Food for Soul
Il Refettorio Gastromotiva a Rio de Janeiro, in Brasile.

Food for Soul, i Refettori degli chef

L'associazione Food for Soul, creata dallo chef pluristellato Massimo Bottura e dalla moglie Lara Gilmore, ha realizzato 13 Refettori in tutto il mondo. Finora sono stati accolti 850.000 ospiti che ricevono pasti di alta qualità. E ritrovano dignità

L’associazione no-profit Food for Soul

Lo chef Massimo Bottura e la moglie Lara Gilmore hanno creato l’associazione no-profit Food for Soul (foodforsoul.it) e nel 2015 hanno inaugurato a Milano il primo Refettorio. Come dice la parola – dal latino reficere, cioè “rifare” ma anche “recuperare” – non è una mensa come tutte le altre. Offre ai più bisognosi piatti squisiti realizzati con cibo di recupero, certo, ma dà in realtà molto di più. Regala un’occasione di convivialità, un afflato di umanità, una possibilità di recuperare la propria dignità. Grazie al bello dei luoghi e al buono dei piatti.

Ecco cos’è la vera bellezza: creare valore a partire da ciò che sembra non averne affatto, sfruttando al meglio gli ingredienti in ogni fase della loro vita» dice lo chef pluristellato Massimo Bottura. Quando si riferisce alla possibilità di realizzare qualcosa di unico, pensa al cibo. Ma non solo. Anche alle persone più fragili che spesso si sentono gli “scarti” della società e hanno bisogno di essere valorizzate.

13 Refettori in tutto il mondo

Che questa intuizione sia stata geniale e rivoluzionaria lo dicono i numeri: 13 Refettori aperti in tutto il mondo, più di 670 tonnellate di cibo recuperato, 1 milione e 530.000 pasti preparati solo durante la pandemia, più di 100.000 chef e volontari coinvolti nel progetto, 850.000 ospiti serviti da Londra a Rio de Janeiro. Ospiti che, una volta superata la diffidenza di farsi servire e di cenare con degli sconosciuti, non vogliono più andarsene perché finalmente si sentono a casa, parte di una famiglia.

«Mi piace molto venire qui. È pulito e si vede che ci dedicano tempo e attenzioni, per esempio servendo carne che noi musulmani possiamo mangiare o preparando sempre un’opzione vegetariana. Questo è il genere di cose che ci fa sentire considerati ed è molto importante» racconta un ospite del Refettorio di Modena, con gli occhi che gli brillano e un sorriso dolce come il gelato che sta gustando.

E la stessa gioia e gratitudine per sentirsi finalmente importanti la ritroviamo nelle parole di un ospite del Refettorio di Napoli: «Oggi, per la prima volta, mi sono seduto davanti a una tavola apparecchiata e imbandita. Mi sono sentito un vero napoletano» spiega, facendo capire che un pasto condiviso, che per molti di noi è la normalità, può diventare un momento di festa, in grado di unire, ridare vita e rinnovare. Ma, soprattutto, può far sentire le persone benvenute e accolte. Perché la cucina è un grande atto d’amore verso la persona di cui, in quel momento, ci si sta prendendo cura.

→ Fai la differenza

Per contribuire alla lotta contro sprechi alimentari e al progetto di inclusione sociale che Food for Soul porta avanti dal 2015, basta un semplice gesto. Vai sul sito foodforsoul.it e clicca su “Dona”. Perché anche una piccola donazione, la tua, può fare la differenza.

RECUPERARE IL CIBO, CURARE L’ANIMA

È la filosofia di Lara Gilmore, che insieme al marito, lo chef Massimo Bottura, ha realizzato il progetto unico di Food for Soul, fondato sulla lotta agli sprechi alimentari e l’accoglienza delle persone fragili


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– Lara Gilmore, presidente di Food for Soul, associazione no-profit fondata insieme al marito e chef Massimo Bottura.

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– Un Refettorio di Food for Soul: quello Antoniano, a Bologna.

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– Il Refettorio di Food for Soul Felix, a Londra.

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– Il Refettorio di Food for Soul aperto a Genova a gennaio.

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– Chef all’opera nel Refettorio
di Londra.

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– La preparazione dei pasti al Refettorio
Paris durante la pandemia di Covid-19.

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– Un ospite nel Refettorio Mérida in Messico.

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– I piatti pronti per essere serviti al Refettorio Felix di Londra.

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– Il Refettorio Made in Cloister, a Napoli.

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– Un piatto usato nel Refettorio di Parigi.

Massimo Bottura e Lara Gilmore

Che Massimo Bottura, lo chef dell’Osteria Francescana, il ristorante 3 Stelle Michelin a Modena, sia una rockstar del food, si sa. E Lara Gilmore, sua moglie, 54 anni, nata in America e italiana di adozione, non è certo da meno. Solare, spiritosa, delicata ma travolgente nel raccontare, è un vulcano di spunti, colori, sapori, idee. Impossibile resisterle. Come è impossibile non immaginarla in cucina mentre prepara il minestrone, di cui Bottura è golosissimo, o in sella alla sua bici gravel in giro per la campagna emiliana.

E impossibile è anche non restare rapiti quando racconta di Food for Soul (in inglese, cibo per l’anima), l’associazione no-profit di cui è presidente: l’ha creata insieme al marito nel 2016 per combattere lo spreco alimentare aprendo Refettori per le persone più vulnerabili dove viene servito cibo di alta qualità in un contesto bello, accogliente. Una parola, quest’ultima, che ricorre spesso nella nostra intervista. Forse perché Lara è proprio così: una di quelle persone in qualche modo familiari, con cui ti senti subito a tuo agio, con cui prenderesti volentieri un caffè.

