Figli in vacanza da soli: perché è così facile non sentirli?

  • 12 07 2018

Non abbiamo il coraggio di dirlo, ma si fa presto a tornare giovani, nottambuli e incoscienti quando l'estate scompagina le nostre famiglie cittadine, e chi può spedisce i bambini in campagna, al mare o in montagna. Siamo pessimi genitori o ottimi apprendisti allo stage estivo di ritrovata autonomia?

«Quest’anno saremo ancora più bravi: una sola chiamata alla settimana» ci diciamo io e Lui, mentre chiudiamo le valigie delle nostre figlie, in partenza per il kinderheim. Annuiamo convinti e inspiriamo profondamente, mentre stringiamo il patto di sangue che per 13 giorni renderà ciascuno guardiano delle tentazioni dell’altro. Uniti nella lotta contro l’istinto, che ci condurrebbe a sentirle ogni giorno, ad assicurarci che siano vive, come quando erano appena nate, e avvicinavamo la mano al nasino perché il tepore del respiro mettesse a tacere le nostre insicurezze.

Al giorno 5 succede che io e Lui partiamo per il weekend e ci accorgiamo troppo tardi che i nostri cellulari saranno inutilizzabili: non siamo riusciti ad avvisare il kinderheim in tempo sicché, qualunque cosa accada alle piccole, non saremo raggiungibili. Ogni volta che ce ne ricordiamo, nel corso del finesettimana, proviamo un misto di pentimento e vergogna per il fatto che riusciamo a divertirci ugualmente, a sentire i profumi, a guardare le stelle, a stupirci. Il tredicesimo giorno arriva più velocemente di quanto immaginassimo e carico di domande: perché è stato così facile non sentirle, uscire tutte le sere, stravolgere le nostre abitudini? Che genitori siamo?

Ci svegliamo all’alba e brighiamo per raggiungere il kinderheim prestissimo. Prima ancora dei loro sorrisi, ci accolgono i complimenti dei tutor: siamo stati dei genitori modello, è così che si fa, i bambini devono respirare. Poi in auto, mentre torniamo, tra i racconti entusiasti arriva inattesa la stoccata: «Perché non ci chiamavate mai? Gli altri bambini sentivano i genitori tutti i giorni…».

Vorrei rispondere che lo abbiamo fatto per loro, per far crescere la loro sicurezza, per puntellare la loro autostima, per dimostrare quanto ci fidiamo, per non costringerle ad alzarsi nel bel mezzo della cena per parlare con mamma e papà. Ma le parole mi muoiono in gola.

La verità è che quei 13 giorni sono una “prova di volo” più per noi che per loro. Sono le settimane in cui ci alleniamo alla cessione del controllo e alla fiducia nel prossimo. Sono lo stage estivo in cui testiamo la nostra capacità di avere interessi e passioni, di addomesticarli pazientemente nel corso dell’anno e, quando ce n’è l’occasione, di saperli esprimere in maniera selvaggia.

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