Jole Santelli e la normalità fino all’ultimo giorno

Jole Santelli è morta a 51 anni, è stata la prima Presidentessa della Regione Calabria. Era malata di tumore e fino all'ultimo giorno ha condotto una vita normale, parlando della malattia. È giusto che i personaggi pubblici diventino di ispirazione per tanti pazienti che - tutti - vanno sostenuti

Ci ha turbato tutti la notiza che Jole Santelli sia morta a 51 anni. Ancora giovane, una sfida appena iniziata (era Presidente della Regione Calabria, la prima donna a ricoprire questo incarico), una malattia – il cancro – con cui oggi si può convivere per molti anni. Una malattia raccontata senza ipocrisia né retorica, con la trasparenza che la contraddistingueva e che, proprio per questo – forse – pensavamo l’avrebbe aiutata a superare. La politica la piange, i tg aprono con questa notizia e noi ci chiediamo come sia possibile morire nell’età della pienezza, con tanta energia ancora da spendere per sé e per gli altri.

Quotidianità e malattia possono andare d’accordo

Ma la cosa che ci colpisce di più, dopo l’età, in questa scomparsa così silenziosa (è stata trovata a casa, da sola, forse colpita da un infarto) è il fatto che fino a oggi avesse potuto condurre una vita normale, anzi: una vita da personaggio pubblico. «Succede perché oggi, in molti casi, quotidianità e malattia possono andare d’accordo. Le terapie sono personalizzate, spesso si riesce a programmare trattamenti più sostenibili e accompagnati da terapie complementari che a loro volta li rendono più sopportabili. Il cancro non è più “la” malattia ma “una“ malattia». Un messaggio forte che deve passare a chi riceve questa diagnosi e che viene dall’oncologa Marina Schena, primaria della divisione di oncologia dell’ospedale di Aosta, un’eccellenza nel settore, che sta crescendo alla periferia dell’Italia, dove penseresti che si curino solo traumi sportivi.

Oggi si può vincere la vita

Del resto Jole Santelli si curava a Paola, nella sua Calabria, in un’altra periferia geografica italiana. Non ne faceva mistero, anzi. In un’intervista recente aveva detto al giornalista: «Sono in cura presso il reparto di oncologia di Paola. Sorpreso, vero? Da noi ci sono medici eccellenti. Le eccellenze in un mare di incompetenza, clientelismo, ignavia annegano come sassolini nello stagno». Già. Questa donna appassionata e sanguigna, che – vi ricordate? – aveva riaperto i bar di Reggio Calabria sfidando le direttive del Governo, ce la vogliamo ricordare mentre balla la tarantella dopo la vittoria alle elezioni.  Una donna come noi, col sorriso aperto e tante scelte ancora davanti. «Non ha mai avuto paura di dire che aveva il cancro e ha deciso di curarsi nella sua Calabria, tristemente nota per una sanità in affanno. E ha vissuto intensamente fino all’ultimo lavorando per tutte le persone che vivono nella sua regione. Jole Santelli ha dimostrato con le sue scelte e le sue parole che le persone malate di tumore possono continuare a vivere giorno per giorno, amare, progettare, lavorare, essere utili e preziose per chi sta loro vicino e per chi, anche da lontano, beneficia dell’impegno e delle azioni dei malati di tumore, persone “normali” ma che la malattia può far diventare “speciali”. E questo è “vincere la vita” anche quando può sembrare che non sia così». L’avvocato Elisabetta Iannelli, presidente di Aimac (Associazione Italiana Malati di cancro e amici) e di Favo (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), da 27 anni convive con la diagnosi di tumore al seno metastatico. Ne sa qualcosa di “corpo a corpo” con la malattia, di cure al venerdì per essere operativa al lunedì, di controlli ed esami intorno a cui far ruotare l’agenda, da così tanti anni che quando la chiami al telefono non ti stupisci più che ti risponda dall’ospedale, con la flebo addosso. Le chemio e le terapie oggi possono anche rientrare in una routine di lavoro, famiglia e progetti. 

Non rassegnarsi è una scelta

Jole, che faceva politica da 25 anni, dalla laurea in Giurisprudenza, incarnava proprio lo spirito di quest’epoca di non rassegnazione. «Quando una persona subisce un attacco violento alla propria vita, quando il dolore fisico si fa radicale e incomprimibile, allora quella persona ha due strade: deprimersi e farsi portare via dalla corrente, scegliendo che il destino scelga per lei. Oppure attivarsi, concentrarsi e soprattutto ribellarsi». La Santelli era una di quelle figure che lasciano il segno proprio perché era un personaggio pubblico che portava in dote la sua storia personale di malattia. «Le persone che riescono a esporsi diventano figure d’ispirazione per le altre, e devono e possono farlo perché vivono una condizione privilegiata» dice Marina La Norcia, presidente dell’Associazione Tumore al seno metastatico Noi ci siamo. «Quante invece si lasciano andare? Quante vivono l’isolamento sociale, la perdita del lavoro e degli affetti? Chi si espone dimostra coraggio ma lo fa anche per lanciare un messaggio di speranza a tutti gli altri». Quella speranza a cui a volte sei tentato di rinunciare, ma che alla fine prende il sopravvento e trasforma i tuoi giorni in una nuova scommessa. Diceva la Santelli: «La malattia ti dà dolori ma ti fa un grande regalo: ti fa conoscere la libertà, ti aiuta a non avere paura di niente, a non rispettare più le convenienze. La malattia, oltre alla disgrazia, mi ha dato la fortuna di non avere paura della libertà, di essere libera e di sentirmi tale. E non ho paura del coraggio che serve perché quello l’ho dovuto conoscere così bene che è diventato un amico fraterno». 

Non possiamo dire che il cancro è un dono: lo rispediremmo al mittente con tanto di maledizioni. Possiamo però pensare che ti metta in contatto con la profondità della vita e ti aiuti a diventare quello che – in un’altra storia, un’altra vita – magari avresti voluto essere. 

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