Credit: Daria Addabbo

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I malati oncologici e i loro diritti

Oggi il tumore può diventare cronico e permettere una vita quasi normale, al lavoro e in famiglia. Come dimostra Elisabetta Iannelli, in prima linea nella lotta per i diritti dei malati di cancro

Elisabetta Iannelli 25 anni fa fece un giuramento:” Il cancro ha cambiato la mia vita, io cambierò la vita con il cancro”. Per questo Donna Moderna le ha riconosciuto una targa speciale al Premio Internazionale Donna dell’anno, istituito dal Consiglio Regionale della Valle d’Aosta e di cui siamo media partner (in quella occasione, Elisabetta ha vinto anche il Premio Soroptimist Valle d’Aosta). La sua testimonianza è ancora più straordinaria perché Elisabetta non solo ha cambiato la sua vita, ma anche quella dei tanti malati di tumore italiani (3 milioni e 300 mila), grazie all’impegno nel volontariato e alla professione di avvocato.

Il cancro oggi come una malattia cronica

Oggi ha 50 anni e lotta contro il tumore al seno da quando ne aveva 25. La incontriamo a Roma, dove vive e lavora come avvocato. «Il tumore al seno anche quando non è guaribile si può curare. E io ne sono la prova vivente. Sono la dimostrazione di come, con le terapie giuste, la malattia possa diventare cronica. La mia vita è stata ed è una continua lotta “per la vita” e per una vita “normale”. Tra interventi chirurgici, chemio, radio, terapie mirate e ormonali, controlli diagnostici di ogni tipo, mi sono sposata, poi laureata e sono diventata avvocato, sostenendo gli esami con lo sguardo fiero e la parrucca in testa. E poi, con Roberto, a cui sono legata da quando avevo 17 anni, sono diventata mamma di Emma, che oggi ha 12 anni».

Diventare genitori con il tumore

Per molte coppie in cui uno dei due vive l’esperienza del tumore, la genitorialità resta un miraggio anche perché l’adozione dopo il cancro, in Italia è ancora un tabù. Se non sono passati i fatidici cinque anni, difficile che si riesca ad accogliere un bambino. «La maggior parte dei Tribunali non riconosce l’idoneità all’adozione alle coppie se non sono passati almeno 5 anni dalla diagnosi di tumore di uno degli aspiranti genitori. Ma in questo modo non si tiene conto che ogni caso è a sé, e che certi tumori guariscono in due anni, mentre per altri possono volercene anche 20, una vita! Si deve negare l’adozione solo con un rischio imminente e concreto di morte, non durante i cicli di cura per prevenire il ritorno della malattia. Altrimenti siamo di fronte a un pregiudizio».

Oltre all’adozione, l’altra strada per diventare genitori dopo il cancro è la preservazione della fertilità, su cui Elisabetta Iannelli ha scritto il libro scaricabile gratuitamente Madre dopo il cancro.

Elisabetta Iannelli

Elisabetta Iannelli con la figlia Emma, 12 anni (credit: Daria Addabbo)

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I diritti dei malati di cancro al lavoro

Guardare ai pazienti come a risorse, persone che possono lavorare, avere una famiglia, dei figli: è questo il cambiamento culturale in cui è impegnata Elisabetta. «Eppure, chi è sopravvissuto a un tumore oggi è ancora visto come un morto che cammina, una persona che prende e non dà, un costo sociale». Come avvocato si batte da anni per i diritti del malato oncologico (su cui ha scritto il libro – scaricabile gratuitamente – I diritti del malato di cancro). È segretario generale della Favo, la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (di cui è co-fondatrice) e vice presidente di Aimac (Associazione italiana malati di cancro). «Nel Duemila la malattia è tornata in modo violento, un’esplosione di metastasi. E così, avendo vissuto sulla mia pelle la “tossicità finanziaria del cancro”, che si abbatte sul bilancio delle famiglie e sulla vita dei caregiver, ho deciso di impegnarmi nel volontariato anche utilizzando la mie competenze giuridiche per cambiare le regole del gioco».

