Maestre non laureate, i primi “licenziamenti” di massa

In Veneto i primi 500 casi di maestre senza diploma di laurea che devono rinunciare al ruolo e tornare alle supplenze. Ma sono in tutto 1.300 a rischiare. Ora si teme di iniziare l’anno scolastico con enormi buchi d’organico

Era solo questione di tempo: dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato (e prima ancora del Tar), che aveva rigettato i ricorsi degli insegnanti diplomati, sono arrivate anche le prime lettere di licenziamento: i docenti della scuola dell’infanzia e primaria che si erano rivolti ai tribunali, per essere inseriti in graduatoria nonostante non fossero in possesso di laurea (obbligatoria dal 2002) dovranno rinunciare al contratto a tempo determinato e tornare ad essere supplenti precari. A ciò si aggiunge la cronica mancanza di professori alla scuola secondaria, aggravata dai pensionamenti ottenuti con Quota 100. Il risultato è che l’anno scolastico rischia di partire “azzoppato”: “Questo sarà un anno record per le supplenze” spiega Alessandro Giuliani, Direttore de La Tecnica della Scuola.

L’emergenza organici e il “caso Veneto”

Secondo i sindacati saranno complessivamente 170mila le cattedre scoperte quest’anno, tra scuole dell’infanzia, primaria e secondarie: secondo gli aggiornamento del sindacato Gilda, un docente su cinque sarà precario. Una delle situazioni più gravi riguarda il Veneto con 7.821 insegnanti che mancano all’appello. Si tratta soprattutto di docenti delle scuole secondarie. Di questi 2.284 sono di sostegno.

A questi numeri contribuiscono i “buchi” creatisi dopo i licenziamenti delle maestre magistrali. In seguito all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che ha rigettato il loro ricorsi, questi insegnanti sono stati (o stanno per essere) licenziati. In molti, infatti, si erano rivolti ai tribunali ordinari: nei mesi scorsi, e in attesa del pronunciamento del Tar e poi del Consiglio di Stato, erano stati inseriti nelle Gae, le graduatorie a esaurimento, ma solo in modo provvisorio, con la clausola della “riserva”. La loro assunzione, quindi, era vincolata. “Gli ultimi casi riguardano sentenze che non erano ancora passate in giudicato, sulle quali mancava l’ultima parola, ma di cui l’esito era ampiamente previsto. Poche settimane fa anche la Cassazione ha confermato l’orientamento, pur senza entrare nel merito della questione” spiega Giuliani.

Il decreto salva-precari

Per tutelare questi docenti, ma anche per garantire la continuità didattica, i sindacati hanno chiesto in modo unanime al premier dimissionario, Conte, di dare il via libera definitivo al “decreto salva-precari”. Approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 agosto scorso con la formula “salvo intese”, entro il 28 agosto è possibile modificarlo e pubblicarlo in Gazzetta Ufficiale. Ma con la crisi di governo potrebbe decadere.

A rischio la continuità didattica

Il decreto legge dei primi di agosto prevede, esattamente come il precedente “decreto dignità” che i diplomati magistrali assunti con riserva e inseriti nelle Gae possano continuare a insegnare per tutto l’anno scolastico, anche in caso di sentenza negativa da parte dei tribunali ordinari. In pratica, “congela” il licenziamento per tutta la durata dell’anno, in modo da garantire la continuità didattica. Semplicemente il loro contratto passerebbe da “indeterminato” a “determinato” fino al 30 giugno 2020, come una supplenza annuale. Secondo il ministro dell’Istruzione, Bussetti, si è “ancora in tempo per sciogliere le riserve” e stabilizzare i docenti precari.

Le altre opzioni: supplenze, ricorso all’Europa e concorso

In caso di decadimento del decreto i docenti magistrali che entreranno in servizio nell’a.s. 2019/2020 “con riserva”, di fronte a un pronunciamento negativo da parte del tribunale, tornerebbero a fare i supplenti precari. L’altra alternativa per loro è quella di un intervento da parte della Commissione europea, peraltro atteso a breve, forse anche nel giro di un mese: “La porta per i precari potrebbe aprirsi grazie a Bruxelles, che nei giorni scorsi ha già inviato una lettera al Governo. Il rischio è che, nel caso in cui le risposte dell’esecutivo non siano convincenti, si apra una procedura di infrazione nei confronti del nostro paese per abuso di precariato, in base alla direttiva 70 del 1999” spiega ancora Giuliani. Impone, infatti, l’assunzione automatica del personale dopo 36 mesi di servizio continuativo, in presenza di posti vacanti e titoli d’accesso: “Tutti requisiti che molti dei nostri insegnanti hanno” dice Giuliani.

E i concorsi?

Anche la strada del concorso non sembra risolvere il problema del precariato: “Metà delle 53mila immissioni in ruolo previste non avverranno per un semplice motivo: mancanza di personale. Sia per le Gae che per le graduatorie di merito, infatti, non ci sono candidati, oppure ce ne sono ma in regioni dove mancano i posti, come Campania e Calabria. Anche chi ha superato il concorso, dunque, potrebbe non avere un posto. In questo caso il problema riguarda soprattutto le superiori e il ruolo di insegnanti di sostegno. Ecco che i presidi potrebbero essere costretti a ricorrere alle “messe a disposione”, chiamando dunque neolaureati (o persino laureandi), senza la minima esperienza, che mandano una domanda diretta alle singole scuole. In questo caso, pesa la discrezionalità dei dirigenti scolastici nelle scelte, per questo i sindacati hanno chiesto una regolarizzazione delle MAD, le messe a disposizione, appunto” spiega Giuliani.

Un ultimo aspetto dei concorsi, per la situazione delle maestre diplomate (almeno 7.000), riguarda invece il fatto che si tratta di insegnanti con molta esperienza, ma non più giovanissime rispetto alle ‘concorrenti’ uscite di recente dall’università con una laurea in Scienza della Formazione. I posti disponibili, comunque, restano sempre troppo pochi rispetto alle esigenze complessive” conclude il direttore de La Tecnica della Scuola.

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