Patrizia Mirigliani denuncia il figlio per maltrattamenti

La patron di Miss Italia ha chiesto l’attivazione del codice rosso contro il figlio 31enne, che ora ha il braccialetto elettronico e il divieto di avvicinamento alla madre

«È il più grande dolore della mia vita, ma non avevo scelta». La decisione di Patrizia Mirigliani di denunciare il figlio Nicola, facendo scattare il codice rosso per maltrattamenti, ha fatto scalpore anche se non è l’unico caso del genere. L’ha fatto “per salvarlo” dalla droga, così ha spiegato la patron del concorso Miss Italia, che ha raccontato cosa l’ha spinta a una scelta così drastica: «Lui vuole che io lo mantenga a vita con i suoi vizi, ma non lo accetto più, mio figlio deve stare bene e costruirsi un futuro. Questo magistrato ha capito la situazione insostenibile e ha attivato il codice rosso». La Mirigliani, secondo quanto ha dichiarato in una intervista a Selvaggia Lucarelli, si è rivolta alla magistratura denunciando il figlio 31enne per estorsione, minacce e violenza. Alla base ci sarebbe un comportamento violento a cui avrebbe contribuito il consumo di droga da parte del figlio, che però si difende e respinge ogni accusa.

La denuncia e il codice rosso

Patrizia Mirigliani, patron del concorso di bellezza Miss Italia, ha voluto rendere nota una storia molto privata, che ha a che fare con i difficilissimi rapporti col figlio Nicola, oggi 31enne: «Sono dodici anni della mia vita che combatto» ha ammesso Patrizia. «Nicola soffre di dipendenze, l’ho portato in sette comunità. Se sono arrivata al punto di denunciare mio figlio, è perché sono distrutta» Intanto lo stesso figlio aveva a sua volta raccontato la vicenda, spiegando di essere stato allontanato da casa su disposizione del giudice e obbligato a indossare il braccialetto elettronico, con divieto di avvicinamento a meno di 400 metri dalla madre.

Dalle dipendenze alle minacce?

«Mia madre mi ha cacciato di casa dicendo di farmi la mia vita. Ma lei non lo può fare, per legge mi deve mantenere fino ai 34 anni, non può lasciarmi così e io le farò una denuncia civile. Ora lei mi ha fatto tre denunce e ha chiesto a tutti quelli che mi conoscono di non aiutarmi. Io non nascondo i miei problemi con la droga, sono cominciati a 18 anni, adesso ne ho 31, in passato ho fatto qualche furtarello a casa, ma sono un bravo ragazzo e ora sono pulito». Poi le parole ancora più dure, rivolte al genitore: «Mia madre ha fatto la cosa più brutta che si può fare a un figlio e voglio renderla pubblica, è imperdonabile».

La difficoltà familiari e della società

«A me è dispiaciuto del braccialetto elettronico, ma erano pressioni continue con urla e richieste di soldi, sono dodici anni che Nicola ruba a casa. Io e il padre siamo disperati, è la battaglia più devastante che abbia mai fatto» si è difesa Mirigliani. Ma come si arriva a denunciare il proprio figlio? Esasperazione, resa oppure è un gesto di grande coraggio? «Oggi più che mai fare i genitori è un mestiere difficile, un’impresa titanica vera e propria che si scontra a volte in modo violento con l’incapacità di affrontare momenti di crisi, silenzi, rotture che poi sono difficili da riparare. Se, davanti a diversi tentativi ed errori, il genitore si rende conto della pericolosità di certi comportamenti, ha già chiesto aiuto a strutture ed esperti, si è messo in discussione e vede il figlio andare verso il baratro senza poterlo fermare, allora la denuncia è un salvavita e non una delega ad altri» spiega Barbara Volpi, psicologa e psicoterapeuta, esperta di genitorialità. «Mi è capitato di vedere negli occhi dei genitori il terrore di perdere un figlio senza riuscire a fare nulla, è un urlo disperato che si carica della disperazione anche del figlio. Rappresenta comunque la denuncia del fallimento del noi, inteso come famiglia e soprattutto come società che dovrebbe ascoltare maggiormente le fragilità» aggiunge l’esperta.

Colpa della droga?

«Non capita di frequente che un genitore arrivi a denunciare il figlio. A volte succede in casi estremi di uso di droghe, ma la decisione della Mirigliani riguarda piuttosto l’attivazione di un codice rosso, dunque di maltrattamenti. Va detto che chi ha problemi con le sostanze stupefacenti, specie in un periodo iniziale, difficilmente accetta di farsi aiutare. Non si tratta neppure di tossicodipendenti, ma di persone che decidono di provare certe esperienze e purtroppo né la medicina né la psicologia hanno sempre le armi efficaci per aiutarli» spiega Riccardo Gatti, responsabile Dipartimento Area Dipendenze ASST Santi Paolo e Carlo di Milano. «Rivolgersi alla giustizia è un gesto estremo, che capita quando al problema della droga se ne aggiungono altri, creando un contesto difficile da sostenere. Le sostanze stupefacenti, insomma, possono rendere più difficile una situazione, ma non sono di per sé necessariamente la causa principale, soprattutto se si tratta di persone adulte che, come in questo caso, vivono situazioni di disagio familiare che si trascinano da tempo. Di certo la denuncia non può essere una risposta a un problema patologico o di cura, a meno che non si renda necessario un trattamento sanitario obbligatorio per casi estremi di violenza causata proprio dal consumo di droghe» spiega Gatti.

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