscere la variante Omicron del virus, dunque non hanno impedito l’entrata del virus stesso nelle cellule – spiega Clerici – I linfociti T sviluppati dall’immunizzazione, però, hanno permesso di uccidere le cellule infette: questo ha fatto sì che si sia evitata la malattia in forma severa».

Il rischio di mandare in tilt il sistema immunitario

Un altro aspetto di cui si parla riguarda la cosiddetta “paralisi immunitaria”, cioè il rischio di mandare in tilt il sistema immunitario con somministrazioni di vaccino così ravvicinate. «È un fenomeno osservato molto tempo fa, negli anni ’70, sui topi: si era visto che una esposizione ripetuta a un virus o una somministrazione ripetuta dello stesso vaccino può sopprimere la risposta immunitaria invece che aumentarla. Va detto, però, che non ci sono conferme che possa accadere anche nell’uomo, perché sono mai stati fatti studi analoghi, non potendo vaccinare un uomo ipoteticamente 100 volte per vedere cosa accade. Quindi rimane una ipotesi molto teorica» spiega l’immunologo.

Il vaccino polivalente: cos’è e perché non è una quarta dose

Per questo si fa largo l’ipotesi di un vaccino polivalente, “nuovo” e che dunque non sarebbe una quarta dose. «Polivalente significa che include proteine di diversi virus, cioè potrebbe essere sia un vaccino con le proteine di varianti nuove del Sars Cov2, sia un vaccino che mette insieme la protezione da influenza e da Covid» chiarisce Clerici. Potrebbe essere somministrato in autunno, ma probabilmente non a tutti: «Sono ottimista, penso che questa sia l’ultima fase della pandemia. In autunno, se servirà un vaccino, sarà per i soli soggetti molto anziani o a rischio: non credo che ci sarà un nuovo giro di vaccinazione di massa anti-Covid. Siamo in molti a pensarlo, anche considerando quanto accaduto in passato: questo è il settimo coronavirus che ha fatto un passaggio dall’animale all’uomo e finora è sempre accaduto così: si è andati verso un’attenuazione dell’aggressività, con sintomi sempre più lievi e paragonabili a un raffreddore. D’altra parte l’obiettivo del virus è provocare una malattia sempre meno severa in modo da poter convivere con l’ospite, cioè l’uomo: se lui si ammala poco, non muore e il virus continua a vivere. Anche se il Sars Cov2 ci ha sorpreso diverse volte, è plausibile pensare che eventuali nuove varianti siano sempre meno patogene» spiega l’esperto immunologo.

La copertura dalle future varianti

È d’accordo anche Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campus Biomedico di Roma, tra i massimi esperti di varianti in Italia: «Per quanto Sars Cov2 sia imprevedibile, è immaginabile che si stia endemizzando: diventerà, quindi, un nostro compagno di viaggio, con cui convivere pur tenendolo sotto controllo. Questo lo si potrà fare, pensando soprattutto ai più fragili, con un vaccino polivalente a cui si sta già lavorando». Le strade al momento sono due: «Un polivalente che protegga da tutte le varianti, presenti e future, non sarebbe realizzabile, ma Moderna sta studiando un vaccino bivalente: coprirebbe dalla variante al momento prevalente, cioè Omicron, e dall’influenza. L’altra ipotesi è quella di un vaccino che protegga da Omicron e da altri betacoronavirus, cioè della stessa famiglia di Sars Cov2, che già esistono ma per i quali non ci sono vaccini perché finora non ne abbiamo avuto bisogno. Io trovo molto indicato quello bivalente – spiega Ciccozzi – che sarebbe raccomandato alle stesse categorie per le quali è consigliato l’anti-influenzale». Ma se ne frattempo arriveranno altre varianti? «Non credo che accadrà, ma dovrebbero essere comunque meno aggressive, questo ci dice la logica e questo indicano gli studi evolutivi» afferma l’epidemiologo.

Verso lo stop alle mascherine anche al chiuso

Intanto è decaduto l’obbligo di mascherine all’aperto, mentre in altri Paesi come il Regno Unito e la Danimarca è venuto meno anche al chiuso. Non è rischioso? «Io sono un cauto ottimista: ottimista perché il virus sta diventando endemico, cauto perché ora togliamo le mascherine, ma non dobbiamo buttarle: vanno tenute in tasca in caso di assembramenti, almeno fino a tutto febbraio. Da maggio, se la curva proseguirà in calo, potremo pensare di non indossarle neppure al chiuso, così come non ritengo che servirà più il Green Pass» conclude Ciccozzi.

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