Mamma bacio figlio

Essere mamma è…

  • 20 07 2021
Un dono a lungo cercato, una corsa a ostacoli, dei riccioli che si agitano. Vi avevamo chiesto di condividere con noi emozioni e riflessioni sulla vostra vita di madri. Ci avete scritto in tantissime: grazie! Qui pubblichiamo alcune delle storie più belle
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Per me è nato in quell’istante

Questo neonato è troppo piccolo e mi fa paura. ll suo gemello è minuscolo eppure paffuto, un cherubino: quando ciabatto alle due di notte verso la nursery per l’ennesima poppata, lo tengo in braccio e mi incanto sfiorando la guancia con il dito per richiamarlo dal suo assopimento. L’altro no. È una furia. Prematuro di minor peso del fratello, piange e urla da far tremare le pareti dell’incubatrice. Respira autonomamente, meno male. E però! Inserisco le mani nei guanti che mi permettono di toccarlo dentro la sua culla ma sono spaventata all’idea di sollevarlo nel modo sbagliato, di non saper dosare il biberon, farlo soffocare. No, guardi, non ce la faccio: lascio fare alle infermiere. Il calo ponderale lo rende ancora più spaventoso, un alieno. La primaria mi dice che se non cresce mettono il sondino. Una mattina mi portano in nursery. Mi fanno sdraiare e togliere la camicia, lo tirano fuori dall’incubatrice e me lo appoggiano sul petto: è così piccolo che sta tutto tra il collo e lo sterno, come una collana regale. Strepita ma all’improvviso comincia a fondersi, letteralmente. Sprigiona calore e abbandono come uno stracchino sulla focaccia. Per me è nato in quell’istante. Negli anni a venire, i pianti da neonato, le rogne da bimbetto, le rabbie da ragazzino si sarebbero risolte sempre allo stesso modo. Contenute nell’abbraccio. Altre fasi verranno e saranno di distacco, come è giusto, ma il significato del mio essere sua madre resterà in quel momento.
Marina

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Che felicità crescere insieme

Sono diventata mamma all’età di 31 anni, ho cercato e voluto con tutte le mie forze il primo figlio, mentre la seconda mi è stata donata dal cielo. I ragazzi hanno 24 mesi di differenza, è un po’ come avere dei gemelli! Oggi hanno 16 e 18 anni. Quando erano piccoli io lavoravo in negozio dalle 8 di mattina alle 20 di sera, era molto complicato poterli crescere, anche perché mio marito aveva avviato da poco una sua attività, non poteva darmi un aiuto. Decisi di lasciare il lavoro, e questa è la cosa che mi ha tolto la maternità: l’indipendenza economica, la realizzazione professionale. Quello che mi ha dato però è immenso, ho seguito i ragazzi in tutta la loro crescita, sono felice di quello che stanno diventando. Adesso ho ripreso in mano la mia vita professionale, ho fatto un master e mi sto lanciando sul mercato del lavoro in maniera autonoma. Il mio motto è: “Non esiste età o tempo, e non c’è niente che io non riesca a fare!”.
Tiziana

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Ci ho messo amore e autorevolezza

Ho 63 anni, non mi sono mai sentita particolarmente materna nel senso classico del termine. Mi piacevano i bambini, ma a scadenza, e avevo altri progetti da realizzare. Nella vita non si sa mai cosa c’è dietro l’angolo: per me un marito, le nozze e l’inevitabile desiderio di avere un bimbo, che arriva subito. Il senso di maternità assume un altro significato se la mamma sei tu: la gravidanza è stato uno dei periodi più belli della mia vita. Ho cercato di essere una madre piena d’amore e un’ educatrice autorevole. Non è stato facile, è stata una grande sfida… La più bella e ricca in assoluto. La maternità racchiude il solo, unico vero amore gratuito, un amore donato al di là del tempo e delle circostanze.
Daniela

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Quel pianto che ha scavato un buco dentro me

