Un cartello del Gay Pride a Torino, 15 giugno 2019
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Cosa prevede la proposta di legge sull’omotransfobia e perché se ne discute

Dopo le polemiche e l'ostruzionismo, la Commissione Giustizia del Senato ha calendarizzato la discussione del disegno di legge Zan. La legge estenderà le protezioni previste dalla legge Mancino del 1993 per i reati d'odio motivati dall’etnia e l’orientamento religioso: di cosa si tratta e perché c'è chi si oppone

Dopo mesi di discussioni, polemiche e ostruzionismo, la Commissione Giustizia del Senato ha calendarizzato la discussione del disegno di legge Zan, la legge pensata contro le discriminazioni e violenze per orientamento sessuale, genere, identità di genere e abilismo, punendo con il carcere chi commette violenza o incita a commettere violenza sulla base dell’orientamento sessuale. Il Ddl non introduce un nuovo reato, ma estende invece le protezioni previste dalla legge Mancino del 1993 per gli atti di odio fondati su motivi razziali, etnici o religiosi ai reati motivati dall’odio verso l’altro in ragione del sesso, dell’orientamento sessuale, del genere e dell’identità di genere.

Questa è la sesta volta che il Parlamento italiano discute una legge di questo tipo: l’ultimo tentativo risale al 2013, quando il Ddl presentato dal deputato di Italia Viva Ivan Scalfarotto fu approvato dalla Camera ma mai discusso al Senato per timori di eccessive divisioni nella maggioranza, all’epoca formata da Pd e centrodestra. Il provvedimento di Zan ha affrontato un iter legislativo tutt’altro che semplice, tra riscritture, emendamenti e lunghi periodi di esame nelle commissioni.

Cosa prevederebbe la nuova legge

Come anticipato, la proposta di legge non aggiungerebbe nessun nuovo reato, ma estenderebbe le sanzioni previste a tutt’oggi dalla legge Mancino del 1993 per i crimini compiuti sulla base della discriminazione etnica o religiosa a quelli compiuti sulla base della discriminazione per l’orientamento sessuale, il genere e l’identità di genere. Come segnalato dal Post, «Nella versione discussa nelle ultime settimane dalla commissione Giustizia, dove è arrivato dopo circa due anni, il disegno di legge Zan prevede nove articoli. I primi due introducono l’orientamento e il genere sessuale negli articoli del codice penale, il 604 bis e ter, che puniscono la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione. Il terzo, il più importante, modifica il decreto legge 122 del 1993, la cosiddetta legge Mancino».

In sostanza, la legge introdurrebbe il carcere per i reati commessi contro le persone gay o transgender in quanto persone gay o transgender, esattamente come succede oggi con le violenze che si basano sull’acrimonia per un’etnia o una religione. Includendo poi il genere, il Ddl Zan estenderebbe la legge Mancino anche alla violenza sulle donne in quanto donne, come già previsto, in parte, dalla legge contro il femminicidio. Negli articoli successivi, quindi, «viene estesa la condizione di “particolare vulnerabilità” alle vittime di violenza fondata sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, viene istituita la giornata nazionale contro l’omofobia e prevista un’ulteriore dotazione di 4 milioni di euro per il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità».

Chi si oppone alla nuova legge e perché 

Alla legge si sono fermamente opposti la Lega Nord di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che hanno definito il Ddl Zan “liberticida”. Anche la Cei, la Conferenza episcopale italiana, ha espresso la sua preoccupazione: «L’introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione», come da nota ufficiale diffusa lo scorso 10 giugno. Il leader della Lega ha addirittura chiesto «una legge contro l’eterofobia», ovvero la supposta discriminazione verso gli eterosessuali, ma di fatto la proposta in discussione oggi protegge già gli eterosessuali, proponendosi di tutelare i cittadini dalle violenze subite a causa del «sesso, dell’orientamento sessuale, del genere e dell’identità di genere» [l’eterosessualità, infatti, è un orientamento sessuale, ndr].

Lo scorso 11 luglio, intanto, si è tenuta una mobilitazione organizzata dal cosiddetto “popolo della famiglia”, gruppo variegato che riunisce molti di quei movimenti pro-life e “no gender” confluiti nel Congresso delle famiglie di Verona nel marzo 2019, che al grido di #RestiamoLiberi ha chiesto di bloccare la nuova legge perché essa metteva a rischio «tutti coloro che promuovono il diritto naturale di ogni bambino ad avere un padre e una madre». Le pressioni del mondo cattolico, estremizzate dai partiti e movimenti di destra, hanno perciò spinto la maggioranza ad approvare l’emendamento che è stato ribattezzato “salva idee”. Proposto da Forza Italia, aggiunge al disegno di legge una esenzione per «le opinioni che non sfocino in esplicita istigazione o provocazione alla violenza». E proprio la posizione del gruppo di Forza Italia in Parlamento è quella più in forse, mentre Lega e Fratelli d’Italia promettono battaglia al ritorno in aula a settembre.

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Perché è una legge necessaria

Eppure una legge di questo tipo sarebbe utile al Paese, per molti motivi. Intanto perché se ne discute almeno dal 1996, quindi perché l’Italia è uno dei pochi Paesi occidentali a non prevedere una norma di questo tipo, a fronte di un continuo aumento degli episodi di violenza contro donne, omosessuali e transessuali. Secondo il rapporto di ILGA-Europe (l’associazione per persone gay, lesbiche, bisessuali, intersessuali e transessuali in Europa ed Asia centrale) uscito lo scorso 14 maggio, circa la metà dei 49 Paesi dell’area non ha avuto cambiamenti positivi nell’ultimo anno, mentre per il secondo anno di seguito alcuni paesi stanno smantellando le tutele esistenti. Nei cinque ambiti d’indagine (uguaglianza e non discriminazione, famiglia, incitamento all’odio, riconoscimenti legali, libertà di aggregazione, diritti di asilo) l’Italia è ferma al 23%. Un punteggio paragonabile a quello dei paesi più autoritari e discriminatori (l’Ungheria è al 33%).

Stando all’Eurobarometro del settembre 2019, invece, solo il 68% degli italiani è a favore dei pari diritti delle persone Lgbt+, dato al di sotto della media europea. Percentuale che scende al 43% in riferimento al riconoscimento legale dell’identità di genere per le persone trans e al 37% se si tratta di indicare un “terzo genere” sui documenti pubblici. In ambito sportivo invece, il sondaggio sulla discriminazione di genere realizzato da Outsport evidenzia che il livello di omofobia e transfobia in Italia è al di sopra della media europea. E poi ci sono le aggressioni, il dato più preoccupante: 138 nell’ultimo anno, secondo Arcigay, la più grande organizzazione Lgbt+ italiana, 74 delle quali nel nord Italia. Significa che avviene un’aggressione ogni tre giorni. Secondo l’indice Trans Murder Monitoring di Transrespect versus Transphobia Worldwide, inoltre, il nostro Paese è al primo posto in Europa per numero di vittime di transfobia, con 36 casi registrati dal 2008 al 2016. Dati che fanno riflettere, e che non si possono ignorare.

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