Perché chi è malato non smette di fumare

Asmatici, persone con bronchite cronica e fibrosi polmonare spesso non dicono nemmeno al medico di essere fumatori. Un problema anche perché il fumo riduce l'effetto di molti farmaci

In Italia si fuma ancora molto: i fumatori sono circa 11 milioni e tra loro molte sono le donne. Il problema è che, oltre ad avere effetti negativi diretti sulla salute, le sigarette riducono di molto l’efficacia dei farmaci. Non solo di quelli specifici per malattie come i tumori ai polmoni, l’asma o le bronchiti croniche, ma anche quelli comuni, come il paracetamolo.

Un asmatico su 4 non smette

A sorprendere sono i dati diffusi dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, secondo i quali ben 1 asmatico su 4 non smette di fumare nonostante la malattia, così come accade in 1 paziente con fibrosi polmonare su 3, e nella metà di coloro che soffrono di bronchite cronica o enfisema: «Molti non dicono neppure al medico di essere fumatori o non riescono a smettere. La situazione non cambia in caso di tumore, visto che il 20% di coloro che si ammalano continua a fumare anche dopo la diagnosi, nonostante sia dimostrato che questo aumenta il rischio di sviluppare effetti collaterali anche gravi» conferma Roberto Boffi, Responsabile dell’Unità di Pneumologia e direttore del Centro anti fumo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Il fumo riduce l’efficacia e la tollerabilità dei farmaci

Il dato di partenza è la considerazione che il fumo di tabacco contiene oltre 6.000 sostanze (nicotina, idrocarburi, metalli pesanti, ecc.), che sono in grado di modificare l’efficacia e la tollerabilità dei farmaci. Questo vale per tutte le terapie, ma in particolare per quelle delle malattie respiratorie. Ma perché non si rinuncia alla sigaretta neppure in questi casi? «Non c’è un motivo solo. Come pneumologo io lotto da anni per cercare di sensibilizzare e informare sia i pazienti che i medici. Nel caso dei pazienti va detto che smettere non è facile, sia dal punto di vista psicologico che fisico perché si tratta di una dipendenza vera e propria. È anche vero che le multinazionali del fumo si adoperano per sottolineare che alcune patologie sono dovute anche all’inquinamento atmosferico o ad altri fattori, il che è vero, ma non va dimenticato che le scelte individuali, come fumare o smettere, possono fare la differenza» spiega Boffi, che aggiunge: «Purtroppo anche tra i medici non sempre c’è la giusta consapevolezza e formazione su come affrontare il problema, perché è un argomento che non viene insegnato nelle scuole di medicina. Ad esempio, non sempre si conosce il reale danno nei pazienti oncologici, nei quali le cure – anche molto innovative e costose – rischiano di essere vanificate dal fumo o mal tollerate dal malato» spiega l’esperto, che da anni conduce campagne di sensibilizzazione.

Effetti negativi del fumo sui farmaci anti asma

Nelle terapie per asmatici, per esempio, è stato calcolato che i fumatori dovrebbero assumerle non prima di 20 minuti dall’ultima sigaretta e almeno 20 minuti dopo, altrimenti i farmaci si inattivano: «Un nostro studio ha mostrato come le particelle di polveri sottili del fumo di sigaretta si legano con quelle del farmaco e l’agglomerato che si forma è troppo grande per raggiungere i bronchioli. Nei pazienti che prevedono una sola assunzione al giorno di farmaci con più principi attivi, significa di fatto rimanere scoperti per 24 ore o più» spiega Boffi.

Riduzione dell’effetto su una vasta gamma di medicine

Un altro effetto negativo è l’abbassamento della soglia di sopportazione del dolore, così come una riduzione dell’efficacia anche di prodotti come paracetamolo, eparina, antipertensivi e diuretici, oppure di farmaci per pazienti psichiatrici, che spesso necessitano di “politerapie” con il ricorso a più prodotti differenti. «In campo oncologico, invece, possono aumentare effetti collaterali delle terapie, come infiammazioni varie e mucositi, che possono spingere i pazienti a interromperle e quindi ad aumentare il rischio di morte o di andare incontro ad altre patologie come polmoniti, ictus, ecc. In questo modo si vanificano gli sforzi del paziente stesso e del sistema sanitario: è una sconfitta, perché invece le terapie negli anni sono migliorate e potrebbero portare a guarigione o stabilizzazione» spiega l’esperto dell’INT di Milano.

Danni anche col fumo passivo

Secondo gli studi dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, le stesse controindicazioni nelle interazioni coi farmaci valgono anche in caso di fumo passivo, cioè per coloro che, pur non essendo fumatori come nel caso di figli o conviventi, sono a contatto con ambienti fumosi. «Le polveri fini e ultrafini tendono a ristagnare negli ambienti chiusi: è emerso che essere esposti al fumo per 8 ore al giorno equivale a fumare due o tre sigarette. Da questo punto di vista, purtroppo, le donne sono più sensibili, soprattutto in caso di soffrano di asma: gli effetti negativi sul genere femminile sono maggiori. Il motivo è ancora da chiarire, potrebbe trattarsi di una causa ormonale, ma purtroppo non abbiamo ancora una spiegazione univoca» conclude Boffi.

Le donne fumano di più

«Il fumo viene definito dall’Oms un’epidemia femminile e i dati confermano che negli ultimi anni le donne fumatrici sono cresciute del 25%. Questo è dovuto a più fattori: da un punto di vista commerciale, sicuramente le multinazionali del tabacco hanno puntato a una fetta di mercato del mondo occidentale che era ancora “libera”, perché gli uomini fumavano già. Oggi la forbice si è quasi chiusa. Ma è anche vero che ci sono stati cambiamenti sociali, per cui il fumo è stato visto come una forma di emancipazione, specie dalla fine degli anni ’70. Va aggiunto che, anche emotivamente, molte donne iniziano solo ora a vedere gli effetti negativi del fumo sulle loro madri, come aumento di tumori, malattie a carico del cuore e dei bronchi, perché proprio perché in passato in famiglia fumavano prevalentemente i padri o i nonni. Man mano questo potrà avere un effetto deterrente sulle giovani» analizza Boffi, che aggiunge: «Purtroppo la pandemia non ha aiutato: molte madri, ad esempio, si sono ritrovate a casa, a occuparsi quasi interamente da sole dei figli, magari in Dad, mentre loro erano in smart working. Il livello di stress è aumentato ma, mentre sono venute meno altre possibilità di sfogo come palestre o altri interessi, le sigarette sono rimaste accessibili anche durante il lockdown, essendo state considerate generi di prima necessità».

«Va però detto, però, che in base alla mia esperienza di medico pneumologo le donne quando decidono di smettere – e noi lo vediamo al Centro anti-fumo – sono fortemente determinate, non tornano indietro e spesso riescono a convincere anche altre persone» aggiunge l’esperto.

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