E da allora di strada ne ha fatta tanta. È sua la norma sul part-time per i malati oncologici, inserita nella riforma Biagi e successivamente estesa anche ai dipendenti pubblici. Ha collaborato all’estensione a tutti i comparti del pubblico impiego della possibilità di assentarsi dal lavoro nei giorni di ricovero per chemioterapia, o per altre terapie salvavita, senza perdere retribuzione e senza dover usufruire dei giorni di malattia. Ha fortemente voluto e collaborato alla stesura della norma che riduce a 15 giorni il tempo per l’accertamento dell’invalidità civile e dell’handicap per i pazienti oncologici. «L’ammalato per primo non vuole essere un peso. Occorre pensare ai pazienti oncologici come a persone che, con opportuni strumenti – come il part time temporaneo o lo smart working – possono continuare a dare il loro contributo. Conviene a tutti, al datore di lavoro ma anche allo Stato».

Le spese dei malati e il calo del lavoro

Secondo l’undicesimo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici presentato da Favo, in collaborazione con Aimac, ai 16 miliardi di euro spesi dallo Stato si aggiungono i 5 miliardi in carico direttamente al malato. «Si tratta di costi diretti, come le spese sostenute per gli spostamenti, i medicinali non rimborsati o le badanti, e indiretti, cioè quelli che diminuiscono il reddito lavorativo e la capacità di spesa delle famiglie, portando a un impoverimento generale, più alto se si tratta di donne. Secondo lo studio, il 36 per cento dei pazienti riporta un calo del rendimento lavorativo. Le donne perdono il doppio delle giornate di studio o lavoro degli uomini. I pazienti tra i 55 e i 64 anni, nel 45 per cento dei casi hanno perso da 6 mesi a un anno di lavoro nel corso dell’ultimo anno. E per i caregiver, la riduzione del reddito arriva al 29 per cento, con punte del 70».

Per i caregiver che assistono gli anziani malati di cancro, spesso l’orizzonte è confuso. Ma quali sono i loro diritti? Chi aiuta e assiste loro? Su che agevolazioni pososno contare? Aimac mette a disposizione una facile guida, a cui anche Elisabetta Iannelli ha lavorato: Il tumore degli anziani e il ruolo dei caregiver, scaricabile gratuitamente.

La violazione dei diritti

La disabilità di chi si ammala di tumore pesa su tutti. «Ma anche se per lo Stato siamo disabili, non vuol dire che non possiamo lavorare. Negli uffici invece spesso molti pazienti si sentono dire che non possono più rendere come un tempo e che quindi verranno destinati ad altro. Questa è una violazione dei diritti del malato. Oppure accade che il datore di lavoro, dopo aver concesso per legge il part time per le cure, poi non lo trasformi in full time. Con qualche accorgimento, invece, si può continuare a lavorare a tempo pieno anche facendo la chemioterapia. Io per esempio programmo al venerdì i cicli di cure a cui devo sottopormi ogni tre settimane, così ho tempo per riposarmi». È questo che deve cambiare: perché in Italia gli ostacoli alla disabilità oncologica non sono architettonici ma culturali.

La defiscalizzazione delle spese e l’indennità di malattia per i lavoratori autonomi

Il costo reale del cancro deve spingerci a una maggior tutela dei pazienti. «Stiamo lavorando alla defiscalizzazione delle spese sostenute per le cure e gli spostamenti e a forme di sostegno, come il riconoscimento dell’indennità di malattia per i lavoratori autonomi (caregiver e pazienti), per esempio, sospendendo i contributi per un certo periodo o prevedendo un’indennità economica una tantum». Eppure un risultato storico intanto è stato raggiunto, grazie al lavoro di Favo e aBRCAdaBRA Onlus: il riconoscimento da parte dell’Inps della disabilità in donne apparentemente sane, cioè le pazienti con la mutazione BRCA. Perché non deve più accadere che una donna costretta alla mastectomia preventiva si senta dire dalla commissione di accertamento dell’invalidità che si è ricostruita il seno per motivi estetici».

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