Era domenica sera. Un saluto come gli altri per non farle capire che la mamma sarebbe stata via tutta la settimana. Lei in braccio alla nonna mi fa ciao con la manina. E io già sull’autostrada architetto il piano: il mercoledì farò un’improvvisata. Lascerò il lavoro appena possibile e poi via, sulla direttrice del mare. Lo faccio davvero e quel giorno, mentre guido, mi immagino la sua faccina quando mi vedrà. Io la chiamerò, lei solleverà la testa e mi correrà incontro tra gridolini e inciampi. Mi galoppa il cuore già mentre parcheggio e, appena prendo a piedi la discesa, la vedo accucciata lì dove l’avevo immaginata. La chiamo: «Matilde! Guarda chi c’è!”». I riccioli si agitano e si tirano dietro gli occhi che mi guardano. È terrorizzata. Gli angoli della bocca si piegano all’ingiù e in un istante che sembra eterno scoppia a piangere, scappa dentro casa chiamando la nonna e io resto lì, con il groppo in gola e poi anche io piango, ma in silenzio. Forse quello è stato il primo momento in cui sono salita sull’altalena della maternità. Dopo, tanti altri voli, su e giù, piccole gocce che hanno cambiato me e costruito il nostro rapporto. Adesso lei ha 20 anni, gli occhi e i riccioli sono gli stessi, i saluti e gli incontri pieni di dolcezza ma anche di parole e sguardi taglienti. Eppure io mi lancerei ancora verso il mare per raggiungerla, verso quel pianto che ha scavato un piccolo buco dentro di me, verso quelle manine rotonde che non mi volevano e che invece, adesso come domani, non mi stancherò mai di cercare.
Barbara

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La mia vita ruota solo intorno a lei

Forse sarò impopolare, ma per quanto io ami mia figlia e stia attenta che non le capiti mai nulla di brutto, a me la maternità ha più tolto che dato. Ho 38 anni, non sono una ragazzina, ma per me è ed è stato così. Sì, mi ha tolto la mia libertà, ciò che ero prima, il mio “essere”. Mi ha tolto tanto di me stessa: il tempo, il denaro, le energie. Mi ha perfino tolto un marito, poiché da quando è nata, 3 anni fa, il rapporto con lui si è deteriorato ed è cambiato. Prima potevo preoccuparmi solo di me stessa, ora la mia vita ruota attorno a lei, sempre. Non posso fare più niente, se prima non l’ho “sistemata”. Forse sono egoista, e forse lei è ancora troppo piccola per essere autonoma, ma se avessi saputo che avere una figlia comportava un cambiamento così drastico di vita, sia personale sia relazionale, probabilmente non l’avrei fatta. Non mi sento una brava mamma, poiché mi rendo sempre più conto che “non ci sono portata”, non amo giocare con lei, mi annoia, non mi piace fare le cose insieme, non mi entusiasma e, appena posso e riesco, voglio e sento il bisogno di momenti di libertà, di svago e di solitudine. Sì, certo, è bello essere chiamata mamma, abbracciata, ringraziata, e tutto quanto c’è di positivo (ma le cose positive sono sempre belle, no?), però io non mi sento di dire “Wow, che vita splendida che ho”. È un lavoro a tempo pieno che, probabilmente, non ero pronta ad affrontare.
Viola

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Una signora mi disse: «sarà un maschio»

Una mattina di fine luglio di circa 30 anni fa, mentre ci trovavamo a piedi nei pressi di un ospedale del Veneto, mio marito e io fummo distolti dai nostri pensieri da una voce allegra che gridava: «È un maschio! È un maschio!». La signora che aveva fatto quest’affermazione fermò la sua bicicletta indicando il mio pancione di fine gravidanza e la valigetta che teneva mio marito. «Magari!» esclamammo entrambi. «Abbiamo già una bimba, ma l’ecografia dice che lo sarà pure questa». Ma la signora insistette: «Queste macchine moderne possono sbagliare, io ho sbagliato solo una volta nel pronosticare il sesso, e non volevo crederci. Sono sicura, è un maschio». Che fare se non sorridere? Quindici giorni dopo nacque Alberto, questa volta l’incredula ero io, chiesi all’ostetrica: «Ma è sicura?». Presi il mio maschietto in grembo e piansi lacrime di gioia e di dolore. Quanto sarebbe stata felice mia mamma, lei che era stata madre di 3 femmine e nonna di una nipotina, di questo maschietto! Ecco il mio rammarico era proprio questo, che non avesse fatto in tempo a conoscerlo, perché quella mattina di luglio non ci stavamo recando all’ospedale, mio marito ed io, ma ne stavamo uscendo dopo aver raccolto le poche cose del comodino e aver dato l’ultimo saluto a mia madre, morta per un tumore all’utero a 58 anni. Quella nascita mi riportò al presente e mi diede la forza di continuare la mia vita occupandomi della bimba che avevo e di quel nuovo esserino che aveva bisogno di me. Il dolore per la perdita di mia madre non poteva certo svanire, ma era stato attenuato dal quel dono meraviglioso che la vita mi aveva fatto.
Paola

