Come liberarsi del carico mentale

Lo sappiamo tutte e lo riconoscono anche gli uomini: noi donne siamo capaci di occuparci di più attività contemporaneamente, ma non senza fatica. Preparare la cena e intanto rispondere ai messaggi e alle email di lavoro arretrati, ascoltare il racconto della giornata dei figli (o il ripasso per la verifica in classe) e intanto avviare un bucato o pensare alle bollette in scadenza del giorno dopo. Ci riusciamo, ma a che prezzo? Al costo di sentirci spesso “appesantite”, fisicamente e soprattutto mentalmente. Si chiama “carico mentale” e non è privo di conseguenze. Oltre a farci sentire sotto pressione, spesso finisce con frenare la carriera, perché tutti questi pensieri hanno l’effetto di ridurre lucidità mentale o creatività. Come rimediare?

Secondo Marie-Laure Monneret (autrice del libro Devo dirti sempre tutto) esistono piccole strategie che aiutano a liberarsi dal sovraccarico mentale, a partire da una parola magica: delegare. A delegare mansioni, ma anche organizzazione e pensieri, si deve imparare: «Bisogna cambiare l’atteggiamento mentale per tradurlo in un comportamento nuovo. Spesso le donne faticano, ma è una questione di sopravvivenza. La vita a volte ci mette di fronte a situazioni nelle quali occorre fermarsi, se non si vuole andare incontro a conseguenze fisiche o mentali, come le malattie psicosomatiche così diffuse nella nostra società» spiega la psicoterapeuta Elisa Bonanni.

«Posso aiutarti?»

È una domanda frequente da parte del partner, a cui però non sempre le donne rispondono in modo positivo neppure quando, una volta terminato il lavoro in l’ufficio, vestono i panni delle “manager familiari”, occupandosi dell’organizzazione di casa, dai bucati alle scadenze da pagare. Secondo un’indagine del Boston Consulting Group queste mansioni occupano il 75% dei pensieri di una donna: tanto basterebbe a far scattare il campanello d’allarme, invece spesso si arriva allo stremo prima di chiedere aiuto. Anche in questo caso, però, si fatica a “lasciar andare”, a demandare agli altri qualche compito.

Perché proprio alle donne?

Anche al lavoro alle donne accade spesso di non riuscire a concentrarsi su una sola attività, perché il pensiero va ai figli (gli impegni pomeridiani, il grembiule da stirare o il colloquio con gli insegnanti). Già nel 1996 la sociologa Suzan Walzer aveva dedicato a questo fenomeno, tutto femminile, uno studio intitolato Thinking About the Baby, fondato sull’analisi della divisione dei compiti tra le coppie nell’arco di 12 mesi. Era emerso che a occuparsi dell’educazione dei figli e della conduzione familiare, a livello mentale e pratico, sono soprattutto le donne. Anche quando i padri si prendono cura dei figli o della casa, lo fanno generalmente su indicazione delle mogli o compagne, incapaci di delegare davvero. «È un problema molto diffuso, che spesso porta a comportamenti disfunzionali o a malesseri psicosomatici quando il carico mentale diventa eccessivo. Una paziente, tempo fa, si era rivolta al dermatologo per un’acne insorta tardivamente a 35 anni, ma il medico l’aveva indirizzata allo psicologo. Analizzando la sua giornata era emerso che questa persona era contraria a ogni forma di delega: voleva occuparsi personalmente della colazione dei figli, preparando solo prodotti fatti in casa; portava sempre i figli a scuola, non si concedeva mai un’uscita col compagno affidando i bambini a una baby sitter, ma alla fine tutto ciò le ha provocato uno stress che ha causato la dermatite» spiega la psicoterapeuta.