Intervista a Lara Gilmore, presidente di Food for Soul

Partiamo da qui. Cosa ha mangiato a colazione? «Come ogni mattina, mi sono fatta la moka con mio figlio Charlie. È un rito tutto nostro, la prepariamo alla sera e ce la gustiamo insieme quando lui si alza. Poi verso le 10 faccio una seconda colazione, da emiliana vera, con erbazzone e gnocco fritto».

Come è nata la sua passione per il cibo? «La mia famiglia, pur essendo americana, è sempre stata amante del buon cibo, di frutta e verdura fresca. Mio nonno paterno adorava cucinare: ricordo ancora il profumo del suo pollo alla griglia, usava un tipo di legna particolare che sapeva di ginepro».

Anche sua mamma era un’ottima cuoca. «Sì, aveva un orto stupendo e ogni volta che andava a cena fuori con mio padre finiva sempre nelle cucine per farsi dare le ricette più nuove ed esotiche. Prima di incontrare mio marito avevo un fidanzato batterista: non le andava molto a genio. Quando le ho presentato Massimo, giovane chef, era felicissima: finalmente poteva imparare i segreti di tutti i piatti!».

Anche lei ha un orto? «A casa mia a Modena purtroppo c’è troppa ombra. Ma a Casa Maria Luigia (la guesthouse inaugurata qualche anno fa alle porte di Modena, ndr) ne abbiamo uno pieno di erbe aromatiche, fiori edibili come il nasturzio e la bocca di leone, e tutte le verdure di cui la cucina ha bisogno per creare!».

Come mai ha questa passione? «Per me l’orto è un po’ come la bici, una meditazione. Mi insegna a essere flessibile, a superare le difficoltà, a non arrendermi, a rispettare i tempi».

E le darà anche tanti spunti per le sue ricette. «Sì, certo. Per esempio, nel minestrone, per cui Massimo è capace di mollare tutto, non mancano mai le verdure del nostro orto. Di solito lo faccio con gli avanzi che ho in frigo: bucce di patate e piselli, gambo dei broccoli, la parte finale della cipolla…».

In pratica non butta via niente. «Proprio così. Detesto sprecare. E poi è semplice e creativo dare una seconda vita al cibo. La frutta che sta per marcire la taglio a pezzi e la metto in freezer pronta per i frullati. Il pane secco lo utilizzo per fare i passatelli, una pasta tipica della Romagna, o nel pesto, al posto dei pinoli, dopo averlo saltato in padella. La crosta del parmigiano è squisita nel brodo, diventa una specie di chewing gum saporitissimo».

I temi della lotta agli sprechi e dell’inclusione sociale sono da sempre a lei cari. «Sì, io sono cresciuta con un bisnonno che era un prete protestante, un nonno psicologo, socialista, che aiutava i ragazzi in difficoltà, e una mamma, anche lei psicologa, che lavorava nelle carceri. Andavo con lei e la aiutavo ad apparecchiare, a mettere i fiori sui tavoli. Poi, per un certo periodo, ho dimenticato quel mondo, quella sensibilità. Volevo diventare un’attrice, un’artista. Ma quando sono venuta in Italia ho riscoperto questi temi. Era un seme che era stato piantato, che avevo dentro e che poi è germogliato, in molti modi».

Il modo più geniale è stato sicuramente Food for Soul. «Era una domenica e Massimo mi ha detto: “Ho avuto un’idea”. Quando lui dice così è un momento pericolosissimo, perché significa che ha già in mente tutto».

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E l’idea è stata quella di aprire dei Refettori per le persone fragili e bisognose. «Esatto. Sinceramente io all’inizio ero terrorizzata: avevamo appena preso la terza stella Michelin. Ma poi, come succede sempre con Massimo, mi ha convinta. Non c’è voluto molto: l’idea era rivoluzionaria».

Cultura. Nutrimento. Comunità. Sono i tre ingredienti fondamentali che hanno reso unica quest’iniziativa. «Per la prima volta le persone fragili hanno uno spazio bello e accogliente tutto per loro. Niente file, niente self service. Qui i nostri ospiti si siedono, vengono serviti, si conoscono. E, grazie al cibo, possono sentirsi parte di una comunità. Possono recuperare la loro dignità».

E di solito come reagiscono? «All’inizio c’era molta diffidenza. C’era resistenza all’invito, a condividere un pasto con chi non si conosce. Poi, è bastato il potere del cibo a sciogliere il ghiaccio, a creare legami. E da allora le cene sono gioia, celebrazioni, festa».

E la bellezza che c’è in questi luoghi quanto è importante? «È fondamentale. La bellezza è cura, accoglienza. Crea benessere senza bisogno di parole, di spiegazioni. Restituisce dignità. Fa sentire importanti le persone che la vivono».

A proposito di cose importanti, quale altra “follia” dobbiamo aspettarci da lei e suo marito? «Stiamo cercando a Modena uno spazio giusto. Non solo per chi ha bisogno di un pasto. Ma per chi ha bisogno di sedersi attorno a un tavolo, di imparare l’italiano, di fare i compiti. Insomma, di essere accolto».

Non è l’ultima volta che torna la parola accoglienza. Prima di salutarci Lara mi invita a chiamarla se passo da Modena: «Potremmo conoscerci, mi piacerebbe accoglierla nella nostra casa».

Ne sono certa, sarebbe un’esperienza unica.

Credits foto: Angelo Dal Bo / Marco Poderi / Michela Balboni / Paolo Teri Shehen Hanellage / Simon Owen – Red Photographic (3) / Viviana Falace

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