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La prima volta che ho guardato i miei gemelli

Lui una testata di ricci rossi, un bambinone dagli occhi scuri. Lei più esile, gambe lunghe, mani affusolate, capelli lisci. Lui porta il nome del bisnonno Mario, un uomo tutto d’un pezzo. Lei porta il nome di Anita, “l’eroina dei due mondi”, combattiva e dai forti ideali. Rappresentano la mia evoluzione. Ho spostato la mia visuale da una foto all’altra. Da quella in bianco e nero – io piccola, mamma e papà – a quella a colori: io, i miei figli e mio marito. Al primo vagito di Mario ero emozionata ma confusa, causa anestesia del cesareo. Poco dopo fu il momento di Anita. La guardai pensando a quanto erano lunghe le sue dita. Niente più. Dopo il parto i bimbi furono messi in incubatrice. Verso sera andai a vederli. Erano stati con me 8 mesi, ma era la prima volta che ci vedevamo davvero. Io non ci credo a questo amore a prima vista. Anita e io eravamo entrambe diffidenti. Il secondo giorno mi misero su una poltrona per la marsupioterapia: io stavo lì con i seni nudi, la piccola nuda sorretta a me con una sorta di marsupio. Da quella testolina uscivano due occhi dolci e malinconici. Mi cercava e, a modo suo, mi sorrideva. In quell’istante siamo diventate madre e figlia. Con Mario il rapporto è stato da subito diverso. Il suo peso si avvicinava quasi ai 3 kg pur essendo nato prematuro. Se li ho allattati fino 2 anni e 4 mesi, lo devo a questo bambinone con le manine cicciotte che non mollava mai la presa. Essere mamme è una cosa meravigliosa e unica. Succede in noi qualcosa, nell’animo e nel corpo, tale da farci ripartire ogni mattina, anche quando alla sera prima il pensiero era di non potercela più fare. Però eravamo, siamo e rimarremo donne. Abbiamo bisogno di coltivare le nostre passioni, di poter prendere un caffè con un amica. Spesso si pensa di non essere all’altezza di educare e di non essere delle buone madri. Ma il filtro magico della madre perfetta non esiste.
Viviana

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Mi sento madre anche senza figli

Ho 40 anni e la mia è una maternità sempre sentita, sempre cercata ma mai trovata…

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«Auguro alle mie figlie l’esperienza della maternità. Libera, volontaria, priva di condizionamenti sociali, come è stata per me. Auguro loro la capacità di essere madri a modo loro, a completamento di una vita fatta di scelte autonome e decisioni indipendenti»
Lorena

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«Ma volete davvero che i figli crescano in fretta per poter tornare alla vita di un tempo? Io no! Vorrei che non diventassero mai grandi per la loro innocenza e per quel modo di darti amore che poi, inevitabilmente, cambia»
Viviana

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«Essere mamma non è solo mettere al mondo una creatura; essere mamma è accogliere senza pregiudizi e riserve tutto il nuovo che ogni creatura racchiude in sé verso altre avventure, affinché l’evoluzione continui ancora, sulla via del domani, come sta scritto nel grande Libro della Vita»
Cinzia

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«Mio figlio è nato per caso nella roulette russa della vita. ero impaurita dall’idea di non essere all’altezza, sono stati mesi tremendi: le paure, il corpo che cambia, le responsabilità non mi hanno fatto godere appieno quel periodo. e la mia pancia… ma a mio figlio, grande amore della mia vita, non rinuncerei mai»
Roberta

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