I consigli per delegare in famiglia

«Volersi occupare di tutto in prima persona porta spesso a frustrazione anche perché non si riesce a seguire tutto in modo perfetto, né il lavoro né la vita privata» dice Bonanni, che dà qualche consiglio:

  • Delegare: occorre imparare a demandare agli altri qualche compito, senza pretendere di voler fare tutto da sole e soprattutto di avere il controllo della situazione;
  • “Chiudere gli occhi”: spesso si parte dal presupposto che il partner non sia in grado di svolgere le mansioni «bene come noi». È un pensiero sbagliato, non solo perché implica la presunzione di essere le uniche all’altezza della situazione, dunque non ci permette di cambiare il punto di vista; ma anche perché rimproverando l’altro finiremo col portarlo a non voler più collaborare. Se non stenderà i panni o rifarà il letto in modo impeccabile la prima volta, lasciamogli il tempo di “imparare”. Prima o poi migliorerà, o comunque avrà dato il suo contributo, seppure in modo differente.
  • Ridimensionare le proprie aspettative: spesso si aspira ad essere una madre o una manager perfetta, ma cosa significa davvero? Il fatto di volersi occupare di tutto spesso porta a frustrazione e dunque a tristezza: allora non è meglio concedersi un pomeriggio o una cena con il partner e poi tornare ad essere una madre più serena?
  • Concedersi piccoli spazi: sono sufficienti 10/15/20 minuti nell’arco della giornata da concedere a se stesse, per leggere in libro, rilassarsi o fare una camminata, per ritrovare il benessere che poi avrà effetto positivo anche sul rapporto di coppia e in famiglia.
  • Dividersi i compiti: è importante agire come una squadra, ma attenzione a evitare eccessive rigidità. Ci sono coppie per le quali una netta suddivisione delle mansioni può aiutare, ma altre per le quali è più utile mantenere una certa flessibilità, lasciando che siano le inclinazioni personali o le necessità a decidere, ad esempio, chi deve cucinare di volta in volta.

Responsabilizzare anche i figli

Delegare significa anche insegnare ai figli a collaborare in casa e in famiglia. «Si può iniziare fin da piccolissimi: a 3 anni, per esempio, possono iniziare a rimettere a posto i proprio giochi, a 4/5 possono aiutare la mamma a mettere i panni sporchi in lavatrice, per poi passare a caricarla da soli quando saranno più grandi. Anche apparecchiare e sparecchiare è un compito semplice, da imparare presto, prima sistemando solo gli oggetti meno pericolosi, poi occupandosene completamente. Dai 12 anni, invece, si possono chiedere di spazzare a terra, caricare la lavastoviglie o lavare i piatti, mentre dai 18 il figlio maggiore può accompagnare il fratellino o la sorellina piccola in palestra o al catechismo. Tutto ciò non solo aiuta la madre, ma responsabilizza i figli e li stimola a fare di più e meglio, magari anche prevedendo una paghetta motivata e commisurata ai compiti richiesti» consiglia la psicoterapeuta.

Il segreto del “decluttering mentale”

Qualche tempo fa hanno fatto discutere i consigli di Marie Kondo sul decluttering, ossia l’idea di liberarsi del superfluo, soprattutto nell’ambiente domestico. Ora il New Yorker invita al “decluttering mentale”, cioè a fare spazio tra i pensieri. Come? Tenendo un diario, che il magazine chiama Bullet Journal: un di diario quotidiano del tempo. Servirebbe a mettere ordine, appunto, ma anche a trovare spazio per i propri pensieri e la creatività: «I diari sono un buono strumento comportamentale perché, mettendo nero su bianco, permettono di focalizzare e comprendere meglio i propri pensieri e le proprie azioni. Sono utili, sia quando semplici, sia quando sono più articolati e personalizzati, e magari comprendono anche disegni o altro, purché non diventino un obbligo. In questo caso e in alcuni soggetti potrebbero rafforzare una certa rigidità» spiega ancora Elisa Bonanni.

E sul lavoro?

Anche al lavoro è necessario imparare a delegare o a fissare dei paletti: spesso si è bombardati da email o chiamate anche fuori orari. «È importante staccare, senza temere di fare brutta figura col capo o con i colleghi. Sappiamo che non bisognerebbe portarsi il lavoro a casa, a meno che la professione non lo preveda, ma il carrierismo o il senso del dovere portano a concedere una disponibilità illimitata, che spesso causa effetti negativi sul proprio benessere fisico e nelle relazioni sociali» conclude l’esperta.

Il carico mentale delle donne

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