In terapia per guarire dall’insonnia

Intervista a Hugh Selsick, lo psichiatra inglese che cura gli insonni con la terapia cognitivo-comportamentale, un nuovo approccio che dà buoni risultati. Ecco come funziona

Più faticosa di una maratona, stressante come dieci riunioni in ufficio. Per il 16% degli italiani la notte è così. La colpa è dell’insonnia che dal 2014, come dice la classifica stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità, è un disturbo a sé stante, non solo il sintomo di altri problemi. La pensa così Hugh Selsick, psichiatra di origine sudafricana che a Londra è diventato quasi più famoso della famiglia reale. Perché questo medico del Royal London hospital for integrated medicine ha fondato l’unico centro inglese specializzato in questa patologia, che tratta con un metodo innovativo: la terapia cognitivo-comportamentale. Oggi riceve 120 pazienti al mese e la lista d’attesa per un consulto arriva a 2 anni. «Io stesso ne ho sofferto da giovane e quando ho scelto la specializzazione ho deciso di concentrarmi su questo campo» ci racconta.

Su cosa si basa il suo approccio e perché è cosi rivoluzionario?

«In Inghilterra l’insonnia è un disturbo dimenticato: pochi la trattano e i pazienti girano per anni tra medici ed esperti senza trovare pace. Io invece li prendo in carico, mi occupo di ogni dettaglio, sviscero il problema tanto che alla prima visita faccio un check up completo, decine di domande e poi chiedo di tenere un diario del sonno. È importante capire le cause mentali del problema per risolverle. Poi si parte con la terapia cognitivo-comportamentale. Ovvero insegno le buone abitudini che preparano la mente al riposo, la rieducano eliminando vizi e comportamenti sbagliati».

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Come funziona il suo metodo?

«Propongo una specie di corso, una serie di incontri, uno alla settimana, per un totale di un paio di mesi. Sono basati sul dialogo e sulla introiezione delle regole auree. Possono sembrare semplici, eppure per un insonne sono fondamentali: alzati sempre alla stessa ora, 7 giorni su 7; non riposare durante il giorno; usa la tua stanza solo per dormire, quindi niente tv e pc in camera; prenditi un periodo di decompressione prima di coricarti, due ore senza lavoro o stress, e poi annota ciò che ti rende felice ed è andato bene quel giorno insieme agli appuntamenti per quello successivo così da metabolizzare emozioni e pensieri; fai stretching con una musica rilassante; ritarda ogni sera il sonno di 15-20 minuti per essere davvero stanco; se sei sotto le coperte da 15 minuti e non ti sei assopito, alzati. È il mio addestramento all’efficienza del sonno: una routine che, ripetuta uguale per qualche settimana, abitua organismo e cervello».

Detta così sembra semplice…

«Lo schema è facile, metterlo in pratica meno. Infatti raccomando ai pazienti di essere costanti, di non saltare gli incontri e non mollare. Durante i colloqui il mio lavoro è motivarli e convincerli che l’insonnia è un nemico che si può combattere. Può anche ritornare, nel corso della vita, ma se si è imparata la tecnica giusta basta applicarla di nuovo».

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Usa anche dei farmaci?

«All’inizio mai, il primo passo è la terapia comportamentale. A volte, per situazioni più critiche, prescrivo dei sonniferi leggeri o la melatonina, che è un alleato naturale».

La sua terapia è sempre efficace?

«Diciamo che funziona nell’80% dei casi. Per esempio, ci sono persone che, per lavoro, cambiano spesso fuso orario o fanno i turni, quindi non riescono a mettere in pratica il nostro schema. Per loro è indispensabile affidarsi solo ai medicinali, anche se il percorso è più lungo».

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