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Un figlio o un lavoro?

  • 23 07 2020

Una ricerca dell’università di Washington ha previsto un crollo demografico mondiale, che porterà al dimezzamento della popolazione in alcuni Paesi. Tra questi c’è l’Italia, dove gli attuali 60 milioni di abitanti diventeranno 28 milioni entro il 2100. Che non si tratti di uno studio campato in aria lo dimostra il fatto che nel 2018, per il secondo anno di seguito, sono morte più persone di quelle che sono nate: 200.000 per l’esattezza. Un crollo così repentino della popolazione avrebbe l’effetto di un cataclisma. Pensioni e sanità diventerebbero un lusso, ci troveremmo di fronte a un Paese invecchiato e impoverito, dove i pochi giovani sarebbero costretti a lavorare il triplo per avere una vita dignitosa. Come siamo arrivati a questo punto? I numeri dicono che il nostro è un Paese da cui si emigra sempre di più e in cui si immigra sempre meno. Ma soprattutto è un Paese in cui si fanno pochi figli. Persino le famiglie immigrate, arrivate in Italia, come per una strana maledizione, iniziano a farne meno.

Ma non è una maledizione. È un perverso meccanismo per cui le donne devono scegliere tra un figlio e il lavoro. Laddove il primo, in assenza del secondo, significa dipendenza dal partner, mentre il secondo significa libertà, autodeterminazione. Voi cosa scegliereste? L’aut aut non si pone solo alle donne che ambiscono a “fare carriera”, come un diffuso pregiudizio vorrebbe. Altrimenti non si spiegherebbe perché il Sud Italia faccia meno figli del Nord: qui l’occupazione femminile è minore e meno qualificata, eppure, mancando i servizi essenziali che permetterebbero alle donne di allontanarsi da casa per lavorare, il tasso di fertilità è più basso che al Nord. D’altra parte, alle donne non basta la garanzia di un nido per decidere di fare un figlio. Vogliono la certezza di potersi realizzare pienamente come persone: ecco perché il tasso di natalità aumenta nei Paesi con maggiore parità di genere.

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E sfatiamo un altro pregiudizio: gli italiani desiderano fortemente i figli. «Il 46% delle persone dichiara che di bambini ne vorrebbe almeno 2» sottolinea la celebre statistica italiana Linda Laura Sabbadini. Mettiamola così: se la battaglia femminista di liberazione delle donne dal ruolo di madri e mogli è stato il primo motore del calo demografico, oggi la battaglia femminista per la pari distribuzione del carico domestico tra uomo e donna è l’unica speranza per la sopravvivenza dell’Italia come Nazione. Se i padri sono più coinvolti nella gestione domestica, le donne fanno più figli. Lo dimostra la Svezia che, secondo lo studio dell’università di Washington, nel 2100 vedrà la sua popolazione aumentare, passando dagli attuali 10,2 milioni a 13 milioni.Sembra un paradosso. Eppure è solo sostenendo le donne nel loro percorso di emancipazione, nelle loro ambizioni professionali, e condividendo il carico lavorativo domestico, che si può sperare di continuare a esistere come Paese. 

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